“A livello di emozioni, quando esci dalla stanza di un bambino che sei riuscito a far sorridere cammini mezzo metro sopra il pavimento". Paolo Guarino lavora negli ospedali e nelle case di recupero per disabili a Milano e nel resto della Lombardia. Con i suoi attrezzi del mestiere interviene dove c’è più necessità e il bisogno di una risata e di un momento felice non conosce confini. "Faccio parte della Fondazione Dottor Sorriso, sono entrato nel 2014 e questo è quindi il mio decimo anno con loro. Poi in realtà io lo faccio dal 2005, iniziando prima come volontario poi mi sono dato al professionismo. Facevo e faccio l’educatore tramite le arti circensi, quindi non solo la clownerie ma anche l’equilibrismo, la giocoleria ecc. Dal 2014 sono un Dottor Sorriso, perché era mio desiderio fare qualcosa in più: già lavoravo come clown per i bambini, a quel punto ho deciso di farlo diventare il mio unico impiego”. Abbiamo chiesto al dottor Guarino di raccontarci cosa succede quando i piccoli pazienti degli ospedali pediatrici incontrano i “Nasi Rossi” della Fondazione, che da quasi 30 anni opera all’interno delle strutture sanitarie e degli istituti per disabilità per rendere più serena e meno traumatica la loro degenza.
Qual è la magia nascosta nel sorriso dei bambini e come si fa a ottenerla? "Negli anni sono stati fatti diversi studi per cui a livello chimico, tramite dati certi, hanno dimostrato che il sorriso, il buonumore, il fatto che il clown entri in ospedale è decisivo su alcune cose. È chiaro che non guarisce però aiuta nel decorso della degenza, ad assumere meno famaci antidolorifici e così via. Poi diciamo che a livello mentale la figura del clown in questi anni si è sempre più specializzata, per cui dietro a formazioni anche particolari si fanno interventi ad hoc. Per esempio, come nel mio caso, si fa accompagnamento pre e post operatorio ai bimbi, accompagnandoli fino alle porte della sala operatoria, oppure si lavora con i bimbi con gravi disabilità. Formazioni che vengono fatte a livello nostro e poi se a una persona piace si forma poi anche per conto proprio". Le è mai capitato di non riuscire a far sorridere un bambino? O di non essere ‘benvoluto’? "A volte capita. Per fortuna le percentuali sono veramente risibili: su 25/30 bambini che incontriamo magari ne troviamo uno che proprio non ci vuole. Purtroppo ci sta che sia lo stesso genitore a non volerci, perché magari la situazione è particolare, non se la sente di avere gente intorno. Però siamo abituati anche a gestire il no: noi non insistiamo, cerchiamo sempre di arrivare a capire se è veramente un no o è una cosa un po’ così, perché capita che rifiutino e poi dopo due minuti sei dentro alla stanza a giocare col bambino. Ma sono davvero pochi i casa, per fortuna ci va quasi sempre bene". Operate da soli o in gruppo? "Generalmente lavoriamo in coppia, perché nella clownerie c’è il contrasto, che diventa una cosa comica.Un esempio sono il Bianco e l’Augusto, quello che non sa far niente e quello che invece crede di saper far tutto ma non sa fare niente neanche lui per cui si crea questo contrasto tra i due e vengono fuori le cose che fanno ridere".
A lei e gli altri Nasi Rossi cosa trasmettono invece questi piccoli pazienti? "Per quanto mi riguarda, ma penso sia un sentimento abbastanza comune, c’è proprio questo senso di riconoscenza che ci arriva per cui finita una stanza si capisce subito se un bambino ha giocato, sorriso, è stato in nostra compagnia volentieri. Lo vedi anche dal genitore, se è più sollevato, perché poi spesso in ospedale gli adulti soffrono peggio dei loro figli paradossalmente. Ci sono segnali non solo verbali ma anche del corpo, per cui noi usciamo gratificati, è come aver segnato un gol. Poi ci sono quelli che ti abbracciano, ti ringraziano 200 volte, però in generale c’è un senso di gratitudine. Quello che dico sempre, perché io faccio anche formazione a clown ospedalieri volontari, è che uno pensa di andare e di dare tanto ma in realtà riceve di più di quello che da. A livello di emozioni esci e cammini mezzo metro sopra il pavimento". E quando invece le cose vanno male, quando le cure non funzionano o hanno solo l’effetto di ritardare una fine purtroppo certa… Insomma come affronta la sofferenza o la morte di un bambino? "Ci immedesimiamo molto in quel dolore, soprattutto nelle case dove ci sono bambini disabili e soprattutto capita in caso di una relazione che dura per tanto tempo. Se vado in ospedale il paziente lo vedo quel giorno lì e poi magari non lo vedo mai più oppure mesi o anni dopo. Invece ci sono casi in cui i bambini li vedi costantemente perché sono in terapia, allora lì si crea una relazione anche forte a volte e c’è questo ‘problema’, diciamo così, che va sicuramente a incidere. Nel senso che quando le cose non vanno bene ci soffriamo anche noi, assolutamente. Ma abbiamo la fortuna di avere una formazione costante, a 360 gradi, quindi non solo artistica ma anche emotiva, e poi abbiamo una psicologa che lavora per noi".
Lei ha figli? Si è mai trovato ad affrontare una malattia o un’intervento da genitore? "Ho un figlio di 23 anni e sono uscito indenne da questo processo perché non ci sono stati ricoveri. Ma nel periodo in cui era piccolo uno ci pensa e un po’ ti immedesimi nella situazione". Quanti anni hanno i pazienti con cui avete a che fare? "Come mission abbiamo i minori, dai bambini appena nati ai 18enni, in qualche caso anche oltre. Abbiamo una fascia d’età molto ampia". E invece quanta richiesta c’è per diventare clown? "C’è da fare un distinguo, perché nel professionismo c’è poca richiesta perché chi viene a fare clownterapia in Fondazioni come la nostra deve avere comunque una base artistica, una certa preparazione, quindi si va a pescare in una nicchia. Nel volontariato tra gli anni Novanta e il 2010 circa c’è stato un boom pazzesco: volontari ce ne sono davvero tantissimi, per fortuna direi, ma loro vanno solo il sabato e la domenica perché hanno un loro lavoro. Noi invece andiamo durante la settimana, è molto diverso". In che consiste la vostra formazione? "Ne abbiamo diversi tipi: una prettamente artistica per cui si lavora sul contrasto, l’improvvisazione, le tecniche di clownerie ecc.; poi c’è una formazione a livello emotivo, quindi con lezioni che riguardano la morte, che riguardano le varie emozioni, per cui ci alleniamo anche su quello".