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Home » Attualità » Rendiamo l’accesso Ztl un diritto sostanziale per le persone con disabilità: la campagna di Luce! per il telepass unico

Rendiamo l’accesso Ztl un diritto sostanziale per le persone con disabilità: la campagna di Luce! per il telepass unico

Perché il contrassegno di invalidità per gli accessi alle Ztl o alle corsie preferenziali non vale nazionalmente? Luce! lancia la sua campagna e accoglie la proposta del Presidente Anfass D’Errico: "E pensare che basterebbero un telepass e un'app"

Sofia Francioni
3 Dicembre 2021
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In occasione della giornata dedicata alla disabilità, Luce! lancia la sua campagna per un telepass unico che garantisca su tutto il territorio nazionale alle persone con disabilità la libera circolazione nelle Ztl, chiedendo di rendere questo diritto formale, già legge da 25 anni, sostanziale. I diritti sanciti dal contrassegno speciale disabili si perdono infatti nei no sense di una burocrazia vittima di campanilismo, dando vita a pratiche che finiscono per occupare inutilmente le scrivanie e il personale delle amministrazioni e a far perdere tempo e energie alle persone con disabilità che, comune dopo comune, sono costrette a ribadire dei diritti sanciti dalla legge.

L’accesso nazionale alle Ztl è legge, ma l’utente deve ricordarlo comune per comune

È dal 1996 che in Italia le persone con disabilità hanno infatti diritto, che siano al volante o  passeggeri, “alla circolazione e la sosta nelle cosiddette Ztl (zone a traffico limitato) e anche nelle aree pedonali urbane”. Un contrassegno blu valido per tutta l’Italia, che nei fatti però il titolare è costretto a far valere ogni volta che varca le Ztl dei quasi 8mila comuni disseminati nel Paese. In tutte le città, tranne che in una: quella in cui ha la propria residenza. È l’articolo 11/1996 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 503 a mettere nero su bianco questi diritti, ribaditi nel 2008 anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza 719/2008.

 

D’Errico: “E pensare che basterebbe un telepass unico e un’app”

“Il problema è che i rilevatori elettronici delle Ztl comunali non rilevano il contrassegno del passeggero o dell’autista, ma la targa dell’auto che attraversa il varco nella zona a traffico limitato. A quel punto, non rifacendosi a una banca dati unica nazionale, il Comune non è in grado di sapere se la targa è collegata a un contrassegno disabile oppure no. E, non potendolo sapere, chiede al cittadino di comunicarglielo entro e non oltre le 48 ore successive dal passaggio“. Un obbligo di comunicazione a carico dell’utente ribadito anche dalla sentenza della Cassazione n. 21320 del 14 settembre 2017, nella quale viene chiarito che l’obbligo della comunicazione “non può rendere illegittimo l’accesso effettuato da chi ne abbia diritto, ma serve ad evitare di comminare sanzioni a soggetti legittimati all’accesso ex art. 11 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996”. Con il risultato che “nel caso il titolare del pass si dimentichi della comunicazione, fa ricorso al giudice di pace e vince sempre, ma perde tempo: lui e l’intero sistema“. A parlare è Giancarlo D’Errico, presidente di Anfass Torino, associazione nazionale delle famiglie con persone con disabilità intellettiva e/o relazionale.  D’Errico conosce bene il tema, perché viaggia molto spesso in Italia e all’estero munito del pass blu, dato che ha problemi a camminare.  “Questa prassi a livello logistico è incomprensibile. Tanto tempo ed energie perse da tutti”.

Sembra una cosa così assurda e insieme banale che non ci si crede. Veramente ogni Comune richiede per l’accesso legittimo alla Ztl una comunicazione da parte dei titolari del contrassegno disabili?

“Sì, è una pratica da secolo scorso. Veramente incomprensibile”.

La persona con disabilità, passeggero o al volante, deve comunicare al Comune il suo diritto all’accesso alla zona a traffico limitato entro le 48 ore successive all’ingresso. Succede di dimenticarsi di avvisare?

“Qualche volta sì. Quando succede di venire multati, se si fa ricorso, il giudice di Pace dà ragione al cittadino. Ma si esprime nella città dove è stata commessa la finta infrazione e a volte la spesa del viaggio costa più della multa. Quindi capita di rinunciare. Di recente ad esempio ho pagato una multa di 90 euro, perché vivo a Torino e per il ricorso dovevo andare dal giudice di pace a Orta San Giulio in provincia di Novara. Erano quasi due ore di macchina e non conveniva”.

Dispendio di soldi, di tempo e di energie quando basterebbe un pass unico

“Il contrassegno è già europeo. Ma non viene rilevato elettronicamente: né dai varchi Ztl, né dalle corsie preferenziali degli aeroporti. Il contrassegno dovrebbe funzionare come un telepass rilevabile elettronciamente collegato alla persona, non alla targa. Io sono il disabile, non la mia auto”.

Da presidente Anfass, sa dirci se il problema è sentito?

“Molto. Arrivano tante richieste che denunciano il bisogno di razionalizzare le procedure e semplificare la burocrazia. Un passo doveroso, tanto più oggi che con un’app fai tutto”

Sta proponendo un telepass unico e un’app?

“Certo: Ztl, corsie riservate, portali elettronici sono diffusissimi, perché non collegare il telepass a un’app e rendere il diritto applicabile con facilità?”

Lei viaggia molto, spostandosi dalle città agli aeroporti la situazione migliora?

“Mi imbarco spesso dall’aeroporto Caselle di Torino. Mi accompagna mio fratello. Ho preso 3 o 4 multe tutte ritirate perché sono entrato nella corsia preferenziale, di destra, per accedere più facilmente all’ingresso, dato che avendo difficoltà a camminare uso le stampelle, ma l’aeroporto per lo stesso identico problema di rilevamento non lo sa e quindi mi multa. Con il risultato che per accedere entrare nell’aeroporto sono costretto a far fermare l’auto al centro della strada e scendere. Direi che la situazione non migliora”.

“Nella giornata per la disabilità chiediamoci come stanno le loro famiglie”

Il membro del comitato scientifico di Luce! Luca Trapanese, assessore al welfare del comune di Napoli e papà gay e single della piccola Alba, spera che la giornata del 3 dicembre possa essere l’occasione “per concentrarsi in primis sui problemi che hanno le famiglie con persone disabili. Pensare al senso di abbandono che una famiglia prova da quando nasce le nasce un figlio disabile a quando deve certificarne la disabilità: un percorso faticoso, lungo e lento”. Per Luca, che da anni si occupa di progetti legati alla disabilità, il sostegno dello Stato dev’essere completo: “Dall’inserimento a scuola, alla consocenza della terapie di cui tuo figlio ha bisogno, al all’autonomia, al diritto al lavoro, alla sessualità. Ci sono gravi mancanze da parte delle istituzioni verso le famiglie disabili e i disabili stessi, che non rispondono ad esigenze che vanno dalla nascita al dopo di noi. Bisogni di cui si fanno carico associazioni o fondazioni, dato che manca un vero e proprio progetto stato”.

 

Se volete condividere la vostra esperienza e partecipare alla campagna #telepassdisabilinazionale scriveteci a redazione@luce.news.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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È dal 1996 che in Italia le persone con disabilità hanno infatti diritto, che siano al volante o  passeggeri, "alla circolazione e la sosta nelle cosiddette Ztl (zone a traffico limitato) e anche nelle aree pedonali urbane". Un contrassegno blu valido per tutta l’Italia, che nei fatti però il titolare è costretto a far valere ogni volta che varca le Ztl dei quasi 8mila comuni disseminati nel Paese. In tutte le città, tranne che in una: quella in cui ha la propria residenza. È l’articolo 11/1996 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 503 a mettere nero su bianco questi diritti, ribaditi nel 2008 anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza 719/2008.  

D'Errico: "E pensare che basterebbe un telepass unico e un'app"

"Il problema è che i rilevatori elettronici delle Ztl comunali non rilevano il contrassegno del passeggero o dell’autista, ma la targa dell’auto che attraversa il varco nella zona a traffico limitato. A quel punto, non rifacendosi a una banca dati unica nazionale, il Comune non è in grado di sapere se la targa è collegata a un contrassegno disabile oppure no. E, non potendolo sapere, chiede al cittadino di comunicarglielo entro e non oltre le 48 ore successive dal passaggio". Un obbligo di comunicazione a carico dell’utente ribadito anche dalla sentenza della Cassazione n. 21320 del 14 settembre 2017, nella quale viene chiarito che l’obbligo della comunicazione "non può rendere illegittimo l’accesso effettuato da chi ne abbia diritto, ma serve ad evitare di comminare sanzioni a soggetti legittimati all’accesso ex art. 11 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996". Con il risultato che "nel caso il titolare del pass si dimentichi della comunicazione, fa ricorso al giudice di pace e vince sempre, ma perde tempo: lui e l’intero sistema". A parlare è Giancarlo D’Errico, presidente di Anfass Torino, associazione nazionale delle famiglie con persone con disabilità intellettiva e/o relazionale.  D’Errico conosce bene il tema, perché viaggia molto spesso in Italia e all’estero munito del pass blu, dato che ha problemi a camminare.  "Questa prassi a livello logistico è incomprensibile. Tanto tempo ed energie perse da tutti". Sembra una cosa così assurda e insieme banale che non ci si crede. Veramente ogni Comune richiede per l’accesso legittimo alla Ztl una comunicazione da parte dei titolari del contrassegno disabili? "Sì, è una pratica da secolo scorso. Veramente incomprensibile". La persona con disabilità, passeggero o al volante, deve comunicare al Comune il suo diritto all’accesso alla zona a traffico limitato entro le 48 ore successive all’ingresso. Succede di dimenticarsi di avvisare? "Qualche volta sì. Quando succede di venire multati, se si fa ricorso, il giudice di Pace dà ragione al cittadino. Ma si esprime nella città dove è stata commessa la finta infrazione e a volte la spesa del viaggio costa più della multa. Quindi capita di rinunciare. Di recente ad esempio ho pagato una multa di 90 euro, perché vivo a Torino e per il ricorso dovevo andare dal giudice di pace a Orta San Giulio in provincia di Novara. Erano quasi due ore di macchina e non conveniva". Dispendio di soldi, di tempo e di energie quando basterebbe un pass unico "Il contrassegno è già europeo. Ma non viene rilevato elettronicamente: né dai varchi Ztl, né dalle corsie preferenziali degli aeroporti. Il contrassegno dovrebbe funzionare come un telepass rilevabile elettronciamente collegato alla persona, non alla targa. Io sono il disabile, non la mia auto". Da presidente Anfass, sa dirci se il problema è sentito? "Molto. Arrivano tante richieste che denunciano il bisogno di razionalizzare le procedure e semplificare la burocrazia. Un passo doveroso, tanto più oggi che con un’app fai tutto" Sta proponendo un telepass unico e un'app? "Certo: Ztl, corsie riservate, portali elettronici sono diffusissimi, perché non collegare il telepass a un’app e rendere il diritto applicabile con facilità?" Lei viaggia molto, spostandosi dalle città agli aeroporti la situazione migliora? "Mi imbarco spesso dall’aeroporto Caselle di Torino. Mi accompagna mio fratello. Ho preso 3 o 4 multe tutte ritirate perché sono entrato nella corsia preferenziale, di destra, per accedere più facilmente all’ingresso, dato che avendo difficoltà a camminare uso le stampelle, ma l’aeroporto per lo stesso identico problema di rilevamento non lo sa e quindi mi multa. Con il risultato che per accedere entrare nell'aeroporto sono costretto a far fermare l’auto al centro della strada e scendere. Direi che la situazione non migliora".

"Nella giornata per la disabilità chiediamoci come stanno le loro famiglie"

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