Colorante tessile, l'inquinamento non si ferma

L'industria tessile è seconda a livello mondiale per tasso di inquinamento ambientale

di DOMENICO GUARINO
12 novembre 2023
Bello cambiare stile e look ad ogni stagione. Simpatico gironzolare per negozi e fare shopping di abbigliamento. Ma… Quanto incide tutto questo sulla salute del nostro ambiente? La risposta non è delle migliori: tantissimo, purtroppo. Stando infatti agli studi più accurati, l’industria tessile è seconda a livello mondiale per tasso di inquinamento ambientale.

Il 20% dell'inquinamento delle acque arriva dal tessile

Alcune statistiche stimano infatti che il settore tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento delle acque, un inquinamento dovuto soprattutto ai prodotti di tintura e finissaggio. Inoltre, per coltivare le fibre naturali (soprattutto il cotone) vengono utilizzati fertilizzanti, erbicidi e pesticidi che penetrano nel terreno inquinando le falde acquifere. Mentre il lavaggio dei nostri indumenti, sia industriale che domestico, rilascia nell’oceano circa 0,5 milioni di tonnellate di microfibre all’anno, tra cui molte di queste sintetiche. Si pensi che un singolo carico di biancheria in poliestere può scaricare 700.000 fibre microplastiche.
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Il settore tessile è responsabile di circa il 20% dell’inquinamento delle acque a causa dei prodotti di tintura e finissaggio

L'impatto dei coloranti sulla terra e sull'uomo

I coloranti non trattati causano la riduzione del grado di luce visibile che passa attraverso lo strato superficiale, ostacolando la fotosintesi delle piante acquatiche e creando impatti lungo la catena alimentare, fino a compromettere l’esistenza di interi ecosistemi acquatici. Impatti negativi dei coloranti si riscontrano anche sulla terra, dove disturbano l’equilibrio delle comunità microbiche nel suolo, e negli esseri umani. L’esposizione ai coloranti può infatti scatenare allergie, asma, dermatiti e disturbi del sistema nervoso centrale. Aumentano perfino il rischio di cancro. L’ultimo lavoro che analizza l’impatto dell’inquinamento da coloranti tessili, pubblicato su Nature Reviews Earth & Environment, evidenzia che attualmente fino all’80% delle acque reflue industriali contenenti coloranti nei paesi a basso e medio reddito vengono rilasciate non trattate nei corsi d’acqua o utilizzate direttamente per l’irrigazione. Ciò pone una serie di minacce dirette e indirette alla salute umana, animale e vegetale.

Servono quasi 3mila litri di acqua per produrre una sola t-shirt

tessile-coloranti-inquinamento Anche perché le quantità in gioco sono enormi. Si pensi che per realizzare una sola t-shirt di cotone occorrono circa 2.700 litri di acqua dolce, sufficienti a soddisfare il fabbisogno di una singola persona per ben 2,5 anni. In pratica per ogni t-shirt immessa nel mercato rinunciamo a 2 anni e mezzo di acqua, proprio mentre diversi popoli muoiono di sete. Computando il volume complessivo delle produzioni tessili stimate annualmente, arriviamo ad una cifra davvero assurde: 8 anni fa si calcolava infatti che il settore tessile utilizzasse 79 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, a fronte di un fabbisogno complessivo, dell’intera economia dell’UE è stato pari a 266 miliardi di metri cubi.
 
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Le conseguenze sull'aria: i gas serra

Oltre all’inquinamento delle acque, l’industria tessile ha un impatto considerevole anche sull’aria, essendo responsabile almeno del 10% delle emissioni globali di gas serra, più dei voli internazionali e delle spedizioni marittime messe insieme. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, gli acquisti di tessili effettuati all’interno della sola Unione Europea nel 2017 hanno generato circa 654 kg di emissioni di CO2 per singola persona. Il problema vero è che, mentre altri settori sembrano essere costantemente sotto attenzione (pensiamo all’automotive) in questo caso nessuno sembra stia facendo nulla per arginare il fenomeno. Secondo gli esperti, data la complessità che comporta trattare delle acque reflue contenenti coloranti, una soluzione sarebbe quella di passare da metodi centralizzati o regionali a un sistema decentralizzato. Serve un trattamento sito-specifico alla fonte, con obblighi per le industrie a rimuovere i coloranti dalle acque reflue che producono prima che raggiungano i sistemi idrici pubblici.  Ovviamente per fare questo necessitano soluzioni legislative ed amministrative che però ancora latitano.