Ecco cosa prova un uomo a vivere la violenza di genere nei panni di una ragazza

Il progetto multidisciplinare della Scuola Sant'Anna di Pisa è uno strumento privilegiato per far comprendere davvero cosa significhi subire una molestia e adottare politiche di prevenzione e protezione

di GIOVANNI PIEROZZI
24 ottobre 2023

Festival di Luce!

In Italia quello della violenza sulle donne è un tema opaco, trattato spesso a voce bassa o ancora minimizzato, addossando la colpa verso chi la violenza l’ha subita. E tutto ciò sembra essere invisibile nei luoghi pubblici e palese negli ambienti privati, proprio come gli abusi stessi.

Il progetto sulle molestie

Ed è qui che la Scuola Sant’Anna di Pisa interviene, con Engine, un progetto multidisciplinare di simulazione dei contesti e degli ambienti in cui le molestie avvengono, con lo spettatore che assume il ruolo di protagonista: o la ragazza che riceve commenti subdoli e arroganti, trasformata in un oggetto qualsiasi, o noi uomini, catapultati in un lampo all’interno di una scena quotidiana dove assistiamo ad un abuso nei confronti di una studentessa indifesa.

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Anna Loretoni (New Press Photo)

Questo brillante lavoro, in collaborazione tra i dipartimenti di Scienze Sociali e Scienze Sperimentali, per la dottoressa Anna Loretoni, principal investigator del progetto e docente ordinaria presso la prestigiosa università toscana, si rivolge infatti soprattutto ai giovani maschi, per dare loro perlomeno l'idea riguardo ciò che significa vivere questa realtà, ormai quotidiana, del mondo femminile.

Portato nel contesto del Festival di Luce!, c'è stato modo di sperimentare questo innovativo visore, oltre che di parlarne sul palco sia con la responsabile sia con Francesca Vecchioni, che l'ha sperimentato poco prima del panel dedicato. Un'esperienza che ho provato anche personalmente, profonda, che catapulta in un momento di vita che di virtuale purtroppo ha ben poco.

L'esperienza al Festival di Luce!

Due i momenti 'vissuti': nel primo sono Marta, mentre va verso l’università. Nell’altro invece sono uno studente qualsiasi, in un’aula studio, che assiste a una molestia. Da ragazzo, in entrambi i casi, ho provato un forte disagio. Un disagio che non mi ha mai coinvolto nella vita quotidiana, ma che oggi, dopo averlo visto e quasi vissuto, vorrei provare per capire come ci si sente, per mettermi nei panni di una ragazza e per una volta rendere quel "ti capisco" o "ti sono vicino" un po' meno banale. Ma ciò non può comunque succedere ed è per questo che non riesco ad andare oltre la fantasia nel provare la sofferenza di quei momenti. Da ragazzo il sentimento che mi fa sentire vicino a lei è la rabbia: in quel momento io sono Marta, eppure non lo sono realmente. Ma saprei subito la risposta da dare a quei commenti subdoli, che trasformano Marta in un oggetto, opprimenti. Proprio perché non posso capire, saprei come reagire. Sembra un paradosso eppure è così. La realtà virtuale in entrambi i casi avvicina nella prospettiva di un evento simile, ma non aiuta a livello di presa coscienza.
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Engine è nato dalla volontà di far provare anche ai giovani uomini cosa significhi subire violenza di genere (New Press Photo)

Dentro l’aula studio, soprattutto, mi ritrovo seduto vicino a una ragazza e a due ragazzi che la importunano. Una situazione che ha tre finali diversi, tutti praticabili e tutti suscitano sempre rabbia. Se nel primo la ragazza è lasciata sola, negli ultimi due i presenti intervengono in suo aiuto. È giusto e normale che le persone si prendano cura tra loro. Ma in questi casi si parla di difendere o difendersi. È qui secondo me il vero problema: dover parlare di difesa, in risposta ad un attacco che spesso passa inosservato, che spesso non ci si accorge nemmeno di portare avanti. Questo genera solo rabbia, perché forse l’ho fatto anche io e non me ne sono accorto. Perché forse potevo aiutare con più forza chi lo ha subito senza potersi difendere. Un disagio forte insomma, che questa società impone a se stesso senza accorgersene. Vorrei essere Marta in quel momento, ma non posso.

La violenza contro le donne

Il tema della violenza di genere spesso non viene affrontato in modo consapevole e coscienzioso, dagli uomini ("non siamo tutti così", giusto?) ma anche dalle donne. Soprattutto attraverso la giustificazione di quello che, a tutti gli effetti, è il molestatore. Come si rivela ancora più complicato riconoscere la linea sottile che divide l’atteggiamento o la parola socialmente corretta da quella scorretta e offensiva.

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Due ragazze con i visori Engine (New Press Photo)

Tutto ciò all’interno di un contesto sociale in cui la massima espressione di una violenza è il femminicidio, e probabilmente è per questo che l’atto di denuncia viene molto spesso evitato: perché a quel punto il delinquente non ha solo il predominio fisico sulla vittima, ma soprattutto quello psicologico.

È quindi necessario che la società, i suoi organi di ricerca, quelli politici, uniti ad una comunicazione mediatica sana, si impegnino a lanciare un messaggio unidirezionale forte, sia di protezione per le vittime, ma soprattutto di prevenzione di questi eventi. Il mezzo mediatico ha la forza di agire sull’immaginario collettivo soprattutto dei più giovani, perciò è necessario usarlo perché certi “canali” non vengano utilizzati.

Questo progetto immersivo e ambizioso, che trasforma lo spettatore in protagonista, è sicuramente una rampa di lancio privilegiata per comprendere la gravità di questi eventi, poiché agisce direttamente sull’immaginario del soggetto, rendendolo vittima o spettatore inerme, andando a smuovere inevitabilmente la parte emotiva del proprio cervello, quindi anche della propria coscienza. Una simulazione virtuale che vuole influire su ciò che virtuale purtroppo no è.