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Home » Attualità » Una, nessuna, centomila: da donne a donne. Ma la violenza di genere è un problema degli uomini

Una, nessuna, centomila: da donne a donne. Ma la violenza di genere è un problema degli uomini

"State attente", "Denunciate" e così via: quante volte le donne sentono ripetersi queste frasi, nella vita? Ma per non diventare un numero nella classifica delle vittime di aggressioni o di femminicidi a dover essere educati, allontanati, seguiti da esperti, anche sottoposti a coprifuoco, dovrebbero in realtà essere gli uomini

Valentina Bertuccio D'Angelo
25 Novembre 2021
International Women's Day. Vector illustration, card, poster, flyer and banner template

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Oggi è quel giorno dell’anno in cui le donne parlano alle altre donne della violenza sulle donne. Come se non lo sapessimo già da sole, noi donne, che bisogna stare attente: attente a non farci menare dal marito, a non farci molestare per strada, a non farci molestare sul posto di lavoro. E, a proposito di lavoro, attente donne: fate in modo di non perderlo, se no poi come fate a lasciare il compagno violento? Come dite? Per stare dietro ai figli siete state costrette a stare a casa lasciando che fosse il padre a fare carriera? Brave fesse.
Insomma, oggi più che negli altri giorni, è tutto un “denunciate”, “andate via al primo schiaffo”, “siate indipendenti”. Ma la violenza di genere non cade dall’alto, non è un fatto della vita che capita a chi la sorte ha deciso di far nascere donna o a chi ci si sente. Anche se molti non vogliono sentirlo, la verità, molto banale, è che la violenza sulle donne è un problema degli uomini. Sono loro che il 25 novembre, ma anche il 26 e il 27 e tutti i giorni dell’anno, vanno educati.

Qualche passo, bisogna dirlo, si sta facendo. Per esempio non cedendo solo alla retorica della donna fragile, impotente vittima. Esiste un bel documentario datato 2016, “Un altro me”, che racconta chi sono, cosa pensano e quali sono le dinamiche profonde di chi ha commesso un reato sessuale. E questa sera in provincia di Milano, a Cesano Boscone, sarà trasmesso nel corso delle “celebrazioni” del 25 novembre. Ma siamo comunque nel campo del tragico, del definitivo. Per arrivare a quel punto ci sono tutte delle sfumature di comportamenti che potrebbero essere evitati o almeno limitati se ci fosse maggiore attenzione all’educazione dei maschi. In primis, in famiglia, aiutando i genitori a crescere bambini e ragazzi rispettosi. E poi a scuola: oltre a insegnare alle ragazze come difendersi dalle aggressioni a sfondo sessuale, perché non organizzare lezioni obbligatorie per i ragazzi sull’importanza del consenso e della sessualità consapevole?

Molto fanno i messaggi che arrivano dalle istituzioni. Le donne vittime dei compagni, quando va bene, vengono accolte in case protette. Devono lasciare la propria abitazione, la propria realtà, per colpa di un uomo violento. Perché invece non allontanare l’uomo? Ma allontanarlo davvero, controllato, affinché non possa fare più del male. Perché ci sono case accoglienza per le donne picchiate e non case “accoglienza” per gli uomini violenti? In Inghilterra, qualche mese fa, davanti ad alcuni omicidi di donne a sfondo sessuale, ammazzate per strada, la deputata Jenny Jones ha lanciato una provocazione: coprifuoco per gli uomini. Apriti cielo, è stata ricoperta di insulti misogini. Ma scommetto che nessuno avrebbe mosso obiezioni se si fosse proposto un coprifuoco delle donne, a loro tutela. Perché è più facile riproporre l’immagine della donna preda da difendere, che quello dell’uomo predatore da punire. Ma è ora di dire basta: la violenza sulle donne è un problema degli uomini, partiamo da loro.

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  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague
Oggi è quel giorno dell'anno in cui le donne parlano alle altre donne della violenza sulle donne. Come se non lo sapessimo già da sole, noi donne, che bisogna stare attente: attente a non farci menare dal marito, a non farci molestare per strada, a non farci molestare sul posto di lavoro. E, a proposito di lavoro, attente donne: fate in modo di non perderlo, se no poi come fate a lasciare il compagno violento? Come dite? Per stare dietro ai figli siete state costrette a stare a casa lasciando che fosse il padre a fare carriera? Brave fesse. Insomma, oggi più che negli altri giorni, è tutto un "denunciate", "andate via al primo schiaffo", "siate indipendenti". Ma la violenza di genere non cade dall'alto, non è un fatto della vita che capita a chi la sorte ha deciso di far nascere donna o a chi ci si sente. Anche se molti non vogliono sentirlo, la verità, molto banale, è che la violenza sulle donne è un problema degli uomini. Sono loro che il 25 novembre, ma anche il 26 e il 27 e tutti i giorni dell'anno, vanno educati.
Qualche passo, bisogna dirlo, si sta facendo. Per esempio non cedendo solo alla retorica della donna fragile, impotente vittima. Esiste un bel documentario datato 2016, "Un altro me", che racconta chi sono, cosa pensano e quali sono le dinamiche profonde di chi ha commesso un reato sessuale. E questa sera in provincia di Milano, a Cesano Boscone, sarà trasmesso nel corso delle "celebrazioni" del 25 novembre. Ma siamo comunque nel campo del tragico, del definitivo. Per arrivare a quel punto ci sono tutte delle sfumature di comportamenti che potrebbero essere evitati o almeno limitati se ci fosse maggiore attenzione all'educazione dei maschi. In primis, in famiglia, aiutando i genitori a crescere bambini e ragazzi rispettosi. E poi a scuola: oltre a insegnare alle ragazze come difendersi dalle aggressioni a sfondo sessuale, perché non organizzare lezioni obbligatorie per i ragazzi sull'importanza del consenso e della sessualità consapevole?
Molto fanno i messaggi che arrivano dalle istituzioni. Le donne vittime dei compagni, quando va bene, vengono accolte in case protette. Devono lasciare la propria abitazione, la propria realtà, per colpa di un uomo violento. Perché invece non allontanare l'uomo? Ma allontanarlo davvero, controllato, affinché non possa fare più del male. Perché ci sono case accoglienza per le donne picchiate e non case "accoglienza" per gli uomini violenti? In Inghilterra, qualche mese fa, davanti ad alcuni omicidi di donne a sfondo sessuale, ammazzate per strada, la deputata Jenny Jones ha lanciato una provocazione: coprifuoco per gli uomini. Apriti cielo, è stata ricoperta di insulti misogini. Ma scommetto che nessuno avrebbe mosso obiezioni se si fosse proposto un coprifuoco delle donne, a loro tutela. Perché è più facile riproporre l'immagine della donna preda da difendere, che quello dell'uomo predatore da punire. Ma è ora di dire basta: la violenza sulle donne è un problema degli uomini, partiamo da loro.
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