Chiunque abbia più di 30anni oggi ha il ‘suo’ 11 Settembre. L’attacco alle Torri Gemelle, il simbolo della città che era ed è il simbolo degli Stati Uniti e dell’Occidente inteso come complesso di valori, di politiche, di stili di vita, è stato per tutti shock inatteso e fortissimo. Uno shock che ha cambiato la nostra percezione del mondo, il rapporto con gli altri, il nostro stesso indentificarci come componenti di una ‘civiltà’ in rapporto o in opposizione con altre ‘civiltà’. La guerra dentro casa, anche se in quella ‘casa’, che veniva giù con immagini entrate nella storia anche della comunicazione, noi non c’eravamo. Ma era come se ci fossimo. Da allora nulla è stato più come prima. Il professor Ugo Bardi , docente di chimica fisica all’università di Firenze, uno dei più letti divulgatori scientifici, studioso in particolare degli idrocarburi e del petrolio, in quei giorni si trovava negli States. Dov'era l’11/9/01? "Negli Stati Uniti, lavoravo come ricercatore all’università di Berkeley, in California". Come venne a conoscenza della notizia? "Ricordo benissimo che avevo fatto colazione a casa, sulla collina di Berkeley. Prima di uscire per andare al mio ufficio, passai di fronte al televisore acceso nel soggiorno. Ho visto la prima torre in fiamme e mi chiesi che razza di film fosse. Poi, quel giorno, a lavorare non ci andai". Quale fu la sua reazione immediata? "Quando ti trovi davanti all’inaspettato, non riesci veramente a inquadrarlo in quello che pensi del mondo. Nell'immediato, fu uno spaesamento quasi totale. Il laboratorio dove lavoravo rimase chiuso per una decina di giorni. Non avevo contatti con nessuno, potevo soltanto aggirarmi per Berkeley con aria spettrale. Berkeley, all’epoca (e ancora oggi) era una città piena di librerie. Ho passato giornate intere frugando fra scaffali e scaffali, cercando di capire cosa stava succedendo. E alla fine trovai la risposta". Quale? "Era tutto scritto in un libro che si intitola “La vista dal Picco di Hubbert”; di Kenneth Deffeyes, geologo americano che più tardi avrei conosciuto di persona. Raccontava una storia che non avevo mai sentito prima. Negli anni 1950, un altro geologo americano, Marion King Hubbert, fece uno studio secondo il quale gli Stati Uniti avrebbero visto l’inizio del declino della loro produzione petrolifera a partire dal 1970. Ciò avrebbe significato la fine dell’Impero Americano a meno che non si fossero trovate nuove risorse petrolifere da controllare. La previsione di Hubbert poi si rivelò corretta e la scarsità di petrolio mise in grave difficoltà economica gli Stati Uniti. Il libro di Deffeyes non parlava di geopolitica, ma si intuiva che la base della faccenda era quella. Più tardi, avrei trovato documenti del congresso Americano in cui già dagli anni 1990 si parlava del controllo dell’Afghanistan per ottenere l’accesso alle risorse petrolifere del Mar Caspio che, allora, si ritenevano enormi. Poi, la storia si è sgonfiata, le famose “enormi risorse” si sono rivelate illusorie. Ma il concetto di controllare il Medio Oriente e l’Asia Centrale è rimasto fino ad oggi, quando poi anche la questione Afghanistan è crollata. Allora come oggi non sapevo quali manovre fossero dietro lo scontro che aveva portato agli attacchi del 9/11, ma indubbiamente erano tutte cose correlate: la scarsità di petrolio era ed è tuttora alla base di tutta la politica".
Da quanto afferma, si evince che l’attacco alle torri e agli altri obiettivi, rappresenterebbero il casus belli indispensabile per scatenare una guerra altrimenti non giustificabile. Ritiene dunque ci siano stati non solo una matrice economica, ma anche un decisivo concorso dell'Occidente, negli attentati di 20 anni fa? "All’epoca non sapevo quali manovre fossero dietro lo scontro che aveva portato agli attacchi del 9/11. Non è necessario pensare che, come è stato detto più volte, il governo americano fosse complice o connivente con gli attaccanti, cosa per la quale non abbiamo nessuna evidenza. Ma mi era chiaro allora, come mi è chiaro oggi, che gli attacchi erano l’espressione di un conflitto strategico fondamentale creato dal ruolo del petrolio nell’economia globale. Da una parte, gli stati occidentali consideravano il Medio Oriente e l’Asia centrale come una zona da controllare militarmente fin dal tempo della “dottrina Carter” del 1980. Dall’altra, gli stati produttori che facevano capo all’OPEC e che erano intenzionati a mantenere il controllo sulle loro risorse petrolifere anche per mezzo di interruzioni nelle forniture, come era successo con l’embargo petrolifero del 1973. Gli attacchi del 9/11 furono usati come un “casus belli” per l’invasione dell’Afghanistan, ma furono soltanto un episodio di un conflitto molto più vasto ed esteso nel tempo e che dura ancora oggi". In che modo quell’evento ha influenzato la sua vita ed anche le sue scelte professionali? "Già allora mi occupavo di petrolio, ma come chimico. Da allora ho cominciato a interessarmi dei fattori sociali, economici, e politici correlati al petrolio. Sono stati venti anni di ricerca in un campo interessantissimo. Ho conosciuto tutto il mondo dei geologi petroliferi, come pure il mondo dei ricercatori in campo energetico. E’ una storia di una complessità spaventosa, ma è la chiave per cercare di capire che cosa sta succedendo".
Quali riflessioni le ispira quell’evento, a venti anni di distanza? "Entro certi limiti, la storia del petrolio si avvia verso la sua conclusione. Sia perché ne rimane sempre meno, sia perché non possiamo permetterci di inquinare ancora l’atmosfera bruciandolo. Adesso il gioco è completamente diverso. Consiste nel dominio delle nuove tecnologie energetiche che faranno la differenza per il resto del secolo. Forse saranno tecnologie nucleari, ma molto più probabilmente saranno le nuove tecnologie solari ad alta efficienza. Chi resta fuori da questo giro, ancorato alle vecchie tecnologie petrolifere, sarà in grave difficoltà per sopravvivere alle condizioni difficili che ci aspettano nel resto del secolo". È un evento storico che ha esaurito le sue conseguenze, o ancora no? "Per tutto quello che ho detto, possono valere entrambe le risposte. Lo è e non lo è. A seconda di come si guardi alla questione".