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Home » Attualità » Afghanistan, scuole incendiate e rase al suolo. Sos di Save the children: “I bambini non diventino danni collaterali”

Afghanistan, scuole incendiate e rase al suolo. Sos di Save the children: “I bambini non diventino danni collaterali”

Alla vigilia della partenza dal territorio delle truppe Nato, 25 plessi sono stati resi inutilizzabili e 28 mila studenti sono rimasti senza classi. L'ong lancia l'allarme a far rispettare le norme di diritto umanitario. "Non combattete sulle pelle dei più piccoli"

Domenico Guarino
24 Giugno 2021
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Bimbe in una scuola di Save the Children a Jalalabad

In Afghanistan migliaia di bambini stanno perdendo l’accesso all’istruzione a causa dei continui attacchi alle scuole.  Lo denuncia Save the Children, organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i piccoli a rischio e garantire loro un futuro, secondo cui  “sono dozzine gli edifici scolastici incendiati”  nelle ultime settimane.

Solo nella giornata dell’altro ieri, l’ong ha denunciato il ferimento di sei minori nella provincia orientale di Nangarhar  a causa dell’esplosione di una granata di mortaio. La scorsa settimana nel distretto di  Kandahar, nel sud dell’Afghanistan,   25 scuole sono state  danneggiate, con  quasi 28.000 studenti impossibilitati a tornare nelle loro classi quando riapriranno. Diverse scuole rase al suolo anche  nella provincia settentrionale di Faryab, inclusa una sostenuta da Save the Children, che è stata distrutta da razzi e proiettili vaganti il 22 giugno.

Raheela, 12 anni, frequenta una scuola sotto tutela di Save the Children nella provincia di  Kandahar

Per questo  l’ong – che lavora in Afghanistan dal 1976  a stretto contatto con bambini, genitori, insegnanti, consigli di villaggio, leader religiosi, ministeri, organizzazioni non governative,  con uffici provinciali a Kabul, Nangarhar, Kandahar, Kunduz, Jawzjan, Sar-e-Pul, Balkh e Faryab – chiede a tutte le parti coinvolte nel conflitto in Afghanistan di rispettare le norme internazionali di diritto umanitario e garantire che i bambini e le scuole non diventino danni collaterali.

L’organizzazione sottolinea che, sebbene le scuole siano attualmente chiuse nel Paese a causa del blocco per il covid-19, devono essere sempre protette come spazi sicuri per i bambini.

“I bambini in Afghanistan hanno già sopportato troppo a lungo il trauma della guerra. La distruzione di queste scuole è una violazione dei diritti dei minori afgani che impedirà loro di tornare sui banchi, l’unica possibilità che hanno per un futuro migliore” ha dichiarato Athena Rayburn, direttrice Advocacy e Media di Save the Children Afghanistan, che chiede aiuto alla comunità internazionale affinché si faccia carico della denuncia e faccia pressioni affinché l’appello alla protezione delle scuole sia supportato dalle opinioni pubbliche.

“I bambini – sottolinea Rayburn-  non hanno alcun ruolo nel conflitto e tuttavia, come troppo spesso accade, stanno pagando il prezzo di questa escalation di violenza. Le speranze e i sogni di un’intera generazione di minori vengono così distrutti. Tutte le parti in conflitto devono garantire la protezione dei bambini e delle scuole. I bambini e i luoghi che forniscono loro rifugio sicuro non devono mai diventare danni collaterali”

 

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#lucenews #lucelanazione #bebevio #inclusivity #libera #protesi #tornosubito
  • Maura Nardi, 41 anni a novembre, ed Emanuele Loati, 25, oltre ad essere innamorati, sono due giovani transgender che, dopo una vera e propria odissea, hanno completato insieme la transizione per il cambio di sesso. E ora, nuovi documenti alla mano, coroneranno finalmente il loro sogno d’amore con le nozze.

“Con l’identità di genere non si può scendere a patti: puoi lottarci per un po’, ma alla fine devi accettare quello che sei perché in ballo c’è la tua vita”.

Emanuele e Maura si sono conosciuti 3 anni fa, proprio durante il difficile e lungo percorso che li avrebbe portati alla loro nuova identità. Da quel primo incontro, proprio come in una favola con la freccia di Cupido scoccata che non lascia scampo, i due non si sono più lasciati.

Uniti, supportandosi a vicenda senza mai smettere di amarsi, hanno affrontato tutte le difficoltà che si sono presentate e non sono state poche: prima la sofferenza emotiva (ma anche fisica) per la transizione, aggravata poi dalla burocrazia dello Stato. E dopo tante peripezie la luce è apparsa in fondo al tunnel: l’ufficio anagrafe del comune di Recanati, in provincia di Macerata, ha provveduto a rettificare i loro documenti di identità. Era l’ultimo step da superare prima del via libera al matrimonio. Ora non resta che organizzare.

Se quella di Nardi e Loati è una vicenda già particolarmente travagliata, anche se a lieto fine, per Maura le cose sono state, se possibile, ancora più difficili. Ha iniziato la transizione nel 2016 e quando ha completato il percorso, è stata la prima persona non vedente italiana a riuscirci. Da quando ha 19 anni soffre di una forma di cecità a causa dello sviluppo di una rara malattia alla retina, nel suo caso “è stato più semplice convivere con la cecità che con l’incongruenza di genere”.

E aggiunge: “Nonostante il supporto non è stata una passeggiata: ho avuto diversi momenti di sconforto e paura, altri in cui mi sono sentita in colpa per aver trascinato la mia famiglia in questo cammino così complesso. Oggi so che rifarei tutto. La ciliegina sulla torta è stata l’arrivo del mio compagno. Ora finalmente siamo pronti a sposarci e possiamo pensare a una cosa bella”.

#lucenews #recanati #nozze
  • Quello che molti temevano è purtroppo accaduto: per scoprire le interruzioni di gravidanza negli Usa le autorità stanno facendo ricorso anche ai dati personali contenuti nelle app di messaggistica e sui social. 

A destare scalpore è un caso in Nebraska, dove Celeste Burgess, 18 anni, e sua madre Jessica, 41, sono finite in tribunale per un presunto aborto illegale, con molteplici capi d’imputazione. La polizia ha presentato come prove i messaggi su Facebook che le due donne si sarebbero scambiate e a cui, con l’autorizzazione dei gestori della piattaforma – in questo caso Meta –, ha avuto accesso. Le chat private, secondo le autorità, mostrano le prove di un aborto farmacologico illegale, autogestito alla 28esima settimana di gestazione (settimo mese), e di un piano per nascondere "i resti”.

Dopo che la polizia ha ottenuto il materiale dai due mandati di perquisizione, Jessica è stata accusata di altri due reati, induzione all’aborto illegale e pratica dell’aborto come persona diversa da un medico autorizzato, per i quali si è nuovamente dichiarata non colpevole. Attualmente il Nebraska proibisce gli aborti dopo le 20 settimane, una legge in vigore da prima dell’annullamento della sentenza Roe v. Wade.

Il problema di fondo che emerge da questa e da tante altre vicende in materia di diritti ha un duplice aspetto: da una parte c’è l’obbligo di una società di fornire i dati alle forze dell’ordine che ne fanno richiesta per le indagini e dall’altra la possibilità di disporre di questi dati. 

Mai come oggi grandi aziende private possono disporre di informazioni personali relative ai propri utenti, e se queste sono utili per fermare chi commette crimini è un conto, ma se le leggi vengono modificate ciò che può essere giudicato come crimine cambia. Il caso di Celeste Burgess è solo un esempio, ma conferma anche che negare il diritto all’aborto non eradica il fenomeno, ma lo trasporta in una dimensione di illegalità e pericolo per la salute della donna.

#lucenews #lucelanazione #aborto #nebraska #abortion #usa
  • La scelta coraggiosa del calciatore croato Robert Peric-Komsic non poteva non fare il giro del mondo in un baleno. Nel fiore dell’età, e con tutta la vita davanti, a soli 23 anni ha deciso di lasciare il mondo del pallone. La sua non è stata una scelta forzata, è stata intimamente voluta, e se ha detto addio alla sua carriera è stato solo per una scelta d’amore. Dimostrando che la vita della propria madre viene prima di qualunque cosa. Prima della passione per il pallone, prima del successo, prima di ogni carriera.

“Non c’erano altre opzioni, io era l’unica possibilità, l’ultima. Ho avuto ben chiara qual era la mia missione: salvarla.”

L’attaccante del Cibalia Vinkovci non ci ha pensato due volte quando si è trattato di scegliere tra il suo futuro nel mondo calcistico e la salute della sua mamma malata. Per tanto, troppo tempo l’aveva vista lottare contro una malattia al fegato. Ora non c’era più tempo da perdere: si trattava di trovare un donatore compatibile, e al più presto. Lo stomaco della donna si stava oramai riempiendo di acqua, e questo voleva dire che le rimaneva poco tempo, secondo i medici che l’avevano in cura. Questione di qualche giorno appena. Il calciatore della seconda divisione croata era l’unico compatibile. A quel punto Peric-Komsic si è tolto la tuta, ha riposto maglietta e calzoncini da calciatore nella sua valigia e ha preso l’aereo, salendo sul primo volo con destinazione Istanbul. Lì ha trovato sua mamma Ljiljiana che l’aspettava per abbracciarlo, in fin di vita.

“Dopo aver lottato duramente per 13 anni, il vero eroe è lei. Io ho solo fatto quello che chiunque al posto mio avrebbe fatto."

Sono passati quattro mesi e più dall’intervento. Il trapianto è andato benee la signora Ljiljiana è migliorata molto da allora. Giorno dopo giorno ce l’ha messa tutta, e con una straordinaria forza di volontà, animata dall’amore di suo figlio, si sta piano piano riprendendo. E a chi si complimenta per aver fatto qualcosa di straordinario, con l’umiltà dei grandi risponde: “È stata mia madre a darmi la vita. Io l’ho solo estesa a lei”.

#lucenews #lucelanazione #donazionefegato #RobertPericKomsic #donarelavitaperamore
Bimbe in una scuola di Save the Children a Jalalabad
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Raheela, 12 anni, frequenta una scuola sotto tutela di Save the Children nella provincia di  Kandahar
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