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Home » Attualità » La pandemia ci lascia un’Italia meno sostenibile. Cala l’uso dei mezzi pubblici, a favore delle auto

La pandemia ci lascia un’Italia meno sostenibile. Cala l’uso dei mezzi pubblici, a favore delle auto

Secondo l'Istat, 16.5 milioni cittadini italiani hanno utilizzato ogni giorno nel 2019 mezzi privati per recarsi al lavoro, a fronte di 2 milioni di persone che hanno usato i mezzi pubblici. A pesare non solo il rischio del contagio, ma anche i posti messi a disposizione dal trasporto pubblico locale: 46mila al nord contro 11mila al sud

Domenico Guarino
10 Novembre 2021
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Dovevamo uscirne tutti migliori. A guardarla sotto il profilo degli spostamenti e della mobilità, invece, dal covid, stiamo uscendo ancora meno sostenibili per un pianeta in affanno. Con la pandemia, infatti, in Italia è diminuita la frequenza nell’uso di autobus, tram e treni. Inoltre, stando ai dati della European environmental agency (Eea), mentre il settore industriale e quello di produzione dell’energia elettrica hanno ridotto negli anni le loro emissioni di Co2, nel caso dei trasporti queste sono invece aumentate. Durante la pandemia i cittadini italiani hanno dunque ulteriormente ridotto il loro tasso di utilizzo dei mezzi pubblici, preferendo mezzi stradali individuali come automobili e motocicli. A pesare il maggiore rischio di contagio da Covid-19 legato alla permanenza sui mezzi pubblici, a contatto con un elevato numero di persone; anche se l’accessibilità e la diffusione del servizio di trasporto pubblico locale, le sue condizioni oggettive, sono tali da disincentivare i meno motivati anche in condizioni normali. Eppure sappiamo oramai che i mezzi di trasporto a combustione sono tra i principali responsabili del cambiamento climatico: il 25% delle emissioni di gas serra in Ue sono riconducibili al settore dei trasporti, nel 2020. Una riflessione che, nonostante il successo planetario di movimenti come Fridays For Future, non ha scalfito le abitudini degli italiani in materia di spostamento. Del resto, anche prima del covid in Italia la modalità di trasporto individuale è sempre quella predominante . Soprattutto fuori dai centri urbani.

A Roma e Milano l’uso di bus e tram nel periodo post-pandemico è diminuito di 0,6 punti percentuali

In totale, il 62,5% degli spostamenti, nel 2019, è stato effettuato con l’automobile, secondo Isfort. Per avere una dimensione del fenomeno, basti pensare che sono 16,5 i milioni di cittadini italiani che hanno utilizzato mezzi privati per recarsi al lavoro ogni giorno, nel 2019, secondo Istat, a fronte dei 2 milioni appena che hanno usato i mezzi pubblici. Dall’altra parte il tasso di mobilità sostenibile, ovvero la quota di spostamenti realizzati con mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta, in Italia non è mai stato particolarmente elevato: aveva raggiunto il picco nel 2017, attestandosi al 37,9%, per poi scendere nel 2019 al 35%. In particolare è Venezia, grazie anche ai turisti che affollano la Laguna, la città italiana con più passeggeri sui mezzi pubblici con oltre 800 passeggeri l’anno per abitante. Seguono Milano e Torino, mentre i numeri sono decisamente inferiori nel sud della penisola. La differenza tra nord e sud rispecchia anche la distribuzione dei posti messi a disposizione dai mezzi pubblici nei principali centri abitati (con più di 200mila abitanti), che sempre secondo le stime Anfia sono pari a circa 46mila in totale al nord, a 26mila al centro e a 11mila al sud. Come dicevamo, durante il periodo del lockdown, si è registrato un ulteriore calo della domanda di trasporto pubblico, e quando la mobilità ha ricominciato a crescere, è andata tutta a vantaggio dei mezzi privati. A Roma e Milano ad esempio l’uso settimanale di bus e tram è diminuito di 0,6 punti percentuali nel periodo post-pandemico, passando rispettivamente dal 2,9% al 2,3% per Milano e dal 2,3% all’1,7% per Roma. Viceversa, secondo le analisi di Legambiente e Ipsos, la frequenza nell’uso settimanale delle automobili è stata toccata solo lievemente dalla pandemia, nonostante la diffusione delle modalità di lavoro da remoto.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

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Dovevamo uscirne tutti migliori. A guardarla sotto il profilo degli spostamenti e della mobilità, invece, dal covid, stiamo uscendo ancora meno sostenibili per un pianeta in affanno. Con la pandemia, infatti, in Italia è diminuita la frequenza nell’uso di autobus, tram e treni. Inoltre, stando ai dati della European environmental agency (Eea), mentre il settore industriale e quello di produzione dell’energia elettrica hanno ridotto negli anni le loro emissioni di Co2, nel caso dei trasporti queste sono invece aumentate. Durante la pandemia i cittadini italiani hanno dunque ulteriormente ridotto il loro tasso di utilizzo dei mezzi pubblici, preferendo mezzi stradali individuali come automobili e motocicli. A pesare il maggiore rischio di contagio da Covid-19 legato alla permanenza sui mezzi pubblici, a contatto con un elevato numero di persone; anche se l’accessibilità e la diffusione del servizio di trasporto pubblico locale, le sue condizioni oggettive, sono tali da disincentivare i meno motivati anche in condizioni normali. Eppure sappiamo oramai che i mezzi di trasporto a combustione sono tra i principali responsabili del cambiamento climatico: il 25% delle emissioni di gas serra in Ue sono riconducibili al settore dei trasporti, nel 2020. Una riflessione che, nonostante il successo planetario di movimenti come Fridays For Future, non ha scalfito le abitudini degli italiani in materia di spostamento. Del resto, anche prima del covid in Italia la modalità di trasporto individuale è sempre quella predominante . Soprattutto fuori dai centri urbani.

A Roma e Milano l'uso di bus e tram nel periodo post-pandemico è diminuito di 0,6 punti percentuali

In totale, il 62,5% degli spostamenti, nel 2019, è stato effettuato con l'automobile, secondo Isfort. Per avere una dimensione del fenomeno, basti pensare che sono 16,5 i milioni di cittadini italiani che hanno utilizzato mezzi privati per recarsi al lavoro ogni giorno, nel 2019, secondo Istat, a fronte dei 2 milioni appena che hanno usato i mezzi pubblici. Dall'altra parte il tasso di mobilità sostenibile, ovvero la quota di spostamenti realizzati con mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta, in Italia non è mai stato particolarmente elevato: aveva raggiunto il picco nel 2017, attestandosi al 37,9%, per poi scendere nel 2019 al 35%. In particolare è Venezia, grazie anche ai turisti che affollano la Laguna, la città italiana con più passeggeri sui mezzi pubblici con oltre 800 passeggeri l'anno per abitante. Seguono Milano e Torino, mentre i numeri sono decisamente inferiori nel sud della penisola. La differenza tra nord e sud rispecchia anche la distribuzione dei posti messi a disposizione dai mezzi pubblici nei principali centri abitati (con più di 200mila abitanti), che sempre secondo le stime Anfia sono pari a circa 46mila in totale al nord, a 26mila al centro e a 11mila al sud. Come dicevamo, durante il periodo del lockdown, si è registrato un ulteriore calo della domanda di trasporto pubblico, e quando la mobilità ha ricominciato a crescere, è andata tutta a vantaggio dei mezzi privati. A Roma e Milano ad esempio l'uso settimanale di bus e tram è diminuito di 0,6 punti percentuali nel periodo post-pandemico, passando rispettivamente dal 2,9% al 2,3% per Milano e dal 2,3% all'1,7% per Roma. Viceversa, secondo le analisi di Legambiente e Ipsos, la frequenza nell'uso settimanale delle automobili è stata toccata solo lievemente dalla pandemia, nonostante la diffusione delle modalità di lavoro da remoto.
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