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Home » Attualità » Firenze, mamma Jennifer e sua figlia di 11 mesi non trovano casa: “Molti proprietari non gradiscono bambini”

Firenze, mamma Jennifer e sua figlia di 11 mesi non trovano casa: “Molti proprietari non gradiscono bambini”

L'appello di una madre single costretta a cambiare alloggio ogni 15 giorni: "Il mio compagno mi ha lasciata quando ero incinta e ho perso anche il lavoro. Aiutatemi"

Caterina Ceccuti
23 Giugno 2022
Mamma Jennifer e la sua bimba di 11 mesi non trovano casa a Firenze (Foto gentilmente concessa dalla madre)

Mamma Jennifer e la sua bimba di 11 mesi non trovano casa a Firenze (Foto gentilmente concessa dalla madre)

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“Ciao a tutti! Siamo Jenny e Viola, la mia bimba di 11 mesi. Stiamo cercando con massima urgenza una stanza in affitto a Firenze (o anche piccolo appartamento). Purtroppo molti proprietari non gradiscono bambini e sto avendo veramente tanta difficoltà a trovare un posto per noi. Vi assicuro che Viola è una bimba tranquillissima, non piange la notte e non crea nessun disturbo!! Entro domenica dovremo lasciare la nostra attuale sistemazione, quindi va benissimo anche una soluzione provvisoria di un mese o due! È davvero urgente!”.

Sembra un vero SOS il messaggio postato pochi giorni fa su un gruppo Facebook dedicato agli affitti privati da mamma Jennifer, una giovane donna sola che, nonostante l’urgenza e la reale necessità, non riesce proprio a trovare una sistemazione per sé e per la propria bambina nel capoluogo toscano. Molti i commenti al post che si possono leggere, spesso scritti da mamme che hanno incontrato le medesime difficoltà: “So bene quel che stai passando. Con tre bimbi ho vissuto le pene dell’inferno”. E ancora: “Anche noi siamo in balia del vento per trovare una sistemazione a Firenze o dintorni e ho un bimbo di sette mesi”. Un’altra mamma, lamentando le stesse difficoltà, dichiara di essere finita a vivere in un camper insieme alla figlia di dodici anni. Tra i commenti c’è anche chi ha tentato di dare una spiegazione “razionale” alla cosa, dando la colpa alle leggi in vigore che non tutelano i proprietari degli immobili in affitto: “Ad un proprietario non importa se il bambino fa confusione o se fa danni. È una questione di tutele legali. Nessuno ti affitta casa perché è di buon animo, chi lo fa vuole guadagnarci. Se quel guadagno non è garantito perché la legge non tutela il rispetto dei contratti a favore di chi ha figli, quel guadagno è messo a rischio e piuttosto che rischiare un proprietario taglia la testa al toro, poco importa se siano brave persone che pagherebbero regolarmente o che siano delinquenti che si piazzano in casa, non pagano e usano i propri figli come scudo per evitare lo sfratto. Questo problema nel resto del mondo non esiste: se un affittuario non paga, il proprietario non deve nemmeno passare dal tribunale, invia lo sfratto e tempo un mese la polizia arriva a forzare la porta con la spranga. In Italia questo non succede e se ci sono minori in casa sono processi che durano anni: anni di spese legali, di tasse, di affitto non percepito e questo va a discapito sia dei proprietari che degli inquilini onesti che a causa dei delinquenti non trovano casa nemmeno loro. Se non trovi alloggio non è per cattiveria, e non è colpa tua né della tua bambina, è la legge che è sbagliata”.

Mamma Jennifer e la sua bambina di 11 mesi a Firenze (Foto gentilmente concessa dalla madre)

Jennifer, da dove viene e cosa le è successo?

“Io sono originaria di Monza, ho quasi 36 anni e vivo a Firenze da alcuni anni. Convivevo con il mio ex compagno, poi però, quando sono rimasta incinta, ha deciso di lasciarmi, anzi di lasciarci da sole. Però io all’epoca lavoravo ed ero in affitto”.

Questo a quando risale?

“Si parla dell’anno scorso, perché la mia bambina ha undici mesi adesso. Il mio ex compagno se ne è andato senza riconoscere la figlia, dunque non ricevo neppure un aiuto economico da parte sua. Ma comunque, come ho detto, riuscivo a pagare tranquillamente l’affitto. Poco dopo mi è capitata però un’altra disgrazia: nel momento in cui sono andata in maternità, sono stata pure licenziata. La proprietaria mi ha detto di lasciare casa quando sarebbe nata la bambina, perché, siccome la legge non li tutela, hanno paura di non poter avere più indietro la propria casa”.

A quel punto cosa ha fatto?

“Mi sono messa a cercare una nuova casa in affitto, ma non ho trovato nulla ovviamente. Ho chiamato allora una mia amica, e per fortuna lei mi ha detto che dei conoscenti avevano una stanza a disposizione. Sono riuscita ad andare lì e ci sono rimasta in affitto per un po’ di mesi. Percepivo maternità e disoccupazione, dunque sono riuscita a pagarmela tranquillamente. Sono andata avanti così fino a giugno, quando ai padroni di casa serviva questa stanza e dovevo quindi lasciarla. E così, di nuovo, mi sono messa a cercare un’altra stanza, ma ovviamente appena sapevano che avevo con me una bambina, tutti si tiravano indietro”.

Dove alloggia ora?

“Momentaneamente sono da questa mia amica, ma anche lei fra due settimane ha bisogno della stanza. Quindi sono di nuovo a cercare un’altra sistemazione. Mi sono rivolta anche ai servizi sociali per cercare qualche alloggio mamma-bambino, ma per ora sono in lista d’attesa e i tempi, a quanto pare, non sono brevi”.

Ha trovato un altro impiego?

“Non potrei neanche lavorare perché essendo da sola e prendendomi cura di mia figlia non saprei a chi lasciare la bambina. E poi pagare l’affitto, una babysitter e tutte le spese mi costerebbe troppo. Come se non bastasse non posso fare affidamento sulla famiglia d’origine perché è lontana e non siamo in buoni rapporti”.

Dunque fra poco sarà di nuovo senza casa.

“Fino a metà luglio ho dove stare, poi di nuovo non saprò dove andare. Sono stanca di dover cambiare casa con la bambina ogni quindici giorni. È pesante questa situazione. Sono sfinita da queste sistemazioni temporanee”.

Cosa ne pensa del timore che hanno i padroni di casa di affittare a mamme con bimbi piccoli?

“Io da una parte li capisco, perché comunque dovrebbero avere più garanzie. Dall’altra bisogna distinguere, io sono una che ha sempre pagato l’affitto, pur facendo fatica ad arrivare a fine mese, ecco perché mi sento abbandonata a me stessa”.

In questo momento ha un sostentamento attraverso cui riuscire a far fronte al pagamento dell’affitto?

“Ho messo da parte un po’ di soldi perché ho sempre lavorato, perciò posso riuscire ancora ad andare avanti per qualche mese. E poi spero mi aiutino i servizi sociali, almeno fino a quando la bambina non riuscirà ad andare alla materna. Per quanto mi riguarda, appena ci saranno le condizioni, conto di tornare a lavorare”.

Vuole fare un appello?

“Io e la mia bambina abbiamo bisogno di un tetto, dove vivere insieme senza la paura di dover cambiare alloggio ogni due settimane. È un appello che faccio per me ma anche per tante mamme nelle mie stesse condizioni. Ne conosco tante, e giorno dopo giorno incontrano le mie stesse difficoltà”.

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  • Stando a quanto dicono gli studiosi, i social network sono portatori malati di ansia e depressione. E, diciamocelo, non servivano studi e numeri per capirlo. I più attrezzati di noi a comprendere le dinamiche social e sociali che si nascondono dietro l’algoritmo di Meta già da tempo avevano compreso che “social sì, ma a piccole dosi”.

Eppure la deriva c’è stata e adesso distinguere il virtuale dal reale, l’immagine dallo schermo, il like dall’affetto sembra essere diventata un’operazione assai difficile.

Il senso di inadeguatezza delle persone di ogni età sta dilagando. Pare che il meccanismo sia più o meno questo: l’erba del vicino – di account – è sempre più verde. 

Che poi nella realtà non è così poco importante. A importare è ciò che appare, non ciò che è, tanto da ridurre il dilemma “essere o non essere” a coltissimo equivoco elitario. Cogito ergo sum un po’ poco, verrebbe da dire, se non fosse che la faccenda è seria e grave. 

Lo stress da social è reale e affligge grandi e piccini, senza distinzione di ceto. Una vera e propria sofferenza psicologica che tende a minare le fondamenta dell’intera società. Tra il 2003 e il 2018, i casi di ansia hanno registrato numeri da record, così come quelli di depressione, autolesionismo e problemi di alimentazione. Questo basti per capire che limitarsi a catalogare il problema come questione minore è sbagliato e pericoloso.

Complice il recente lockdown, la corsa verso la psicosocialpatologia ha accelerato il passo. L’unica soluzione a portata di mano, seppur temporanea, è prendersi una pausa dai social e uscire dalla bolla, come Selena Gomez insegna. 

Vivere la vita vera, in Logout, fatta di persone in carne e ossa che di perfetto hanno poco o nulla e che combattono ogni giorno per cercare di assomigliare a ciò che vorrebbero essere. 

E tu quanto tempo passi sui social? 📲

Di Margherita Ambrogetti Damiani ✍

#lucenews #lucelanazione #socialout #viverelavita #nofilter #autoconsapevolezza #stressdasocial #socialdetox
  • Ad appena 3 anni e mezzo, Vincenzo comunica ai genitori il desiderio di indossare vestiti e gonne. Alla richiesta viene inizialmente, quanto inevitabilmente, dato poco peso, come se fosse un gioco… 

Ma 6 anni e mezzo dopo Vincenzo fa un coming out più deciso, chiede di potersi chiamare Emma e di indossare un costume femminile alle lezioni di danza, che condivide con le due sorelle maggiori. Pochi giorni fa, grazie anche alla comprensione e disponibilità della sua insegnante di danza, ha vissuto il suo momento di gloria, esibendosi in un saggio-spettacolo di fine anno costruito su misura, con una coreografia che racconta la sua storia.

La danza, si sa, può essere di grande aiuto per costruire la propria identità, perché è prima di tutto libertà di espressione. 

“Gli anni di pandemia sono stati decisivi per mia figlia. La riflessione è diventata sempre più profonda e, con sofferenza, lo scorso ottobre, è riuscita a parlarci di ciò che davvero le stava a cuore. Le prime sostenitrici sono state proprio le sorelle, più aperte e predisposte mentalmente su questa tematica. Noi genitori ancora pensavano a una latente omosessualità, ma non era così: per nostra figlia la propria identità di genere non coincideva con il sesso assegnatole alla nascita”.

I primi tempi non sono stati facili, per certi aspetti è stato come elaborare un lutto perché Emma volava cancellare tutto il suo passato, buttando via foto e vestiti. La sua è stata una rinascita vera e propria, il suo “no" al nome, al genere maschile, è ormai definitivo. 

A scuola, ha chiesto e ottenuto di potersi chiamare Emma, così come in società. Fondamentale è stato il supporto della famiglia che, a un certo punto, ha capito che non si trattava di un gioco, malgrado la giovanissima età.

“A chi tuttora continua a ripeterci che avremmo dovuto insistere e iscriverla a calcio, dico con fermezza: i figli vanno ascoltati, è giusto che vivano la loro vita, quella più congeniale al loro sentire, perché tutti meritiamo di essere felici”.

Di Roberta Bezzi ✍

#lucenews #lucelanazione #bologna #emma #transgender #transrights
  • “Trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare”, scrive Andrea Pinna in uno dei suoi tipici post su Instagram. 

Ma se Andrea Pinna, apprezzato per i suoi aforismi taglienti, “né bello né ricco” come dice lui, è diventato uno degli influencer più originali del web, è anche perché ha fatto entrambe le cose: ha accettato se stesso com’era e ha intrapreso un percorso di cura.

Trentacinque anni, origini sarde e milanese di adozione, ha cominciato il suo cammino partendo dal gradino più basso. 

"Lavoravo a Roma nel mondo dei negozi, commesso e poi vetrinista. Mi hanno mandato in Sardegna, la mia terra, a seguire nuovi negozi, ma poco dopo hanno chiuso tutto lasciandomi senza lavoro. E lì si è scatenata la mia prima fortissima depressione. Che ho affrontato con Facebook, scrivendo status più o meno sarcastici per scaricare la rabbia”.

Non una depressione qualsiasi, ma un malessere profondo che a distanza di anni gli verrà diagnosticato come bipolarismo. 

"Non è stato facile. Ho passato periodi che non dormivo mai e altri in cui stavo sempre a letto. Avere un disagio psichico non è una passeggiata e bisogna raccontarlo, imparare ad ascoltarsi”.

Sul suo profilo Instagram @leperledipinna ha deciso di portare avanti due battaglie: quella per i diritti civili dei gay e l’altra per dare voce ai problemi mentali.

“La prima la combatto in prima persona da tanto tempo, la seconda per far capire che se vai dall’ortopedico quanto ti fa male il ginocchio è giusto andare da uno psicoterapeuta o uno psichiatra quando hai un disagio mentale o psicologico”.

E attraverso le dirette Instagram di psicoterapinna "racconto la mia storia, il mio vissuto, chiamando gli esperti a parlare dei vari problemi psicologici che la gente può avere”.

La storia di chi ha trovato il coraggio di affrontare il bipolarismo e ha saputo rendere i social un luogo in cui sentirsi a proprio agio. Qualunque sia il disagio.

L
  • "L’autismo è un fenomeno che riguarda sì, in primo luogo gli autistici e le loro famiglie, ma anche la società in generale. Un nato o nata ogni 70/80 rientra nello spettro autistico ormai ed è quindi bene che anche i cosiddetti neuro tipici sappiano di cosa si parla”.

Dopo la standing ovation ricevuta lo scorso 2 aprile al Cinema La Compagnia di Firenze e il fortunato tour avviato nei cinema e nei teatri della Toscana, il documentario “I mille cancelli di Filippo” sarà nuovamente proiettato lunedì 27 giugno alle 21, nella Limonaia di Villa Strozzi a Firenze. Al centro della narrazione il figlio del noto autore Enrico Zoi, il giovane Filippo, colpito da spettro autistico.

Con la delicatezza e la magia tipica di uno scrittore che, prima di tutto, è un babbo amorevole, Enrico – insieme a sua moglie Raffaella Braghieri – apre una volta ancora le porte della sua casa per raccontare al mondo la realtà speciale della sua famiglia.

E il consiglio per i genitori che hanno appena ricevuto una diagnosi di autismo sul proprio bambino sarebbe quello di "non chiudersi, di non chiedersi perché, di guardare al mondo esterno, di aprirsi. Chiudersi non serve a niente, anzi… è un po’ come una partita di calcio: se non scendi in campo la perdi a tavolino, se invece accetti il confronto te la puoi giocare!”.

Di Caterina Ceccuti ✍

#lucenews #lucelanazione #enricozoi #imillecancellidifilippo #firenze #autismo #autismawareness
“Ciao a tutti! Siamo Jenny e Viola, la mia bimba di 11 mesi. Stiamo cercando con massima urgenza una stanza in affitto a Firenze (o anche piccolo appartamento). Purtroppo molti proprietari non gradiscono bambini e sto avendo veramente tanta difficoltà a trovare un posto per noi. Vi assicuro che Viola è una bimba tranquillissima, non piange la notte e non crea nessun disturbo!! Entro domenica dovremo lasciare la nostra attuale sistemazione, quindi va benissimo anche una soluzione provvisoria di un mese o due! È davvero urgente!”. Sembra un vero SOS il messaggio postato pochi giorni fa su un gruppo Facebook dedicato agli affitti privati da mamma Jennifer, una giovane donna sola che, nonostante l'urgenza e la reale necessità, non riesce proprio a trovare una sistemazione per sé e per la propria bambina nel capoluogo toscano. Molti i commenti al post che si possono leggere, spesso scritti da mamme che hanno incontrato le medesime difficoltà: “So bene quel che stai passando. Con tre bimbi ho vissuto le pene dell'inferno”. E ancora: “Anche noi siamo in balia del vento per trovare una sistemazione a Firenze o dintorni e ho un bimbo di sette mesi”. Un'altra mamma, lamentando le stesse difficoltà, dichiara di essere finita a vivere in un camper insieme alla figlia di dodici anni. Tra i commenti c'è anche chi ha tentato di dare una spiegazione “razionale” alla cosa, dando la colpa alle leggi in vigore che non tutelano i proprietari degli immobili in affitto: “Ad un proprietario non importa se il bambino fa confusione o se fa danni. È una questione di tutele legali. Nessuno ti affitta casa perché è di buon animo, chi lo fa vuole guadagnarci. Se quel guadagno non è garantito perché la legge non tutela il rispetto dei contratti a favore di chi ha figli, quel guadagno è messo a rischio e piuttosto che rischiare un proprietario taglia la testa al toro, poco importa se siano brave persone che pagherebbero regolarmente o che siano delinquenti che si piazzano in casa, non pagano e usano i propri figli come scudo per evitare lo sfratto. Questo problema nel resto del mondo non esiste: se un affittuario non paga, il proprietario non deve nemmeno passare dal tribunale, invia lo sfratto e tempo un mese la polizia arriva a forzare la porta con la spranga. In Italia questo non succede e se ci sono minori in casa sono processi che durano anni: anni di spese legali, di tasse, di affitto non percepito e questo va a discapito sia dei proprietari che degli inquilini onesti che a causa dei delinquenti non trovano casa nemmeno loro. Se non trovi alloggio non è per cattiveria, e non è colpa tua né della tua bambina, è la legge che è sbagliata”.
Mamma Jennifer e la sua bambina di 11 mesi a Firenze (Foto gentilmente concessa dalla madre)
Jennifer, da dove viene e cosa le è successo? “Io sono originaria di Monza, ho quasi 36 anni e vivo a Firenze da alcuni anni. Convivevo con il mio ex compagno, poi però, quando sono rimasta incinta, ha deciso di lasciarmi, anzi di lasciarci da sole. Però io all’epoca lavoravo ed ero in affitto”. Questo a quando risale? “Si parla dell’anno scorso, perché la mia bambina ha undici mesi adesso. Il mio ex compagno se ne è andato senza riconoscere la figlia, dunque non ricevo neppure un aiuto economico da parte sua. Ma comunque, come ho detto, riuscivo a pagare tranquillamente l’affitto. Poco dopo mi è capitata però un’altra disgrazia: nel momento in cui sono andata in maternità, sono stata pure licenziata. La proprietaria mi ha detto di lasciare casa quando sarebbe nata la bambina, perché, siccome la legge non li tutela, hanno paura di non poter avere più indietro la propria casa”. A quel punto cosa ha fatto? “Mi sono messa a cercare una nuova casa in affitto, ma non ho trovato nulla ovviamente. Ho chiamato allora una mia amica, e per fortuna lei mi ha detto che dei conoscenti avevano una stanza a disposizione. Sono riuscita ad andare lì e ci sono rimasta in affitto per un po’ di mesi. Percepivo maternità e disoccupazione, dunque sono riuscita a pagarmela tranquillamente. Sono andata avanti così fino a giugno, quando ai padroni di casa serviva questa stanza e dovevo quindi lasciarla. E così, di nuovo, mi sono messa a cercare un’altra stanza, ma ovviamente appena sapevano che avevo con me una bambina, tutti si tiravano indietro”. Dove alloggia ora? “Momentaneamente sono da questa mia amica, ma anche lei fra due settimane ha bisogno della stanza. Quindi sono di nuovo a cercare un’altra sistemazione. Mi sono rivolta anche ai servizi sociali per cercare qualche alloggio mamma-bambino, ma per ora sono in lista d’attesa e i tempi, a quanto pare, non sono brevi”. Ha trovato un altro impiego? “Non potrei neanche lavorare perché essendo da sola e prendendomi cura di mia figlia non saprei a chi lasciare la bambina. E poi pagare l’affitto, una babysitter e tutte le spese mi costerebbe troppo. Come se non bastasse non posso fare affidamento sulla famiglia d’origine perché è lontana e non siamo in buoni rapporti”. Dunque fra poco sarà di nuovo senza casa. “Fino a metà luglio ho dove stare, poi di nuovo non saprò dove andare. Sono stanca di dover cambiare casa con la bambina ogni quindici giorni. È pesante questa situazione. Sono sfinita da queste sistemazioni temporanee”. Cosa ne pensa del timore che hanno i padroni di casa di affittare a mamme con bimbi piccoli? “Io da una parte li capisco, perché comunque dovrebbero avere più garanzie. Dall’altra bisogna distinguere, io sono una che ha sempre pagato l’affitto, pur facendo fatica ad arrivare a fine mese, ecco perché mi sento abbandonata a me stessa”. In questo momento ha un sostentamento attraverso cui riuscire a far fronte al pagamento dell’affitto? “Ho messo da parte un po’ di soldi perché ho sempre lavorato, perciò posso riuscire ancora ad andare avanti per qualche mese. E poi spero mi aiutino i servizi sociali, almeno fino a quando la bambina non riuscirà ad andare alla materna. Per quanto mi riguarda, appena ci saranno le condizioni, conto di tornare a lavorare”. Vuole fare un appello? “Io e la mia bambina abbiamo bisogno di un tetto, dove vivere insieme senza la paura di dover cambiare alloggio ogni due settimane. È un appello che faccio per me ma anche per tante mamme nelle mie stesse condizioni. Ne conosco tante, e giorno dopo giorno incontrano le mie stesse difficoltà”.
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