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Le libertà civili alla prova del 2022. Dal green pass all'eutanasia: che cosa pensano gli italiani?

di SOFIA FRANCIONI -
31 dicembre 2021
NandoPgnoncelli

NandoPgnoncelli

Il 2021 è stato l’anno del dibattito sulle libertà civili e i temi etici. Ad accenderlo: le disparità di genere emerse con maggior forza durante la pandemia tra le mura domestiche e in busta paga; le disuguaglianze sociali scaturite dalla crisi; l’affossamento del Ddl Zan e infine l’estate calda e turbolenta delle raccolta firme per quattro questi referendari, che – come scrive in questo approfondimento Ettore Maria Colombo – ha portato l’Italia a respirare di nuovo un’aria da anni Settanta e Novanta, registrando un nuovo fermento. Ma la sfida che il 2021 ci lascia è quella di immaginare il futuro. Niente di più complesso perché, come ha detto alle soglie del 2020 lo studioso di intelligenza collettiva Geoff Mulgan: "Ci manca immaginazione sociale. Le migliori menti del presente sono pressoché incapaci di prefigurare un mondo migliore per le prossime generazioni. Riescono a immaginare i progressi tecnologici, guerre, scenari apocalittici, ma un futuro migliore no, non riescono a concepirlo. E credo che in questo ambito siamo in effetti peggiorati rispetto a 50 o 100 anni fa, quando c’era molta attenzione per l’immaginazione sociale. Una delle ragioni" spiegava Mulgan "è che molte istituzioni, dalle università ai partiti politici, hanno abdicato a questo compito, smesso di pensare in modo creativo al futuro del nostro sistema sanitario o della nostra democrazia per esempio, e ciò ha contribuito a creare una sorta di malessere, perché le persone non riescono a vedere un mondo migliore a cui tendere". È davvero così? Lo abbiamo chiesto all’accademico, presidente Ipsos e membro del comitato scientifico di Luce! Nando Pagnoncelli.

Presidente, l’Italia chiede davvero un cambio di passo in tema di diritti? "Il nuovo protagonismo di una parte di cittadini che quest’estate si impegnata nella raccolta firme e di un’altra parte che sta guardando ai temi etici con un’attenzione nuova non sono sicuramente segnali trascurabili. Ma bisogna stare attenti a non generalizzare" Tra le libertà civili qualcuno fa rientrare anche l’abrogazione dell’obbligo del Green Pass "Esatto, c’è una quota non piccola di cittadini che è contraria al Green Pass perché pensa che rappresenti una violazione alle libertà individuali e dei lavoratori. Una percentuale che oscilla tra il 25 e il 30% e che è nettamente superiore rispetto alla quota di coloro che non si sono vaccinati". L’estate calda delle raccolte firme porterà a una primavera di referendum nel 2022? "Guardiamo ai singoli casi. Sul referendum per la cannabis le opinioni si polarizzano. Abbiamo infatti circa un terzo di persone che ci dicono di doversi informare maggiormente, un 30% che si dichiara favorevole a depenalizzare la coltivazione e i reati collegati alla cannabis e il 23% che si oppone". E sull’eutanasia? "In questo caso le opinioni sono molto più nette, perché l’eutanasia legale viene vissuta come l’eliminazione della sofferenza: il 57% degli intervistati si dice favorevole all’eutanasia legale, solo il 9% si oppone e un 19% dice di aver bisogno di informarsi maggiormente". Riguardo ad altre libertà civili, c’è stata anche la proposta di ripensare la legge 194 per il diritto all’aborto "I favorevoli alla legge sono più di un italiano su due, ossia il 53%. Quelli che si oppongono l’11%, ma anche in questo caso abbiamo una quota di persone, il 23%, che dichiara di volersi informare di più". Che cosa pensano invece i cittadini della possibilità per le coppie omosessuali di adottare? "Il 42% degli intervistati è a favore, il 35% contro e, di nuovo, un 13% dichiara di volerne saperne di più". La quota di cittadini che evidenzia la necessità di informarsi maggioremente in tema di diritti è frequente e spesso anche ampia. Come mai secondo lei? Il problema è la pigrizia o la scarsa informazione? "L’informazione gioca un ruolo cruciale perché guardando ai dati non dobbiamo immaginare che i cittadini abbiano un comportamento uniforme rispetto ai temi che abbiamo appena trattato, ma dobbiamo immaginare che l’informazione possa aiutare questi cittadini a prendere una posizione". Dato che appaiono divisi, l’informazione su certi temi dovrebbe essere il più neutrale possibile? "Non credo che possa esistere un’informazione del tutto neutrale. Auspico che ci sia un’informazione nella quale si possano contrapporre le ragioni a favore e quelle contro, facendo sì che le persone possano avere uno spettro ampio di posizioni rispetto alle quali prendere una decisione e prendersi la responsabilità di decidere in sede di referendum. Bisogna evitare il rischio che i cittadini facciano scelte preconcette in base all’appartenenza politica e che prescindano dal merito. Il dibattito dev’essere ricco di spunti e di riflessioni". L’inclusione, le libertà civili trovano spazio sulle pagine dei giornali? "Trovo sconfortante che negli ultimi 4 mesi si stia parlando, oltre che del Covid-19, molto del Quirinale, indugiando in retroscena, dietrologie  e possibili scenari futuri. Ma siamo sicuri che ciò incontri l’interesse dei cittadini e risponda alle loro priorità? Dalle nostre ricerche demoscopiche sembra proprio di no. Anzi appare come la riproposizione di quello che un tempo veniva definito il teatrino della politica. E, senza voler generalizzare, questo evidenzia uno scarto tra quello che sono le aspettative dell’opinione pubblica e il mondo dell’informazione". Uno scarto che si ritrova anche tra il livello normativo e il sentire delle persone. Tra la politica e i cittadini. Perché? "La politica è molto in ritardo in tema di diritti, perché è abituata ad agire sulla ricerca del consenso, basandosi però su stereotipi. Alcuni partiti vogliono inseguire l’elettorato cattolico perché pensano che abbia un orientamento di voto omogeneo. Ma le ricerche ci dicono che questo elettorato è volatile tanto quanto quello non cattolico: i cittadini non si muovono per linee rette e non inseguono quello che è l’orientamento di un partito. La mia impressione, dunque, è che la politica sul piano dei diritti faccia davvero fatica perché è mossa dal consenso immediato e poco abituata ad approfondire le questioni più complicate con uno sguardo limpido, il che comporta una coazione a ripetere. Ma c’è un altro attore da chiamare in ballo: i cittadini stessi". In che senso? "Manca ancora una consapevolezza piena che l’inclusione comporti fatica. Fortunatamente c’è più indignazione rispetto al passato. Ma quando noi caliamo il tema della diversità di genere nella vita di tutti i giorni le ambivalenze dei cittadini sono enormi. Pensiamo al lavoro: parliamo tutti di meritocrazia, ma quanti uomini sono disposti ad accettare la promozione di una collega o un gap salariale al contrario? Guardando alle famiglie, siamo il paese in Europa dove c’è lo squilibrio maggiore di carico di lavoro domestico sulle spalle delle donne. Aumentato durante la clausura, quando gli uomini erano in casa". Nel 2022 quali traguardi nel campo dei diritti possiamo immaginare?  "Sono processi molto graduali. La certezza è che vinceremo la sfida dell'inclusione se capiremo che per raggiungerla dovremo partire dal quotidiano: da noi".