Dal giorno in cui è nata l’idea di creare uno spazio digitale dedicato alla diversità e all’inclusione, ho pensato a lungo a che cosa significassero davvero per me queste parole. Ho pensato a tutte le innumerevoli volte in cui per esempio io stessa mi ero sentita diversa, fuori posto, inadeguata, esclusa. Ho imparato che per dare una forma riconoscibile a ciò che scriviamo, dobbiamo ricondurla a qualcosa che corrisponda a immagini autenticamente nostre. In caso contrario il trucco si vede e chi legge si accorge immediatamente dell’artificio, del vuoto che le parole possono lasciarsi dietro, e portarsi dentro, quando non siano profondamente vere. Enzo Biagi, citando una diciassettenne Natalia Ginzburg, diceva: «Dire la verità. Solo così nasce l’opera d’arte». E allora la prima cosa che mi viene in mente è che il senso di diversità io lo associo alla paura. Ricordo che, molto piccola, erano gli anni ’80, avevo paura degli ambulanti senegalesi che vendevano borse e occhiali in spiaggia, sul mare di Marina di Carrara dove andavo con i miei. Ne avevo paura proprio in virtù del fatto che fossero neri: il loro essere così neri in quella spiaggia di bianchi lasciava la me di quattro anni decisamente angosciata. Ricordo che lo dissi a mio padre che avevo quell’angoscia, e glielo dissi mettendoci sopra una domanda, non esplicita, ma che stava a galleggio su ogni sillaba: perché mi fanno così paura? Mio padre mi prese molto sul serio, e credo che ci pensò un po’ su prima di rispondere. Infine mi rispose con un’altra domanda: mi chiese se avessi paura dei miei fratelli. Ne ho due, un fratello e una sorella per la precisione, entrambi più grandi di me, entrambi adottati. Sono peruviani, di Cusco. Hanno la pelle scura. Non scura come gli ambulanti senegalesi, ma decisamente scura: più marrone che nera. Non ebbi bisogno di rifletterci: certo che non avevo paura dei miei fratelli. «Lo vedi? – disse allora mio padre – gli ambulanti ti fanno paura solo perché non li conosci». Crescendo ho ripensato più volte a quella risposta, arrivando a un certo punto a convincermi che se era vero che abbiamo paura solo di ciò che non conosciamo, allora sarebbe bastato conoscere tutto per non avere più paura di nulla. Sembra così semplice. Sembra. Resta un fatto: e cioè che il senso di che cosa è diversità, e di conseguenza di che cosa è inclusione, arriva da un desiderio che sempre inevitabilmente ci sfugge e a cui sempre inevitabilmente tendiamo: quello di essere come tutti. Ci ha scritto sopra un saggio-romanzo Francesco Piccolo, Il desiderio di essere come tutti, e porta per incipit un’altra frase della straordinaria Ginzburg: «Di diversità e solitudine, e di desiderio di essere come tutti, è fatta la nostra infelicità e tuttavia sentiamo che tale infelicità forma la sostanza migliore della nostra persona ed è qualcosa che non dovremmo perdere mai». Nessuno di noi può affermare di non essersi mai sentito diverso, almeno una volta, nella sua vita. E allora uno spazio digitale dedicato alla diversità e all’inclusione (e alla coesione) parla alla fine semplicemente di ciascuno di noi. Di tutte le volte in cui ciascuno di noi ha desiderato di essere come tutti sentendosi invece in un lontano altrove, e ne ha avuto paura. Diversi dunque siamo tutti, ma la sfida difficile e necessaria oggi è raccontare quella diversità in una chiave autentica, che possa comprenderci e farsi comprendere: unire, non dividere. Che faccia conoscere, che ci faccia conoscere, nella nostra pelle e nei nostri amori e nei nostri gusti e nelle nostre povertà e ricchezze e debolezze. Per non avere paura né di noi stessi, né degli altri. Né della nostra diversità, né di quella altrui. Che faccia luce. Non a caso questo progetto editoriale si chiama così: Luce! Ringrazio l’editore Andrea Riffeser Monti e la sua famiglia, ringrazio tutto il team digitale che si è dedicato al progetto. Quello che leggerete, vedrete, ascolterete su www.luce.news nasce dalla loro visione, dalla loro creatività, dal loro coraggio. E dalla passione di tutti i giornalisti, i fotografi, i videomaker, i grafici e art director che lavorano su questo progetto. Non è mai troppo tardi per farsi una nuova opinione, non è mai troppo tardi per abbattere un pezzo della nostra paura. Se avete voglia di provarci con noi, venite a trovarci su Luce! Buona lettura.