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Home » Attualità » Un anno fa l’uccisione di George Floyd Biden invita la famiglia, ma la riforma della polizia resta lontana

Un anno fa l’uccisione di George Floyd Biden invita la famiglia, ma la riforma della polizia resta lontana

Il presidente contava di avere la legge pronta per martedì 25 ma si presenterà a mani vuote

Federico Martini
22 Maggio 2021
People react near a mural of George Floyd after former Minneapolis Police Department Police Officer Derek Chauvin was found guilty on all counts in Minneapolis, Minnesota  in the death of Floyd in Atlanta, Georgia USA, 20 April 2021. ANSA/ERIK S. LESSER

People react near a mural of George Floyd after former Minneapolis Police Department Police Officer Derek Chauvin was found guilty on all counts in Minneapolis, Minnesota in the death of Floyd in Atlanta, Georgia USA, 20 April 2021. ANSA/ERIK S. LESSER

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Un anno fa, il 25 maggio del 2020, moriva George Floyd. Un caso shock, documentato con un video impietoso di otto minuti e 46 secondi, che ha sconvolto l’America costringendola a fare i conti con l’uso eccessivo della forza da parte della polizia, il suo passato di schiavitù e un presente fatto ancora di razzismo. Per l’anniversario della morte del ‘gigante buonò divenuto volto del movimento Black Lives Matter il presidente Joe Biden riceve alla Casa Bianca la famiglia dell’afroamericano ucciso a Minneapolis dall’ex agente-carnefice Derek Chauvin, condannato dalla giuria e in attesa di conoscere la sua sentenza definitiva.

Per Biden si tratta di un appuntamento importante per ‘riunire’ gli Stati Uniti e gli americani dopo quattro anni di divisioni con Donald Trump e per provare a voltare pagina e mostrare il volto tollerante e aperto dell’America.  All’incontro però il presidente si presenta a ‘mani vuote’: l’attesa riforma della polizia è ferma in Congresso dove le trattative sono da giorni ormai in fase di stallo. L’obiettivo di approvarla per il 25 maggio, come sognato da Biden, è difficile e quasi impossibile nonostante le pressioni e le fughe in avanti dei singoli stati.

In attesa di regole federali, la procuratrice di New York Letitia James ha infatti proposto una stretta sull’uso della forza da parte delle forze dell’ordine: può esserci solo come “ultima risorsa estrema” dopo che tutte le altre alternative sono state provate.

Mentre l’America attende risposte, si susseguono gli incidenti che vedono la polizia protagonista. Un nuovo recente video shock ha mostrato come l’afroamericano Ronald Greene è stato assalito e linciato da un gruppo di poliziotti che cercavano di arrestarlo in Louisiana. Il caso risale al 2019 e alla famiglia di Greene venne inizialmente detto che il 49enne era morto in seguito a un incidente stradale. Il video e il referto del medico legale, emersi solo di recente dopo che le autorità hanno tentato di insabbiarli per due anni, ritraggono però una realtà ben diversa che alimenta il dibattito sull’uso della forza da parte degli agenti. C’è poi la morte di William Jennette e quella di Andrew Brown, l’afroamericano ucciso lo scorso aprile da un agente che gli stava notificando un mandato di perquisizione. Jennette era invece in un carcere del Tennessee nel maggio del 2020 quando è morto. Un filmato trapelato rivela che Jennette chiese aiuto, implorò gli agenti di fermarsi ma ottenne solo una presa in giro: al suo ‘I can’t breathe‘, non posso respirare, un poliziotto rispose deridendolo.

Insomma una lista lunga che continua a crescere nonostante l’anno di proteste seguito alla morte di Floyd che ha lasciato ferite ancora aperte in America.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Un anno fa, il 25 maggio del 2020, moriva George Floyd. Un caso shock, documentato con un video impietoso di otto minuti e 46 secondi, che ha sconvolto l’America costringendola a fare i conti con l’uso eccessivo della forza da parte della polizia, il suo passato di schiavitù e un presente fatto ancora di razzismo. Per l’anniversario della morte del ‘gigante buonò divenuto volto del movimento Black Lives Matter il presidente Joe Biden riceve alla Casa Bianca la famiglia dell’afroamericano ucciso a Minneapolis dall’ex agente-carnefice Derek Chauvin, condannato dalla giuria e in attesa di conoscere la sua sentenza definitiva. Per Biden si tratta di un appuntamento importante per ‘riunire' gli Stati Uniti e gli americani dopo quattro anni di divisioni con Donald Trump e per provare a voltare pagina e mostrare il volto tollerante e aperto dell’America.  All’incontro però il presidente si presenta a ‘mani vuote': l’attesa riforma della polizia è ferma in Congresso dove le trattative sono da giorni ormai in fase di stallo. L’obiettivo di approvarla per il 25 maggio, come sognato da Biden, è difficile e quasi impossibile nonostante le pressioni e le fughe in avanti dei singoli stati. In attesa di regole federali, la procuratrice di New York Letitia James ha infatti proposto una stretta sull’uso della forza da parte delle forze dell’ordine: può esserci solo come "ultima risorsa estrema" dopo che tutte le altre alternative sono state provate. Mentre l’America attende risposte, si susseguono gli incidenti che vedono la polizia protagonista. Un nuovo recente video shock ha mostrato come l’afroamericano Ronald Greene è stato assalito e linciato da un gruppo di poliziotti che cercavano di arrestarlo in Louisiana. Il caso risale al 2019 e alla famiglia di Greene venne inizialmente detto che il 49enne era morto in seguito a un incidente stradale. Il video e il referto del medico legale, emersi solo di recente dopo che le autorità hanno tentato di insabbiarli per due anni, ritraggono però una realtà ben diversa che alimenta il dibattito sull’uso della forza da parte degli agenti. C’è poi la morte di William Jennette e quella di Andrew Brown, l’afroamericano ucciso lo scorso aprile da un agente che gli stava notificando un mandato di perquisizione. Jennette era invece in un carcere del Tennessee nel maggio del 2020 quando è morto. Un filmato trapelato rivela che Jennette chiese aiuto, implorò gli agenti di fermarsi ma ottenne solo una presa in giro: al suo ‘I can’t breathe', non posso respirare, un poliziotto rispose deridendolo. Insomma una lista lunga che continua a crescere nonostante l’anno di proteste seguito alla morte di Floyd che ha lasciato ferite ancora aperte in America.
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