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Home » Attualità » Nilofar Bayat grida aiuto dall’Afghanistan. La capitana della nazionale di pallacanestro paralimpionica e avvocata: “Mi uccideranno”

Nilofar Bayat grida aiuto dall’Afghanistan. La capitana della nazionale di pallacanestro paralimpionica e avvocata: “Mi uccideranno”

Ventottenne, lavora per la Croce Rossa internazionale ed è un'avvocata con una spiccata sensibilità per i diritti delle donne. Quando aveva appena due anni un razzo ha colpito la sua casa: uno dei suoi fratelli è morto, mentre lei e il padre sono rimasti feriti. Rimasta su una sedia a rotelle da allora si batte (con odio), contro il regime dei talebani

Sofia Francioni
18 Agosto 2021
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Ha 28 anni, è la capitana della Nazionale femminile di pallacanestro paralimpica, lavora per la Croce Rossa internazionale ed è un’avvocata con una spiccata sensibilità per i diritti delle donne, ma si nasconde in casa. Vive nell’Afghanistan dei talebani, tornata sotto la legge della Sharia e non riesce a immaginarsi un futuro.
È la storia che Nilofar Bayat, nascosta nella casa dei genitori a Kabul, racconta al quotidiano spagnolo El Mundo. “Non sono al sicuro qui. I talebani mi uccideranno se mi troveranno, perché ho parlato e lavorato per le donne afghane e i loro diritti. A loro non piacciono le donne come me”. Nilofar usa una parola contro i talebani: odio. Li odia, infatti, visceralmente da quando era una bambina di appena due anni. Da quando, racconta, “hanno preso il potere e un razzo ha colpito casa mia. Uno dei miei fratelli è stato ucciso e io e mio padre siamo rimasti feriti“. A causa dell’esplosione, 26 anni fa, Nilofar ha subito una lesione spinale, che l’ha portata a divenire una disabile permanente e a restare in carrozzina: “Mi hanno cambiato la vita per sempre. I talebani sono la cosa peggiore che mi sia successa, il mio peggior ricordo. Mi terrorizzano e li odio”.
Una storia che oggi potrebbe ripetersi. Dopo la partenza delle truppe statunitensi, i taliban, al potere in Afganistan fino al 2001, hanno preso città dopo città il controllo dell’intera regione, dichiarando la nascita del nuovo emirato islamico dell’Afghanistan e arrivando domenica 15 agosto a prendere anche la capitale,Kabul. Le donne afghane temono di nuovo di essere considerate degli esseri inferiori, così come durante i cruenti anni Novanta, e di vedersi sottrarrei diritti acquisiti. “I talebani hanno le loro leggi e non permettono alle donne di andare a scuola o al college, di lavorare e di fare sport”. Anche se, specifica l’avvocata: “Tutti, anche gli uomini, li temono perché sanno che saranno portati nell’oscurità di 20 anni fa”.
Nilofar è infatti riuscita a laurearsi in legge nel periodo in cui il presidente Hamid Karzai governò il Paese con il sostegno degli Usa, ma è convinta che oggi non avrebbe il diritto il farlo. Anche se i talebani sostengono il contrario. Uno dei loro portavoce, Suhail Shaheen, ha infatti confermato a Sky News che le donne afghane potranno accedere all’istruzione, compresa l’università, aggiungendo che dovranno indossare l’hijab ma non il burqa. Mentre fonti bilaterali citate dalla tv Tolo News dicono che i nuovi padroni del Paese stanno lavorando con l’ex capo di Stato Karzai per la formazione di un “governo inclusivo”.
Una “versione moderata” del gruppo radicale islamista, a cui per ragioni e con sfumature diverse vogliono credere Russia, Cina e Turchia. Mentre l’Occidente, a partire dall’Unione Europea, si dimostra scettico: “Mi sembra siano uguali a prima, ma parlano un inglese migliore”, ha commentato l’alto rappresentante della politica estera della Ue, Josep Borrell.
Le voci che dall’Afghanistan penetrano in Occidente sono infatti molte diverse da quelle che i talebani diffondono durante le loro conferenze stampa. Come temono il padre e il marito di Nilofar, “nessuno in Afghanistan ha un futuro”. Ecco perché l’avvocata insieme alla sua famiglia sta cercando di lasciare lo Stato e nel frattempo ripone il suo hijab per indossare il burqa dalle finestre serrate della sua casa: “In ogni angolo di Kabul c’è un posto di blocco talebano. Non riesco nemmeno ad andare al lavoro”, dichiara. Facebook e Instagram sono infatti le sole due porte d’uscita che ha, anche se è consapevole che siano un’arma a doppio taglio, dal momento che “i talebani trovano le persone proprio dai loro indirizzi Facebook”. “Spero che tutti i risultati che ho fatto, per i quali ho lavorato sodo, non si perderanno e che io possa preservare la mia libertà. Che ci sia pace nel mio Paese e che tutti noi siamo al sicuro. Per favore – dice in ultimo – pregate per noi”.
Nilofar ha provato, senza riuscirci, a qualificare la sua squadra alle Paralimpiadi di Tokyo 2020, che inizieranno il 24 agosto, ma nel torneo preolimpico la sua squadra è stata superata da Australia e Cina. Comunque, anche nel caso fosse riuscita nell’impresa, lei e le sue compagne non sarebbero potute mai andare a Tokyo. Come fa sapere il portavoce del comitato internazionale paralimpico Craig Spence “il comitato dell’Afghanistan non può più partecipare ai Giochi paralimpici di Tokyo. Vista la situazione che c’è nel Paese, tutti gli aeroporti sono chiusi e per chi avrebbe dovuto essere qui è impossibile partire”. Nella capitale del Giappone, sono due gli atleti afghani che avrebbero dovuto gareggiare nell’arte marziale del taekwondo: Zakia Khudadadi, prima donna in assoluto a rappresentare l’Afghanistan alle Paralimpiadi, e Hossain Rasouli, ma non andranno. “Ci auguriamo che il team e i suoi dirigenti rimangano al sicuro e stiano bene durante questo periodo così difficile”, ha concluso il portavoce Spence.

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  • Aumentano, purtroppo, gli episodi di bullismo e cyberbullismo. 

I minori vittime di prepotenze nella vita reale, o che le abbiano subite qualche volta sono il 54%, contro il 44% del 2020. Un incremento significativo, di ben 10 punti, che deve spingerci a riflettere. 

Per quanto riguarda il cyber bullismo, il 31% dei minori ne è stato vittima almeno una volta, contro il 23% del 2020. Il fenomeno sembra interessare più i ragazzi delle ragazze sia nella vita reale (il 57% dei maschi è stato vittima di prepotenze, contro il 50% delle femmine) sia in quella virtuale (32% contro 29%). Nel 42% si tratta di offese verbali, ma sono frequenti anche violenze fisiche (26%) e psicologiche (26%).

Il 52% è pienamente consapevole dei reati che commette se intraprende un’azione di bullismo usando internet o lo smartphone, il 14% lo è abbastanza, ma questo non sembra un deterrente. Un 26%, invece, dichiara di non saperne nulla della gravità del reato. Intervistati, con risposte multiple, sui motivi che spingono ad avere comportamenti di prepotenza o di bullismo nei confronti degli altri, il 54% indica il body shaming. 

Mentre tra i motivi che spingono i bulli ad agire in questo modo, il 50% afferma che così dimostra di essere più forte degli altri, il 47% si diverte a mettere in ridicolo gli altri, per il 37% il bullo si comporta in questo modo perché gli piace che gli altri lo temano.

Ma come si comportano se assistono a episodi di bullismo? Alla domanda su come si comportano i compagni quando assistono a queste situazioni, solo il 34% risponde “aiutano la vittima”, un dato che nel 2020 era il 44%. 

Un calo drastico, che forse potrebbe essere spiegato con una minore empatia sociale dovuta al distanziamento sociale e al lockdown, che ha impedito ai minori di intessere relazioni profonde. Migliora, invece, la percentuale degli insegnanti che, rendendosi conto di quanto accaduto, intervengono prontamente (46% contro il 40% del 2020). Un 7%, però, dichiara che i docenti, sebbene si rendano conto di quanto succede, non fanno nulla per fermare le prepotenze.

I giovanissimi sono sempre più iperconessi, ma sono ancora in grado di legarsi?

#lucenews #giornatacontroilbullismo
  • “Non sono giorni facilissimi, il dolore va e viene: è molto difficile non pensare a qualcosa che ti fa male”. Camihawke, al secolo Camilla Boniardi, una delle influencer più amate del web si mette ancora una volta a nudo raccontando le sue insicurezze e fragilità. In un post su Instagram parla della tricodinia. 

“Se fosse tutto ok, per questa tricodinia rimarrebbe solo lo stress come unica causa e allora dovrò modificare qualcosa nella mia vita. Forse il mio corpo mi sta parlando e devo dargli ascolto."

La tricodinia è una sensazione dolorosa al cuoio capelluto, accompagnata da un bruciore o prurito profondo che, in termini medici, si chiama disestesia. Può essere transitoria o diventare cronica, a volte perfino un gesto quotidiano come pettinarsi o toccarsi i capelli può diventare molto doloroso. Molte persone – due pazienti su tre sono donne – lamentano formicolii avvertiti alla radice, tra i follicoli e il cuoio capelluto. Tra le complicazioni, la tricodinia può portare al diradamento e perfino alla caduta dei capelli. 

#lucenews #lucelanazione #camihawke #tricodinia
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Domenica 5 febbraio, in una serata sfavillante a Los Angeles, la cerimonia dell’Oscare della musica della Recording Academy ha fatto entusiasmare sia per i big presenti sia per i riconoscimenti assegnati. 

Intanto ad essere simbolicamente premiate sono state le donne e i manifestanti contro la dittatura della Repubblica Islamica: “Baraye“, l’inno delle proteste in Iran, ha vinto infatti il primo Grammy per la canzone che ispira cambiamenti sociali nel mondo. Ad annunciarlo dal palco è stata nientemeno che  la first lady americana Jill Biden.

L’autore, il 25enne Shervin Hajipour, era praticamente sconosciuto quando è stato eliminato dalla versione iraniana di American Idol, ma la sua canzone è diventata un simbolo delle proteste degli ultimi mesi in Iran evocando sentimenti di dolore, rabbia, speranza e desiderio di cambiamento. Hajipour vive nel Paese in rivolta ed è stato arrestato dopo che proprio questo brano, a settembre, è diventata virale generando oltre 40 milioni di click sul web in 48 ore.

#lucenews #grammyawards2023 #shervinhajipour #iran
Ha 28 anni, è la capitana della Nazionale femminile di pallacanestro paralimpica, lavora per la Croce Rossa internazionale ed è un'avvocata con una spiccata sensibilità per i diritti delle donne, ma si nasconde in casa. Vive nell’Afghanistan dei talebani, tornata sotto la legge della Sharia e non riesce a immaginarsi un futuro.
È la storia che Nilofar Bayat, nascosta nella casa dei genitori a Kabul, racconta al quotidiano spagnolo El Mundo. "Non sono al sicuro qui. I talebani mi uccideranno se mi troveranno, perché ho parlato e lavorato per le donne afghane e i loro diritti. A loro non piacciono le donne come me". Nilofar usa una parola contro i talebani: odio. Li odia, infatti, visceralmente da quando era una bambina di appena due anni. Da quando, racconta, "hanno preso il potere e un razzo ha colpito casa mia. Uno dei miei fratelli è stato ucciso e io e mio padre siamo rimasti feriti". A causa dell’esplosione, 26 anni fa, Nilofar ha subito una lesione spinale, che l’ha portata a divenire una disabile permanente e a restare in carrozzina: "Mi hanno cambiato la vita per sempre. I talebani sono la cosa peggiore che mi sia successa, il mio peggior ricordo. Mi terrorizzano e li odio”.
Una storia che oggi potrebbe ripetersi. Dopo la partenza delle truppe statunitensi, i taliban, al potere in Afganistan fino al 2001, hanno preso città dopo città il controllo dell’intera regione, dichiarando la nascita del nuovo emirato islamico dell’Afghanistan e arrivando domenica 15 agosto a prendere anche la capitale,Kabul. Le donne afghane temono di nuovo di essere considerate degli esseri inferiori, così come durante i cruenti anni Novanta, e di vedersi sottrarrei diritti acquisiti. "I talebani hanno le loro leggi e non permettono alle donne di andare a scuola o al college, di lavorare e di fare sport". Anche se, specifica l’avvocata: "Tutti, anche gli uomini, li temono perché sanno che saranno portati nell'oscurità di 20 anni fa".
Nilofar è infatti riuscita a laurearsi in legge nel periodo in cui il presidente Hamid Karzai governò il Paese con il sostegno degli Usa, ma è convinta che oggi non avrebbe il diritto il farlo. Anche se i talebani sostengono il contrario. Uno dei loro portavoce, Suhail Shaheen, ha infatti confermato a Sky News che le donne afghane potranno accedere all'istruzione, compresa l'università, aggiungendo che dovranno indossare l'hijab ma non il burqa. Mentre fonti bilaterali citate dalla tv Tolo News dicono che i nuovi padroni del Paese stanno lavorando con l’ex capo di Stato Karzai per la formazione di un "governo inclusivo".
Una "versione moderata" del gruppo radicale islamista, a cui per ragioni e con sfumature diverse vogliono credere Russia, Cina e Turchia. Mentre l’Occidente, a partire dall’Unione Europea, si dimostra scettico: "Mi sembra siano uguali a prima, ma parlano un inglese migliore", ha commentato l’alto rappresentante della politica estera della Ue, Josep Borrell.
Le voci che dall’Afghanistan penetrano in Occidente sono infatti molte diverse da quelle che i talebani diffondono durante le loro conferenze stampa. Come temono il padre e il marito di Nilofar, "nessuno in Afghanistan ha un futuro". Ecco perché l’avvocata insieme alla sua famiglia sta cercando di lasciare lo Stato e nel frattempo ripone il suo hijab per indossare il burqa dalle finestre serrate della sua casa: "In ogni angolo di Kabul c'è un posto di blocco talebano. Non riesco nemmeno ad andare al lavoro", dichiara. Facebook e Instagram sono infatti le sole due porte d’uscita che ha, anche se è consapevole che siano un’arma a doppio taglio, dal momento che "i talebani trovano le persone proprio dai loro indirizzi Facebook". "Spero che tutti i risultati che ho fatto, per i quali ho lavorato sodo, non si perderanno e che io possa preservare la mia libertà. Che ci sia pace nel mio Paese e che tutti noi siamo al sicuro. Per favore - dice in ultimo - pregate per noi".
Nilofar ha provato, senza riuscirci, a qualificare la sua squadra alle Paralimpiadi di Tokyo 2020, che inizieranno il 24 agosto, ma nel torneo preolimpico la sua squadra è stata superata da Australia e Cina. Comunque, anche nel caso fosse riuscita nell’impresa, lei e le sue compagne non sarebbero potute mai andare a Tokyo. Come fa sapere il portavoce del comitato internazionale paralimpico Craig Spence "il comitato dell’Afghanistan non può più partecipare ai Giochi paralimpici di Tokyo. Vista la situazione che c’è nel Paese, tutti gli aeroporti sono chiusi e per chi avrebbe dovuto essere qui è impossibile partire". Nella capitale del Giappone, sono due gli atleti afghani che avrebbero dovuto gareggiare nell’arte marziale del taekwondo: Zakia Khudadadi, prima donna in assoluto a rappresentare l’Afghanistan alle Paralimpiadi, e Hossain Rasouli, ma non andranno. "Ci auguriamo che il team e i suoi dirigenti rimangano al sicuro e stiano bene durante questo periodo così difficile", ha concluso il portavoce Spence.
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