Sull’orlo del mondo, al Lacor Hospital in Uganda “Tutto si aggiusta con il poco che c’è”

Nata nel 1993 a Milano su iniziativa di Piero Corti e Lucille Teasdale, la Fondazione Corti consente al St. Mary’s Hospital Lacor di curare 200.000 ugandesi all’anno e di formare professionisti sanitari locali per garantire futuro alla struttura e al Paese.

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
14 giugno 2024
Un bambino appena nato al Lacor Hospital riceve le cure necessarie (Fondazione Corti)

Un bambino appena nato al Lacor Hospital riceve le cure necessarie (Fondazione Corti)

Prima di iniziare a leggere questo articolo, prendete un planisfero, osservate il continente africano, cercatene il centro più profondo e individuate i confini dell’Uganda, un Paese dell'entroterra dell'Africa orientale, tra picchi innevati dei monti Rwenzori, l'immenso Lago Vittoria, scimpanzé, gorilla, cascate Murchison e ippopotami.

L’Uganda non ha sbocchi sul mare ed è attraversata dall’Equatore. Soprannominato “Perla d’Africa” per le sue bellezze naturali e la biodiversità che custodisce, il Paese, nonostante la crescita dell’economia registrata negli ultimi anni, è ancora afflitto da forti disparità sociali forti e una estrema povertà.

Una speranza di guarigione  

In questo contesto “Sull’orlo del mondo”, per dirla con le parole del cantautore milanese Niccolò Agliardi che, con Enrico Zoni, le ha dedicato un brano per i primi trent’anni di attività, opera la Fondazione Corti, una realtà nata nel 1993 a Milano su iniziativa di Piero Corti e Lucille Teasdale per sostenere il St. Mary’s Hospital Lacor di Gulu (ospedale non profit fondato nel 1959 dai missionari comboniani nel Nord dell’Uganda). I coniugi, medici a cui fu affidata la gestione dell’ospedale fin dal 1961, dedicarono la propria vita a far crescere il Lacor e formare il personale ugandese che li avrebbe sostituiti. Sin dal primo momento, l’obiettivo è stato offrire le migliori cure al maggior numero di persone e al minor costo possibile. Per realizzare questo obiettivo è stato essenziale il contributo della Fondazione Corti, oggi presieduta da Dominique Atim Corti, figlia di Piero e Lucille. Grazie alla generosità dei donatori della Fondazione, il Lacor continua a essere una concreta speranza di guarigione per milioni di persone.

“Di passi in Africa – ha raccontato la presidente Dominique Atim Corti – ne erano stati mossi tanti molto prima della nascita della Fondazione. A distanza di circa 30 anni dal primo insediamento di Piero e Lucille al Lacor Hospital, ovvero dopo una vita intera di lavoro in Uganda, si è palesata la necessità di individuare un futuro possibile per una realtà ormai divenuta punto di riferimento per la popolazione. Piero e Lucille iniziavano a essere anziani. Lucille era malata e ben consapevole di non avere una lunga prospettiva di vita (si era infettata con l’HIV in sala operatoria ai tempi della guerra – un “rischio del mestiere” di chirurga, come diceva lei - e lo “slim disease” la stava consumando ormai da anni).

La più grande preoccupazione che avevano era che l’ospedale potesse continuare a esistere, lavorare e formare personale anche dopo di loro. Le basi in Uganda erano state messe da tempo: sin dal principio, la missione dei coniugi era stata quella di assumere personale locale per dare vita a un vero ospedale africano. Il fatto è che i professionisti del posto non erano sufficienti. Fu così che nacque la prima scuola per infermieri. L’offerta formativa si ampliò moltissimo negli anni, garantendo l’accesso alla professione a molte e molti. A mancare, però, era anche un soggetto dedicato alla raccolta fondi per poter sostenere le crescenti attività dell’ospedale in un Paese a scarse risorse economiche. Una realtà che potesse farsi carico del ruolo che Piero aveva sempre svolto fino ad allora, a latere della sua attività di medico, e che aveva permesso all’ospedale di crescere. Una scintilla da cui si accese il fuoco della Fondazione”.

La nascita della Fondazione Corti 

Ad ascoltare le parole di Dominique Atim Corti, si capisce subito che la Fondazione non è una delle tradizionali organizzazioni occidentali che si costituiscono nei Paesi del Nord del mondo e poi vanno a “fare” in Africa, generalmente riproducendo strutture e priorità come vengono percepite in Occidente, impiegando spesso gli africani in ruoli subordinati. Fondazione Corti ha rovesciato il tavolo: dopo trent’anni alla guida dell’ospedale in Uganda, dopo averlo sviluppato fino a farlo diventare il primo ospedale non profit del Paese e probabilmente dell’intera fascia equatoriale, Piero e Lucille hanno dato vita a un’organizzazione che ha l’unico compito di sostenere il Lacor Hospital nei suoi bisogni più urgenti.

L'ingresso del Lacor Hospital di Gulu, Uganda (Fondazione Corti)
L'ingresso del Lacor Hospital di Gulu, Uganda (Fondazione Corti)

“Fin dalla sua nascita – ha spiegato la figlia – Fondazione Corti si è dedicata alla raccolta di fondi ‘liberi’, da inviare all’ospedale. Nel vasto panorama dei bisogni sanitari della popolazione ugandese, è vitale cercare di fare la differenza per quante più persone possibili. Al Lacor, nessuno viene lasciato fuori dai cancelli. Non si può dire ‘siamo al completo’ oppure ‘curiamo pochi per farlo bene’, invitando le persone ammalate ad andare altrove. Nella maggior parte dei casi, ‘altrove’ significherebbe raggiungere la capitale, quasi 400 km a sud, in cui la gente parla un’altra lingua. Un viaggio della speranza economicamente inaccessibile ai più”

Le donazioni: “Meglio quelle per le spese correnti, le cure sono costose”

Fondazione Corti conta sulla generosità di persone o di enti: senza donatori non potrebbe esistere. L’ospedale cura una media di 200mila pazienti e forma 900 nuovi professionisti sanitari all’anno, offrendo lavoro a 700 persone. Un circolo virtuoso che, a partire dalle cure, genera un grande beneficio sociale difficilmente quantificabile, un modello di sviluppo che si lega al diritto inalienabile alle cure per ogni essere umano e di cui ciascuno può essere parte attiva. “Molti occidentali – dichiara la presidente – pensano che sia meglio finanziare infrastrutture e macchinari che sostenere le spese correnti. Le cure sanitarie sono, però, tra i servizi più costosi.

Grazie al sostegno che proviene dall’Italia, ma anche dal Canada e dagli Stati Uniti, l’ospedale sussidia mediamente il 72-74% del costo delle cure. La donazione di un apparecchio rappresenta solo la punta dell’iceberg dei costi necessari a far funzionare quell’apparecchio. Il donatore non ha la percezione dell’inutilità del proprio dono, i locali non osano rifiutare perché questo chiuderebbe la strada ad altre donazioni, forse più utili, e il problema si autorigenera. Le donazioni che sostengono le spese correnti hanno invece la possibilità di aiutare direttamente i pazienti, se si scelgono strutture che funzionano, che hanno conti pubblicati in maniera trasparente e audit finanziari e clinici indipendenti”.

L’ospedale Lacor 

Un piccolo paziente del Lacor Hospital, Uganda (Fondazione Corti)
Un piccolo paziente del Lacor Hospital, Uganda (Fondazione Corti)

Il Lacor è un grande ospedale con tre centri sanitari periferici localizzati in aree rurali particolarmente povere. Cura, come detto, oltre 200mila  persone all’anno, di cui 35mila ricoverate. L’85% dei pazienti sono donne e bambini minori di 12 anni. Il lavoro è svolto da 700 dipendenti, tutti ugandesi ad esclusione di un missionario comboniano che continua a rappresentare i fondatori (un tecnico di radiologia) e due persone espatriate richieste dai direttori ugandesi a causa di competenze assenti o troppo costose in loco.

Si tratta dell’ingegnere che dirige la grande unità tecnica e della financial manager. Entrambe sono distaccate al Lacor e rispondono al direttore ugandese. L’ospedale è anche un grande centro di formazione con oltre 600 studenti che hanno l’ambizione di diventare infermieri, ostetriche, tecnici di laboratorio, assistenti di sala operatoria, tecnici anestesisti. Non solo: l’ospedale è anche polo della facoltà di medicina governativa di Gulu e sede di tirocinio obbligatorio per i neo-laureati in medicina, farmacia, scienze infermieristiche delle facoltà governative e non governative del Paese.

Oltre alle donazioni c’è di più

Il Lacor ha necessità anche di volontarie e volontari a patto che lo siano davvero e non per periodi limitatissimi di tempo. “Abbiamo richieste di medici che desiderano recarsi al Lacor per un mese ad aiutare. Mediamente, per aree come la pediatria o la medicina, ai medici bianchi, anche specialisti, occorrono almeno due mesi affinché possano rendersi autonomi – prosegue nel suo racconto la presidente Dominique –. La lingua, inglese compreso, è differente, le malattie sono diverse da quelle insegnate e viste in Occidente, la diagnostica è molto carente e rappresenta un grave problema per i medici occidentali abituati a prescrivere molte indagini. A ciò si aggiunge che la cultura lavorativa è diversa e il carico emotivo dovuto alla quantità di pazienti che si vedono morire per malattie che in Occidente si potrebbero curare è difficile da sopportare. Il lavoro in Fondazione è molto diverso ed è prettamente d’ufficio: svolgiamo attività di raccolta fondi, logistica, comunicazione, realizzazione eventi. Inutile dire che le volontarie e i volontari sono benvenuti”.

Personale sanitario del Lacor Hospital con un neonato (Fondazione Corti)
Personale sanitario del Lacor Hospital con un neonato (Fondazione Corti)

Aiutiamo il continente del futuro 

Atim Corti parla di un mondo che, solo in apparenza, è ai margini del mondo. Forse del nostro, di certo non di quello che parla la lingua universale dell’essere umano. D’altronde, come canta Agliardi nel suo pezzo, “L’Equatore ha le sue ragioni, l’uomo bianco le imparerà”. L’Africa del Lacor – e non solo – è ricca di bellezza, di persone capaci di continuare a vivere nonostante sfide inimmaginabili che annienterebbero chiunque. “Abbiamo molto da imparare – ha concluso Dominque – e molto da lavorare per cambiare. Noi, gli occidentali, siamo l’esempio a cui più di metà del mondo ambisce e mira. Se non vogliamo che questo Pianeta imploda, siamo noi a dover cambiare per divenire un’ambizione sostenibile per oltre metà del mondo, quello in via di sviluppo”. Una cosa è certa: con metà della popolazione giovane o molto giovane, l’Africa è il continente del futuro, in cui “Oggi vuol dire oggi, niente somiglia a niente tranne alla verità, tutto si aggiusta con quel poco che c’è”. Lacor e Fondazione Corti stanno contribuendo – anche per noi – a costruirlo questo attesissimo futuro.