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Home » Attualità » “Noi orfani speciali, abbandonati dallo Stato. Facciamo sentire la nostra voce per ottenere ciò che ci spetta”

“Noi orfani speciali, abbandonati dallo Stato. Facciamo sentire la nostra voce per ottenere ciò che ci spetta”

Florencia Bianco, 22 anni, ha aperto una pagina Facebook dedicata a tutti i ragazzi e ragazze rimasti orfani a causa dei femminicidi. Sua mamma Antonia è stata uccisa nel 2012 dall'ex compagno e per la giovane (e i suoi due fratelli) da allora è iniziato un calvario: "Lo Stato non si ricorda di noi, sono stati stanziati dei fondi, ma non tutti hanno i requisiti"

Monica Leoncini
29 Ottobre 2021
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Quando la guardi negli occhi lei non abbassa lo sguardo e non piange, anche se la sua storia è drammatica. Ha sofferto tanto e continua a soffrire, ma aiutare gli altri le ha donato una nuova famiglia. Lei è Florencia Belen Bianco, nome che tradisce le origini italo argentine della madre, una madre che ha perso perché uccisa dall’ex compagno, con cui aveva avuto un figlio. La storia risale al 13 febbraio 2012, quando la donna, Antonia Bianco, era stata uccisa per strada dall’ex compagno, a San Giuliano Milanese, con un colpo di spillo al cuore. Antonia lo aveva denunciato più volte e segnalato alle forze dell’ordine i suoi atteggiamenti, ma non era servito. Lui è riuscito a ucciderla e a privare tre figli della mamma.

I tre figli adesso sono cresciuti, Florencia è una di loro e ha deciso, dopo anni di silenzio, di far sentire la propria voce e cercare di aiutare chi ha alle spalle un dramma come il suo. Oggi ha 22 anni, vive con la nonna materna a Villafranca in Lunigiana, un piccolo comune della provincia di Massa Carrara, ma sogna l’indipendenza e una casa in affitto dove ricominciare a vivere. Purtroppo si sente abbandonata dallo Stato, in questi anni ha ricevuto aiuto solo da amici e da associazioni di volontariato. Una in particolare, l’Associazione Edela che opera da anni, a livello nazionale, a tutela e sostegno dei protagonisti della violenza di genere, gli orfani di femminicidio e le famiglie affidatarie.

Lei stessa ne è portavoce e ha creato una pagina Facebook, “Noi orfani speciali”, che  le ha aperto un mondo di conoscenze e portato amiche che la comprendono in tutto e per tutto. “Mia madre è stata uccisa nel 2012 – racconta senza abbassare lo sguardo – è successo alle 21.12, io non dimenticherò mai il momento in cui me l’hanno comunicato. Il mio fratellino piccolo dormiva nell’altra stanza ma in quel momento ha lanciato un urlo straziante, nonostante stesse dormendo. Ogni tanto, anche ora, mi capita di guardare l’orologio o il cellulare proprio a quell’ora ed è un tuffo al cuore. Per anni non ne ho parlato, provavo vergogna per quanto successo, come capita spesso agli orfani di femminicidio. Dopo la sua morte sono stata con la sorella di mia madre, poi in una comunità educativa, ora vivo con mia nonna materna e poco lontano vive anche mio fratello maggiore. Quello piccolo invece vive in una famiglia affidataria alla Spezia”.

Florencia si sente abbandonata dallo Stato, in questi anni è stato molto faticoso comprare i libri di scuola, i vestiti, pagare le visite mediche. “Lo Stato ci ha abbandonati e non si ricorda di noi – spiega – sono stati stanziati dei fondi, ma non tutti hanno i requisiti. Il nostro obiettivo è fare rumore e ottenere quello che ci spetta, una sorta di reddito, come quello di cittadinanza. Chi non ha perso un genitore in questo modo non può capire. I social mi hanno aiutata, mi sento più felice da quando ho aperto la pagina Facebook, mi sembra di avere di nuovo una famiglia. Mi scrivono molti orfani come me, ho conosciuto una ragazza del Veneto che sento come mia sorella, basta una frase e ci capiamo al volo. Ci scrivono e parliamo ogni giorno. Il mio scopo è far crescere l’associazione e la pagina Facebook, contattare altri orfani come me, ottenere aiuto psicologico ed economico. Chiedo agli orfani di farsi avanti anche se hanno paura o timore, io ho trovato la forza e piano piano sto cercando di aiutare. La tragedia che mi ha travolto mi ha cambiato per sempre la vita, ma vado avanti. All’inizio la perdita di mia madre faceva meno male, adesso che sono cresciuta sento il bisogno di avere una mamma, ho imparato tutto da sola, non ho avuto il manuale di istruzioni che tante persone fortunate invece hanno. Mi manca molto, ogni singolo giorno”.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

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Quando la guardi negli occhi lei non abbassa lo sguardo e non piange, anche se la sua storia è drammatica. Ha sofferto tanto e continua a soffrire, ma aiutare gli altri le ha donato una nuova famiglia. Lei è Florencia Belen Bianco, nome che tradisce le origini italo argentine della madre, una madre che ha perso perché uccisa dall'ex compagno, con cui aveva avuto un figlio. La storia risale al 13 febbraio 2012, quando la donna, Antonia Bianco, era stata uccisa per strada dall'ex compagno, a San Giuliano Milanese, con un colpo di spillo al cuore. Antonia lo aveva denunciato più volte e segnalato alle forze dell'ordine i suoi atteggiamenti, ma non era servito. Lui è riuscito a ucciderla e a privare tre figli della mamma. I tre figli adesso sono cresciuti, Florencia è una di loro e ha deciso, dopo anni di silenzio, di far sentire la propria voce e cercare di aiutare chi ha alle spalle un dramma come il suo. Oggi ha 22 anni, vive con la nonna materna a Villafranca in Lunigiana, un piccolo comune della provincia di Massa Carrara, ma sogna l'indipendenza e una casa in affitto dove ricominciare a vivere. Purtroppo si sente abbandonata dallo Stato, in questi anni ha ricevuto aiuto solo da amici e da associazioni di volontariato. Una in particolare, l'Associazione Edela che opera da anni, a livello nazionale, a tutela e sostegno dei protagonisti della violenza di genere, gli orfani di femminicidio e le famiglie affidatarie. Lei stessa ne è portavoce e ha creato una pagina Facebook, "Noi orfani speciali", che  le ha aperto un mondo di conoscenze e portato amiche che la comprendono in tutto e per tutto. "Mia madre è stata uccisa nel 2012 – racconta senza abbassare lo sguardo – è successo alle 21.12, io non dimenticherò mai il momento in cui me l'hanno comunicato. Il mio fratellino piccolo dormiva nell'altra stanza ma in quel momento ha lanciato un urlo straziante, nonostante stesse dormendo. Ogni tanto, anche ora, mi capita di guardare l'orologio o il cellulare proprio a quell'ora ed è un tuffo al cuore. Per anni non ne ho parlato, provavo vergogna per quanto successo, come capita spesso agli orfani di femminicidio. Dopo la sua morte sono stata con la sorella di mia madre, poi in una comunità educativa, ora vivo con mia nonna materna e poco lontano vive anche mio fratello maggiore. Quello piccolo invece vive in una famiglia affidataria alla Spezia". Florencia si sente abbandonata dallo Stato, in questi anni è stato molto faticoso comprare i libri di scuola, i vestiti, pagare le visite mediche. "Lo Stato ci ha abbandonati e non si ricorda di noi – spiega – sono stati stanziati dei fondi, ma non tutti hanno i requisiti. Il nostro obiettivo è fare rumore e ottenere quello che ci spetta, una sorta di reddito, come quello di cittadinanza. Chi non ha perso un genitore in questo modo non può capire. I social mi hanno aiutata, mi sento più felice da quando ho aperto la pagina Facebook, mi sembra di avere di nuovo una famiglia. Mi scrivono molti orfani come me, ho conosciuto una ragazza del Veneto che sento come mia sorella, basta una frase e ci capiamo al volo. Ci scrivono e parliamo ogni giorno. Il mio scopo è far crescere l'associazione e la pagina Facebook, contattare altri orfani come me, ottenere aiuto psicologico ed economico. Chiedo agli orfani di farsi avanti anche se hanno paura o timore, io ho trovato la forza e piano piano sto cercando di aiutare. La tragedia che mi ha travolto mi ha cambiato per sempre la vita, ma vado avanti. All'inizio la perdita di mia madre faceva meno male, adesso che sono cresciuta sento il bisogno di avere una mamma, ho imparato tutto da sola, non ho avuto il manuale di istruzioni che tante persone fortunate invece hanno. Mi manca molto, ogni singolo giorno”.
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