MeToo, la revoca della condanna per stupro a Weinstein riapre la ferita delle attrici

La sentenza dei giudici della Corte d’Appello di New York fa scattare la reazione delle sopravvissute che avevano denunciato il produttore: “Decisione ingiusta, ma il mondo dopo il 2017 è cambiato”

di Redazione Luce!
25 aprile 2024
Harvey Weinstein

Harvey Weinstein

“Questa sentenza non sminuisce la validità delle nostre esperienze o della nostra verità”.

Il tribunale di New York annulla la condanna per stupro del 2020 ad Harvey Weinstein. La notizia che nelle ultime ore ha suscitato scalpore in tutto il mondo è nota: la Corte Suprema dello Stato ha stabilito che il giudice a cui era stato affidato il processo ha sbagliato nel permettere di testimoniare in aula alle donne le cui accuse non facevano parte del caso. 

I pubblici ministeri ora dovranno decidere se chiedere un nuovo processo contro il produttore caduto in disgrazia, che in quell’udienza era stato condannato a 23 anni di prigione per due reati: aver obbligato un’assistente di produzione a praticargli sesso orale nel 2006 e aver stuprato un attore nel 2013. Intanto però Weinstein rimarrà in carcere perché è stato giudicato colpevole a Los Angeles nel 2022 di un altro stupro e condannato a 16 anni di carcere, mentre lo stesso tribunale lo ha assolto dalle accuse che coinvolgevano una delle donne che avevano testimoniato a New York.

Una decisione di forma, quella della giuria di New York, che però ha un effetto sostanziale su tutto quello che è stato ed è il movimento MeToo. La sentenza della Corte d'Appello di New York riapre infatti un capitolo doloroso della storia americana, legata appunto agli abusi sessuali, alle violenze e alle condotte moleste che molti personaggi di potere dell’industria cinematografica hanno portato avanti per decenni.

La storia del MeToo

Con l’espressione (generalmente usata come hashtag) MeToo si fa riferimento infatti al movimento di denuncia di molestie e abusi sessuali che prende nome dall’hashtag diffusosi nel 2017, quando la valanga di accuse e di denunce da parte delle attrici di Hollywood è piombata sulla testa del celebre produttore Weinstein. Questa mossa ha ispirato un vero e proprio fenomeno mondiale, con centinaia di donne (e anche uomini) che si sono fatte coraggio e hanno deciso di portare alla luce gli abusi subiti, le minacce, i ricatti che avevano subito da questi potenti. Altre iniziative simili, comunque, erano avvenute già in passato: nel 2016, in America latina e in Spagna, il collettivo femminista brasiliano "Think Olga" aveva invitato le donne a parlare sulle piattaforme della loro esperienza con gli abusi e le violenze sessuali, contrassegnando la loro testimonianza con l'hashtag #PrimeiroAssédio (“primo assalto”). 

In realtà l’espressione, traducibile come “anche io”, è stata utilizzata per la prima volta nel 2006 dall’attivista Tarana Burke a sostegno delle donne di colore che erano state vittime di stupro o molestie. Nell’ottobre di undici anni dopo l’attrice Alyssa Milano ha rilanciato sui social l’hashtag proposto dalle Silence breakers (“le donne che hanno rotto il silenzio”), che è diventato virale perché condiviso da milioni di utenti di sesso femminile in tutto il mondo. 

Diverse celebrità del mondo dello spettacolo hanno utilizzato l'onda del movimento per denunciare le loro esperienze, come Asia Argento, Gwyneth Paltrow, Ashley Judd, Jennifer Lawrence, Uma Thurman e la compianta Gina Lollobrigida. Così, da sigla per indicare quello che succedeva all’interno degli studi di Hollywood, MeToo è però passato a denotare in senso più ampio le molestie sessuali che avvenivano (e avvengono) sui luoghi di lavoro e di socializzazione, in campi professionali e sociali anche diversi dal settore cinematografico da dove tutto era iniziato. L’obiettivo era diventato infatti quello di invitare a denunciare storie personali di sopraffazioni fisiche e psicologiche a sfondo sessuale, facendo sì che si rianimasse in tutto il mondo il dibattito sulla questione di genere, in tutte le sue sfumature e problematiche. 

Nel 2017, quando è scoppiato il caso, il movimento è stato premiato (e messo in copertina sul settimanale) dal Time come come “persona dell'anno” e sull'onda del fenomeno, in occasione della Giornata internazionale della donna dell'8 marzo 2018 è stata organizzata uno sciopero che ha coinvolto più di 70 Paesi nel mondo. Nello stesso anno le giornaliste del New York Times e del New Yorker Megan Twohey, Jodi Kantor e Ronan Farrow hanno ricevuto il Premio Pulitzer per il servizio pubblico per le inchieste che hanno portato alla luce il caso Weinstein da cui il MeToo ha preso avvio.

Una ferita riaperta per le vittime

Ora però, dopo che la condanna del 2020 è stata revocata per – appunto – una questione di forma che ha una rilevanza sostanziale, le accusatrici del produttore potrebbero essere nuovamente costrette a rivivere i loro traumi sul banco dei testimoni. Le sopravvissute, pochi minuti dopo la sentenza, hanno condiviso sui social e con i giornalisti la loro delusione e il loro sdegno. Tra le prime a intervenire c’è stata l'attrice Ashley Judd, che ha parlato di una decisione “ingiusta nei confronti delle sopravvissute”. Lei è stata anche una delle prime a condividere pubblicamente le accuse contro Weinstein e ora ribadisce, parlando al New York Times: “Viviamo ancora nella nostra verità. E sappiamo cosa è successo”.

La modella Ambra Battilana Gutierrez, che aveva accusato Weinstein di averle palpeggiato il seno e di averle infilato una mano sotto la gonna, ha dichiarato in un comunicato: “Se il procuratore avesse preso sul serio il mio caso nel 2015, non saremmo qui. Questo è un continuo fallimento del sistema giudiziario – e dei tribunali – nel prendere sul serio i sopravvissuti e nel proteggere i nostri interessi”.

Le Silence Breakers, il gruppo che rappresenta più di 90 donne che hanno accusato Weinstein, hanno definito la decisione “profondamente ingiusta”, ma hanno spiegato che si tratta anche di “una semplice battuta d'arresto”. Nella loro dichiarazione, inviata a THR, sostengono: “La notizia di oggi non solo è scoraggiante, ma è profondamente ingiusta. Ma questa sentenza non sminuisce la validità delle nostre esperienze o della nostra verità; è solo una battuta d'arresto. L'uomo giudicato colpevole continua a scontare la sua pena in una prigione della California. Quando nel 2017 le sopravvissute di tutto il mondo hanno rotto il loro silenzio, il mondo è cambiato. Noi continuiamo a essere forti e a sostenere questo cambiamento. Continueremo a lottare per ottenere giustizia per i sopravvissuti di tutto il mondo”.