E’ stato assegnato a tre donne impegnate nella medicina d’urgenza il
Premio Liboni, istituito da Iemig (Italian emergency medicine interest group) in memoria dell’infermiera
Valentina Liboni scomparsa lo scorso anno a causa di un male incurabile. La premiazione delle vincitrici è avvenuta a Prato nei locali dell’Art Hotel alla presenza del comitato scientifico Iemig, coordinato da
Franco Lai, cui è stata affidata la selezione.
Stefania Gemma è una delle vincitrici del premio istituito da Iemig - Italian Emergency Medicine Interest Group, gruppo di medici e sanitari dell’emergenza urgenza dell’ospedale pratese - in ricordo di Valentina Liboni
Secondo il medico pratese, che presta il suo lavoro al pronto soccorso dell’ospedale di Prato Santo Stefano, oltre al
ricordo di Valentina, il premio tende ad essere un incentivo per i giovani colleghi che intendono svolgere questo difficile percorso professionale, specie in questo particolare momento in cui è forte la crisi legata proprio ai reparti d’emergenza. Tutte giovanissime le dottoresse che hanno ricevuto un assegno di mille euro come riconoscimento per aver incentrato tesi e lavoro proprio sulla
medicina d’urgenza, mostrando attitudine e notevole passione. Sono la romana
Stefania Gemma che per la sua laurea ha proposto una tesi su anticoagulanti e trauma cranico,
Sara Montemerani di Siena, laureatasi con un lavoro su integrazione tra territorio e ospedale attraverso il pronto soccorso durante la pandemia e infine
Giulia Biagi , che ha conseguito nella sua Pisa la laurea in scienze infermieristiche esponendo una tesi sull’educazione alle manovre di rianimazione nelle scuole.
Chi è Stefania Gemma
La neo laureata
Stefania Gemma si fa portavoce delle sue colleghe scelte assieme a lei per meritorie peculiarità professionali dalla istituzione Iemig, trasmettendo al contempo un messaggio in grado di coinvolgere quanti ogni giorno ‘combattono’ nei pronto soccorso delle città italiane. Una battaglia combattuta contro patologie e traumi unita a quella spesso ancora più ardua contro la maleducazione e la mancanza di rispetto. Le cronache sono piene di episodi di intolleranza, di insulti verbali pesanti quando non di vere e proprie aggressioni violente. Molte sono perciò le defezioni da parte di medici in cerca di sistemazioni più tranquille e forse meglio retribuite, pochissime le ‘vocazioni’ volte a scegliere una strada impervia eppure umanamente e professionalmente molto edificante. Queste tre ragazze in camice bianco hanno deciso il loro destino lavorativo e per questo loro coraggio che sottende grandi doti di empatia nei riguardi del prossimo sono state giustamente premiate. Il futuro sembra tingersi di rosa per la medicina d’urgenza e proprio Stefania ci spiega cosa significa per una donna aver chiare tutte le possibili difficoltà ma proprio per questo accettare la sfida e scegliere di non tirarsi indietro. Stefania, Sara e Giulia rappresentano il meglio della nostra società e all’insegna dell’abnegazione hanno deciso di dare vita e concretezza a ogni possibile sogno.
Stefania, si tratta di un premio di prestigio che assieme alle altre due colleghe rappresenta un bel traguardo per le donne impegnate nella medicina d’urgenza … “Questo premio rappresenta un riconoscimento importante per uno studio a cui tengo molto. La tesi di laurea è un percorso lungo e su cui ognuno investe molto impegno, perciò vedere il proprio lavoro riconosciuto da esperti come meritevole è sicuramente una soddisfazione notevole. E’ senza dubbio il miglior modo per iniziare la mia carriera da giovane medico (ed anche di buon auspicio). Ho avuto modo di conoscere le due colleghe con cui ho condiviso il premio. Tutte e tre abbiamo speso tanto tempo impegnate nei Pronto Soccorso e con le nostre tesi, che sebbene trattino temi diversi tra loro, hanno identico spirito. Al centro c’è la gestione del paziente nei diversi contesti al fine di proporre soluzioni pragmatiche. Il fatto di condividere questo premio con due donne non può che rendermi ancora più orgogliosa. Ce lo meritiamo.”
Cosa significa essere un medico in ‘prima linea’ ? “Avere a che fare ogni giorno con la paura e la sofferenza di chi a noi si rivolge in cerca di risposte. Il paziente non è più solamente l’insieme di sintomi a cui dare un nome come in una sorta di rebus, ma è una persona che va accudita nella sua interiorità, nei suoi sentimenti e nei suoi affetti. Come abbiamo purtroppo potuto notare in epoca Covid, essere in “prima linea” significa frapporci fra la vita e la morte, gestire emergenze che possono farci tremare i polsi ed essere i primi a dare delle risposte alle famiglie dei nostri pazienti. Il percorso diagnostico-terapeutico parte da noi: su di noi poggia l’intero ospedale ed il suo funzionamento passa dal Pronto Soccorso, proprio dalla prima linea.”
Stefania Gemma è una delle vincitrici del premio istituito da Iemig - Italian Emergency Medicine Interest Group, gruppo di medici e sanitari dell’emergenza urgenza dell’ospedale pratese - in ricordo di Valentina Liboni
Lei opera al Gemelli di Roma, certamente un polo molto difficile. In che modo nonostante la sua giovane età riesce a conciliare la sua vita privata con quella professionale? “Fare il medico di per sé comporta un certo grado di sacrificio, ma fare il mestiere del medico di Pronto Soccorso è “totalizzante”, porta via gran parte delle giornate con turni spesso massacranti. Così ritagliarsi un po’ tempo per sé non è sempre facile. A sera, la tentazione di gettarsi nel letto per concludere l’interminabile giornata è forte. Serve organizzazione anche in questo. Avere tempo libero da dedicare ai propri affetti o ai propri passatempi è fondamentale: serve a scrollarsi di dosso l’ansia e lo stress accumulato e mantenere la necessaria freschezza mentale .”
Stefania, Giulia e Sara: tre donne che ogni giorno devono vedersela con i problemi del territorio, con quelli della inclusione e con pazienti anche molto piccoli. Può raccontarci, portavoce anche delle sue colleghe, una giornata tipo al pronto soccorso? “La giornata in Pronto Soccorso inizia molto presto, chiaramente dopo un adeguata dose di caffeina per rinfrescarsi le idee ! Uno dei momenti chiave è il passaggio delle consegne, discusse generalmente in un team multidisciplinare, riguardo ai pazienti in attesa di ricovero. Ognuno in PS ha un ruolo preciso e la collaborazione fra le diverse parti è fondamentale. A qualcuno spetta la prima visita del paziente in attesa, secondo i codici di priorità, a qualcun altro spetta la gestione dei pazienti da ricoverare o da dimettere dopo opportuna osservazione. Va sempre tenuta a mente l’importanza della comunicazione con i parenti dell’assistito, cruciale per conoscere il paziente a 360 gradi e creare un rapporto di reciproca fiducia. Tra noi tre vincitrici, Giulia è un’infermiera: colgo l’occasione per ricordare quanto sia importante la presenza di queste figure, costrette ad un carico di lavoro spesso disumano.”
L'infermiera Valentina Liboni, scomparsa a soli 39 anni
Cosa significa per lei essere donna e aver conquistato un riconoscimento così importante in ambito medico? A quali prove occorre sottostare in una professione ancora dominata prevalentemente dal ‘sesso forte’ ? “Significa molto. Quando noi donne sappiamo raggiungere obiettivi prestigiosi in qualsiasi ambito ben sapendo quanto il percorso possa essere impervio, è sempre una bella soddisfazione. Sono stati fatti passi da gigante, ormai le donne sono una realtà consolidata anche in campi tradizionalmente ‘maschili’ come ad esempio fino a poco tempo fa in ambito scientifico. Le donne possono certamente raggiungere ruoli di prestigio perché sono convinta che chi merita riesce a farsi valere, eppure spesso devono faticare il doppio per ottenere lo stesso risultato di un collega di sesso maschile. Per certi versi trovo strano che sia ancora una notizia sensazionale quando una donna “ce la fa”. Il lavoro da fare è presumibilmente tanto, ma siamo sulla buona strada.”
Si è mai sentita discriminata a causa del suo sesso? “Non posso dire di aver subito discriminazioni importanti in tal senso. La mia è una carriera troppo breve per dare una risposta esaustiva, ciò non significa che casi di questo genere non siano una realtà. Ho testimonianza diretta di donne discriminate sul posto di lavoro anche con comportamenti non necessariamente plateali, ma subdoli in modo vile. A volte è sufficiente una parola fuori posto. Sono sicura che il nostro impegno incessante e la nostra capacità di non arrenderci di fronte alle sfide possano far invertire la rotta.”
Le cronache parlano di aggressioni nei confronti dei medici impegnati nei reparti di emergenza. E’ stata mai vittima di simili affronti? Ha mai subito molestie? “Le molestie fisiche sono solo la punta dell’iceberg di un problema più ampio. Le aggressioni verbali direi che sono all’ordine del giorno. Accade che spesso che la gente non abbia sufficienti strumenti per comprendere il tipo di lavoro a cui siamo sottoposti e perciò pretende di ottenere tutto e subito. Può esser molto frustrante sapere di star facendo il possibile e ricevere in cambio parole spesso volgari e irrispettose. Allora, a prescindere da chi abbiamo di fronte è necessario saper affrontare situazioni come queste che purtroppo fanno parte del lavoro. Talvolta le parole si tramutano in gesti violenti verso l’ambiente o verso le persone, ed è il disastro. La cosa terribile è che non esistono adeguate forme di tutela. “
Il suo è un lavoro duro. Perché lo ha scelto? Tornerebbe indietro potendo o invece l’entusiasmo e la passione superano ogni possibile difficoltà? “Credo che la Medicina d’Emergenza sia la specializzazione più bella di tutte, quella in cui vien fuori la vera essenza di un medico: saper far diagnosi in tempi brevi con i pochi mezzi a disposizione, essere in grado di organizzare al meglio il lavoro, avviare un iter terapeutico adeguato e stabilire un contatto con il paziente nelle sue ore più difficili. Le prime ore in Pronto Soccorso riescono a influenzare il decorso del paziente in maniera assoluta e sapere di aver salvato la vita a qualcuno dà sensazioni fortissime, irripetibili. Quindi rifarei la stessa scelta mille volte: certamente è un lavoro che sconosce la parola noia e ma non è mai piaciuto annoiarmi.”
Stefania Gemma è una delle vincitrici del premio istituito da Iemig - Italian Emergency Medicine Interest Group, gruppo di medici e sanitari dell’emergenza urgenza dell’ospedale pratese - in ricordo di Valentina Liboni
Spesso si punta il dito contro l’inefficienza dei pronto soccorso italiani. Attese dei pazienti troppo lunghe, addirittura in qualche caso notti intere trascorse sulle barelle aspettando un medico disponibile. Qual è il suo pensiero a riguardo? “Purtroppo sono scene spiacevoli anche per noi. Quello che vediamo è frutto di anni e anni di tagli alla sanità. Strutture inadeguate e personale carente e stremato, a fronte di un popolazione che invecchia costantemente e richiede un carico assistenziale sempre più complesso. Si tende a puntare il dito contro il medico di turno, ma basterebbe trascorrere un solo giorno sull’altra sponda del fiume per rendersi conto della realtà dei fatti. Noi ce la mettiamo tutta, ma non basta. La pandemia è servita a scoperchiare il Vaso di Pandora ed accendere i riflettori su un problema che, per la verità, esisteva già da prima. Spero che quanto abbiamo vissuto nel 2020 non venga dimenticato e serva da punto di partenza. O meglio, di ripartenza.”
Lei è una dottoressa decisamente giovane. Cosa immagina per il suo futuro? “Mi auguro di apprendere il più possibile e di crescere dal punto di vista professionale ed umano. Terminata la specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza, sicuramente, mi aspetterà la realtà quotidiana del Pronto Soccorso. Spero di crescere a tal punto da poter contribuire nel mio piccolo a migliorare il luogo in cui mi troverò ad operare. Ho tra gli obiettivi quello di ultra-specializzarmi in un settore, impegnandomi sempre di più nella ricerca scientifica. Non escludo neppure la carriera accademica : per me arrivare un giorno a formare la nuova classe medica sarebbe un onore.”
Qual è l’ideale di medico donna che la ispira e in qualche misura le piacerebbe imitare? “Ho avuto la fortuna di conoscere figure importanti lungo il mio percorso, senza le quali forse avrei fatto una scelta diversa. Non ho un ideale preciso ed illustre cui guardare, ma mi ispiro costantemente ai quei professionisti con i quali lavoro e vengo a contatto ogni giorno. Ognuno significa qualcosa per il mio essere medico e donna , perché ritengo che la crescita interiore sia importante al pari della capacità professionale raggiunta. Eppure c’è una donna in particolare che devo ringraziare, colei che mi ha presa per mano quando ero ancora una studentella spaesata e mi ha fatto innamorare di questo mestiere. Sì immagino che vorrei somigliare a lei, vorrei diventare grande come Sara.”