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Home » Attualità » Mamma incinta lavora in smartworking per stare accanto al figlio malato: “Così riesco a resistere”

Mamma incinta lavora in smartworking per stare accanto al figlio malato: “Così riesco a resistere”

L'appello di Giada Resta: "Lasciare i vecchi canoni lavorativi per dare spazio a nuove modalità"

Sofia Francioni
25 Maggio 2022
Giada Resta smart working nelle aziende per le mamme

Giada Resta smart working nelle aziende per le mamme

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Si parla tanto di inverno demografico e di migliori soluzioni vita-lavoro per sostenere i genitori in Italia. Dal Pnrr spunta fuori anche un bollino che a breve certificherà la parità di genere all’interno delle aziende sulla base di alcuni indicatori. Ma intanto storie come quella raccontata su Linkedin da Giada Resta ci appaiono come un miraggio, un segnale di speranza da un futuro che vediamo lontano. “È passata una settimana da quando mio figlio è stato ricoverato in ospedale per una forte gastroenterite. A 28 anni non avrei mai immaginato di poter gestire queste situazioni difficili. Siamo stati ben quattro giorni in ospedale, dove io, in attesa del secondogenito, ho resistito al crollo psicologico semplicemente lavorando“. Giada lavora per la multinazionale Ernst & Young, network mondiale di servizi professionali con sede a Londra dal 1989 ed è una mamma in attesa del suo secondo genito. Di colpo trova suo figlio in uno stato “comatoso”: è spaventata e si sente impotente. E quello che decide di fare è resistere, lavorando. 

Giada Resta, 28 anni, lavoratrice per la Ernst & Young e mamma incinta del secondo genito

Come spiega lei stessa, lavorare in ospedale accanto a suo figlio, portandone in grembo un altro, le ha permesso di “mantenere duro e rendermi più forte dinanzi a questa situazione. Grazie ad Ernest & Young ho potuto e voluto lavorare in smartworking e lasciatemelo dire, son riuscita a resistere“. Originaria della Manduria, in Puglia, Giada nel suo lungo post ci tiene a fare una specifica: “Qui al sud trovare una mamma in ospedale che lavora in smart, per di più incinta, è ancora molto raro, tanto che venivo osservata con stupore. Però attraverso i miei comportamenti voglio trasmettere ai miei figli che il mondo va avanti, le situazioni difficili si affrontano superandole e che bisogna esser sempre open mind. Essere avanti ed innovativi significa proprio questo, lasciare i vecchi canoni lavorativi per dare spazio a nuove tipologie organizzative e modi di lavorare. Sono veramente onorata di far parte di una società che mi ha permesso di poter fare tutto questo, conciliare lavoro, sostegno per mio figlio e maternità”.

La foto postata su Linkedin 

Con il Covid, lo sappiamo, lo smartworking è decollato aprendo una nuova era per il mondo del lavoro. L’Italia, che nel 2019 partiva dalle retrovie con 4,8% dei lavoratori da remoto, nel 2021 si è dimostrata uno dei paesi europei più reattivi, alzando la percentuale al 40%. Ma il 31 marzo 2022, uscito dal regime di emergenza, il nostro Paese è tornato a disciplinare lo smart working tramite le regole ordinarie prevista nella legge 81/2017, lasciando la contrattazione sul lavoro agile a un accordo individuale tra il datore di lavoro e il dipendente. In generale sono le multinazionali, come Ernst & Young, ad applicarlo con più facilità. Ma, come conclude Giada: “Il post vuole essere un monito per altre aziende nel supportare l’idea dello smartworking, in modo tale da poter conciliare piccoli problemi quotidiani con il lavoro. Nessuno mi ha obbligato nel continuare a lavorare ma l’ho deciso io! Ribadisco il fatto di esser stata fortunata a poterlo fare perché personalmente mi è servito tanto. Altri avrebbero reagito diversamente, ma siamo individui diversi e dignitosi di rispetto tutti, qualsiasi sia la nostra idea”.

 

 

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Si parla tanto di inverno demografico e di migliori soluzioni vita-lavoro per sostenere i genitori in Italia. Dal Pnrr spunta fuori anche un bollino che a breve certificherà la parità di genere all'interno delle aziende sulla base di alcuni indicatori. Ma intanto storie come quella raccontata su Linkedin da Giada Resta ci appaiono come un miraggio, un segnale di speranza da un futuro che vediamo lontano. "È passata una settimana da quando mio figlio è stato ricoverato in ospedale per una forte gastroenterite. A 28 anni non avrei mai immaginato di poter gestire queste situazioni difficili. Siamo stati ben quattro giorni in ospedale, dove io, in attesa del secondogenito, ho resistito al crollo psicologico semplicemente lavorando". Giada lavora per la multinazionale Ernst & Young, network mondiale di servizi professionali con sede a Londra dal 1989 ed è una mamma in attesa del suo secondo genito. Di colpo trova suo figlio in uno stato "comatoso": è spaventata e si sente impotente. E quello che decide di fare è resistere, lavorando. 
Giada Resta, 28 anni, lavoratrice per la Ernst & Young e mamma incinta del secondo genito
Come spiega lei stessa, lavorare in ospedale accanto a suo figlio, portandone in grembo un altro, le ha permesso di "mantenere duro e rendermi più forte dinanzi a questa situazione. Grazie ad Ernest & Young ho potuto e voluto lavorare in smartworking e lasciatemelo dire, son riuscita a resistere". Originaria della Manduria, in Puglia, Giada nel suo lungo post ci tiene a fare una specifica: "Qui al sud trovare una mamma in ospedale che lavora in smart, per di più incinta, è ancora molto raro, tanto che venivo osservata con stupore. Però attraverso i miei comportamenti voglio trasmettere ai miei figli che il mondo va avanti, le situazioni difficili si affrontano superandole e che bisogna esser sempre open mind. Essere avanti ed innovativi significa proprio questo, lasciare i vecchi canoni lavorativi per dare spazio a nuove tipologie organizzative e modi di lavorare. Sono veramente onorata di far parte di una società che mi ha permesso di poter fare tutto questo, conciliare lavoro, sostegno per mio figlio e maternità".
La foto postata su Linkedin 
Con il Covid, lo sappiamo, lo smartworking è decollato aprendo una nuova era per il mondo del lavoro. L’Italia, che nel 2019 partiva dalle retrovie con 4,8% dei lavoratori da remoto, nel 2021 si è dimostrata uno dei paesi europei più reattivi, alzando la percentuale al 40%. Ma il 31 marzo 2022, uscito dal regime di emergenza, il nostro Paese è tornato a disciplinare lo smart working tramite le regole ordinarie prevista nella legge 81/2017, lasciando la contrattazione sul lavoro agile a un accordo individuale tra il datore di lavoro e il dipendente. In generale sono le multinazionali, come Ernst & Young, ad applicarlo con più facilità. Ma, come conclude Giada: "Il post vuole essere un monito per altre aziende nel supportare l'idea dello smartworking, in modo tale da poter conciliare piccoli problemi quotidiani con il lavoro. Nessuno mi ha obbligato nel continuare a lavorare ma l'ho deciso io! Ribadisco il fatto di esser stata fortunata a poterlo fare perché personalmente mi è servito tanto. Altri avrebbero reagito diversamente, ma siamo individui diversi e dignitosi di rispetto tutti, qualsiasi sia la nostra idea".    
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