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Abraham e Moses: vite spezzate di chi lotta per la pace in Sud Sudan. In una lettera le storie degli operatori di Medici con l'Africa Cuamm uccisi

di MARIANNA GRAZI -
11 giugno 2021
Agguato

Agguato

Uccisi mentre lavoravano per realizzare un sogno. Quello di aiutare il loro paese, il Sud Sudan, a trovare una pace che appare lontana e sfuggente. Storie di impegno, di valori, di fratellanza e di solidarietà. Vite spezzate. E il dolore di chi, quelle vite, quelle storie, le ha conosciute. E prova a raccontarle in una lettera. A scriverla Don Dante Carraro, direttore di Medici con l'Africa Cuamm, una tra le maggiori organizzazioni non governative sanitarie italiane per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. "Abraham e Moses. Due nomi importanti, che evocano una storia antica, storia di dialogo, di grandi sogni, storie di cammino ed esodo per passare dalla schiavitù alla terra promessa. E il loro sogno, forse lo avevano proprio realizzato Abraham Gulung e Moses Maker Manyual, i nostri due colleghi sud sudanesi che lunedì scorso hanno perso la vita mentre svolgevano il loro lavoro con il Cuamm". Inizia così la missiva di Don Dante, che ha annunciato la sua partenza verso il Paese africano la prossima settimana.

Abraham Gulung, 32 anni

Abraham, 32 anni era un autista, originario del villaggio di Abuongkeu. Una figura indispensabile in un territorio come quello del Sud Sudan: "Ci vuole molta bravura e capacità di trovare strade e soluzioni rapide per aggirare gli ostacoli. Gli autisti sanno percorrere strade di tutti i tipi, guidare l’auto nel pantano, oltrepassare le voragini d’acqua che si formano quando piove tanto" racconta il sacerdote. Figlio unico, lascia la moglie e 4 figli, due maschi e due femmine, Mabeny, Mapier, Nyakuoth e Iding, quest’ultima nata da pochi mesi. Il suo lavoro per Medici con l’Africa Cuamm era iniziato a febbraio 2020. "Era sempre pronto a correre in tuo aiuto, era solito dire 'sono qui, fratello, pronto per aiutarti!' e lo faceva con uno splendido sorriso", ricordano i gli operatori da Yirol. Moses aveva appena un anno in più, era anche lui molto giovane. Originario di Tonj, capitale dell’omonimo Stato che confina con lo Stato dei Laghi. Quinto di dieci fratelli, aveva frequentato la scuola fino alla classe quarta nella sua regione, per poi proseguire gli studi nel campo rifugiati di Kakuma in Kenya. "Lì era riuscito a completare gli studi primari e a diplomarsi come infermiere presso la Kenyatta International University fino a conseguire un master come nutrizionista. Da gennaio 2020 aveva iniziato a lavorare con il Cuamm". A piangere la sua scomparsa sono le sue tre mogli e i suoi 5 figli. "Era un uomo energico, lo si capiva anche dal suo modo rapido di camminare. Alle 7,30 del mattino era tra i primi ad arrivare in ufficio e mandava messaggi di buongiorno quando magari molti di noi stavano ancora faticando a svegliarsi – ricordano alcuni dei colleghi –. Il suo sorriso e la sua risata erano il suo biglietto da visita, per questo entrare in relazione con lui era molto facile".

Moses Maker Manyual, 33 anni

Lo choc, nella sede centrale dell'associazione a Padova, è forte. "Un sogno di impegno e di aiuto verso il loro popolo e il loro paese. Uno autista, l'altro nutrizionista percorrevano in lungo e in largo il territorio attorno a Yirol, per supervisionare le attività dell’intervento sulla Nutrizione – prosegue la lettera – Raggiungevano le unità sanitarie più lontane e difficili, in quell’ultimo miglio del sistema sanitario che tanto ci è caro". I due amici, prima che colleghi operatori, hanno perso la vita il 7 giugno, in una zona periferica della città di Yirol nel Lake State, mentre tornavano dalla consegna di supplementi nutrizionali prima della stagione delle piogge. Viaggiavano nella prima vettura di un convoglio umanitario, con tanto di scorta di sicurezza, ma sono stati sorpresi da una sparatoria per mano di uomini armati. I malviventi, messi in fuga dagli agenti di sicurezza, sono scappati ma per Moses e Abraham non c’è stato nulla da fare. "Non sappiamo chi abbia compiuto questo gesto atroce, nemmeno il perché. Forse una regolazione di conti tra clan", scrive il parroco. "Siamo scossi e viviamo con grande preoccupazione questa fase di transizione verso la pace che si sta con tanta fatica costruendo – ha aggiunto –. Per questo la prossima settimana raggiungerò i nostri in Sud Sudan per sostenerli e incontrare le autorità locali. È forte la nostra determinazione ad essere vicini al popolo sud sudanese pur tra tante difficoltà". In merito al triste evento è intervenuta anche Chiara Scanagatta, responsabile dei progetti Cuamm in Sud Sudan, da poco rientrata da quelle zone: "La dinamica è chiara ma il movente no – ha detto – Si pensa ad una conflittualità tra clan legata al controllo dei terreni dove far pascolare il bestiame. Oramai essere operatori umanitari non è più un deterrente. Le indagini sono in corso e per ora non c’è stato nessun arresto – prosegue -. Non sembra un tentativo di rapina, non è stato rubato niente. Le questioni personali o faide familiari non sono da escludere ma solitamente quando sono in pericolo ci avvisano. Ora dialogheremo con le autorità per capire come garantire migliori condizioni di sicurezza. Noi ovviamente restiamo accanto alla popolazione". Perché l'impegno preso va mantenuto a qualsiasi costo, anche se questo non dovrebbe mai essere rappresentato dalle vite umane. Anche Scanagatta ha voluto ricordare i due operatori sanitari uccisi. Moses, racconta, "era la persona giusta per quell’impiego (come nutrizionista, ndr). Era una scheggia, sempre attivo e in movimento, voleva capire e voleva fare, si spostava in continuazione da un posto all’altro per fornire i supplementi nutrizionali alla popolazione malnutrita. Era molto coinvolto, gli piaceva quello che faceva". E su Abram, il giovane autista, ricorda quanto amasse il suo lavoro, "si interessava a quello che facciamo, era piacevole stare con lui. Ci tengo a sottolineare il ruolo degli autisti: sono i nostri angeli custodi".

Un medico della Ong Cuamm che presta il suo servizio in Africa

Quello avvenuto nei giorni scorsi In Sud Sudan non è il primo attacco che coinvolge operatori sanitari italiani ma anche stranieri. Basti ricordare l'agguato contro il vescovo 43enne di Rumbek Christian Carlassare a Lake State lo scorso aprile. Un territorio con altissimo livello di conflittualità, che spesso esplode nelle faide tra clan e non si ferma neppure di fronte a chi cerca di fare del bene per la popolazione. "È una zona dinka, dove vivono pastori nomadi che lottano per il controllo del territorio dove far pascolare il bestiame" spiega la responsabile dei progetti Cuamm. "La violenza non cessa ma la popolazione non ne ha colpa e i bisogni sono tantissimi – osserva –. Forse è necessario insistere sulla formazione delle nuove generazioni, serve un cambiamento culturale". Un cambiamento che proprio i Medici con l'Africa stanno cercando di realizzare, in comunione con le autorità locali. Il progetto in Sud Sudan è il più grande e importante, perché qui la particolarità del sistema sanitario è che questo usa dare in appalto alle Ong la gestione dei servizi, pur restando sotto la guida del ministero locale. Il Cuamm svolge quindi un ruolo fondamentale di accompagnamento, formazione e assistenza, integrando anche i miseri stipendi dei governativi. Dopo i recenti episodi l’Onu ha invitato ad indagare sugli omicidi con urgenza, mentre il ministero degli Affari esteri italiano ha condannato fermamente l’attacco al convoglio umanitario, esprimendo in un tweet "profondo cordoglio alle famiglie dei due cooperanti sud-sudanesi rimasti coinvolti nel tragico evento".