Josephine, volontaria oltre la malattia: "Dare una mano è un dono inestimabile"

Nella Giornata mondiale del volontariato la storia di una donna malata di sclerosi multipla che non si è lasciata fermare e si impegna per aiutare chi ha bisogno

di CATERINA CECCUTI -
5 dicembre 2023
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Se c’è da stare in piedi per ore, col freddo o sotto la pioggia battente, anche se a proteggerla c’è solo il tendone precario di un banchino improvvisato a qualche fiera solidale, Josephine non si lascia scoraggiare. Non importa se le gambe non la reggono bene e ha bisogno di usare il bastone per camminare (perché dal 2008 è ufficialmente malata di sclerosi multipla): quando si tratta di aiutare il prossimo o dare mano ad una delle associazioni di volontariato cui è iscritta, lei lo fa. "Il fatto è che stare vicino a chi ha bisogno, in tutti i modi in cui mi riesce di farlo, per me è un dono dal valore inestimabile, che mi riempie la vita e il cuore. E se non lo faccio sto male".

Josephine Mary Murena, volontaria oltre la malattia

Quasi cinquant’anni fa Josephine Mary Murena nasceva a Chicago. Poi è venuta a vivere in Italia, più precisamente in Toscana e ancor più precisamente nella piccola realtà di Agliana. La sua non è stata una vita semplice. Dapprima un’endometriosi grave l’ha costretta a subire tre interventi chirurgici, poi la sofferenza legata all’esordio della seconda patologia – la sclerosi – che dal 2006 ha iniziato a crearle problemi ma che solo nel 2008 è stata ufficialmente diagnosticata.
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Josephine collabora con Aism e con Voa Voa amici di Sofia Aps

"Oggi sono volontaria attiva di due realtà: Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e Voa Voa Amici di Sofia Aps. Quando mi chiamano contribuisco volentieri anche al programma di raccolta fondi della Caritas del mio territorio, andando alla Coop e seguendo la raccolta del cibo per i bisognosi. Insieme ai miei due meravigliosi figli aiuto le persone anziane nel fare la spesa e, in caso di calamità -come l’alluvione in Toscana dello scorso novembre-, diamo una mano al massimo delle nostre possibilità, andando a portare pasti caldi agli alluvionati o spalando il fango nelle loro case. La mia malattia non sempre mi lascia fare tutto quello che vorrei, ma ci provo comunque". Signora Josephine, quando e perché ha iniziato a fare la volontaria? "Stavo attraversando il periodo più buio della mia vita. Avevo appena ricevuto la diagnosi di sclerosi, mi sentivo persa. Una donna malata da sola con due figli piccoli. Un giorno ho deciso di fare una girata a Firenze, per distrarmi e sentirmi normale. Da lontano, in una piazza, ho intravisto una folla e tanti palloncini colorati. Era una manifestazione promossa da alcune famiglie con bambini affetti da patologie rare incurabili. Mi avvicinai, guardai negli occhi i bambini e i loro genitori e dentro di me pensai 'Se ce la fanno questi piccoli, se ce la fanno questi genitori, devo farcela anche io. Come posso dare una mano?' Da quel momento ho iniziato ad accettare le mie patologie, ho preso contatto con le due associazioni di cui sono tutt’ora volontaria attiva e mi sono ritrovata, come essere umano. Tutte le volte che mi sentivo in difficoltà pensavo ai bambini malati, ho lavorato molto su me stessa, ma alla fine ce l’ho fatta. Devo tanto anche a Federica Panconi, responsabile della sezione Aism di Pistoia, che per me è andata oltre al suo lavoro, non lasciando mai sola la mia famiglia". Quali emozioni le regala il volontariato? "Prima di tutto consapevolezza. Sono cosciente che si vive una volta sola e cerco di fare agli altri quello che vorrei fosse fatto a me. Bisogna rendere felice il prossimo, chiunque sia, anche la persona che si incontra per strada. Fare volontariato mi dà luce, gioia, serenità e, soprattutto, sento di vivere una vita piena. Non serve fare per forza grandi cose: a volte basta un abbraccio per cambiare la giornata non solo di chi lo riceve, ma anche di chi lo dona.
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La donna è mamma di due figli che come lei si impegnano ad aiutare chi ha bisogno

Le faccio un esempio: stamattina ero in ospedale per fare degli esami di routine. Accanto a me in sala di attesa c’era un bambino che piangeva, aveva paura perché doveva fare un prelievo di sangue. Mi sono avvicinata, l’ho preso in collo e gli ho detto 'Senti, che ne dici se lo facciamo insieme?' Così, uno accanto all’altra, ci siamo fatti prelevare il sangue. Lui ha sorriso ed io pure, perché alla fine anche io ero in pensiero - dovendo sottopormi ad un esame più invasivo - ma ho sopportato meglio tutto quanto perché dovevo 'essere la sua supereroina'". Un episodio speciale che le è rimasto nel cuore? "È legato ad una persona, Alessandro. Un giorno, mentre ero a fare volontariato per Aism, quest’uomo affetto da SLA che purtroppo è morto pochi giorni, mi guardò negli occhi e si accorse che ero triste. Avvicinandosi mi disse: 'Finché hai luce dentro, ricordati di alzarti la mattina e ringraziare Dio. Le persone come noi sono consapevoli che ogni istante è importante, chi sta bene queste cose non le sa'. Ed io le sue parole me le porto nel cuore, perché quel giorno, in quel preciso istante, hanno cambiato un altro pezzetto della mia vita, rendendola migliore".