La notizia della morte di Paul Alexander dopo 70 anni trascorsi in un polmone di acciaio, ci riporta alla memoria due storie italiane: quella di Rosanna Benzi, che all’interno di un simile dispositivo ne trascorse 29 di anni prima di morire nel 1991, e quella di Giovanna Romanato, immobilizzata nel ventilatore artificiale nel 1956 e morta nel 2019, dopo 63 anni durante i quali le era permesso di uscire dal cilindro metallico per brevi momenti della giornata.
Rosanna Benzi e la battaglia per i diritti
Lo chiamava con affetto “il mio scaldabagno”, quell’aggeggio che è stata la sua casa per quasi trent’anni. Rosanna Benzi, in questo lasso di tempo, non ha mai smesso di lottare per i diritti delle persone disabili.
“Spero che il lavoro che ho iniziato vada avanti. Spero di lasciare di me l’immagine di una donna con pregi e difetti” aveva confessato durante un’intervista, qualche giorno prima della sua morte, il 4 febbraio 1991. Anche lei, come Paul Alexander e Giovanna Romanato, era sopravvissuta alla poliomielite. Era rimasta paralizzata e con una capacità respiratoria compromessa. Aveva 13 anni quando la malattia del secolo la colpì ed entrò nel suo polmone d’acciaio.
“Ero una ragazzina, mi sono ammalata, ho preso la polio e praticamente in un giorno mi sono trovata in un polmone d’acciaio – aveva raccontato in un’intervista – Ci sto direi abbastanza bene, con un buon rapporto, fatto di amore, di tenerezza e di fedeltà, con pochissimi tradimenti”.
Giovanna Romanato
Ha vissuto nel polmone di acciaio per oltre sessant'anni. Giovanna Romanato si è avvicinata molto al record di Paul Alexander. Morta il 21 febbraio 2019, all’età di 72 anni, nella sua casa a Genova, a causa di una grave bronchite. “La mia vita è contraddistinta da una particolarità – aveva raccontato lei stessa nel suo blog , dove amava condividere i suoi pensieri e le sue passioni – all'età di dieci anni sono stata colpita da una grave forma di paralisi ai quattro arti, necessitando da allora di aiuto continuo. La poliomielite è stata la causa di tutto ciò”.
Il ventilatore artificiale per lei era una “creatura buona”, quella creatura che fin da bambina le ha permesso di respirare. Col tempo era riuscita a conquistarsi, grazie al supporto medico ovviamente, un minimo di autonomia. Poi a 14 anni le sue condizioni sono peggiorate e da quel momento non si è più separata dal macchinario, se non per pochi e brevi momenti della giornata. “Pur non dovendo dipendere 24h su 24 dal polmone d'acciaio, abitando al quarto piano di una vecchia palazzina alla "genovese" -naturalmente senza ascensore- pensare di poter uscire è sempre stata un'impresa molto complessa da realizzare – scrisse parlando della sua vita – La mia autonomia al di fuori del polmone è sempre stata limitata ad alcune ore durante la giornata”