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Home » Attualità » Viktoriia, bloccata in Ucraina per aiutare la mamma malata di cancro: “Siamo in una cantina, salvateci o moriremo”

Viktoriia, bloccata in Ucraina per aiutare la mamma malata di cancro: “Siamo in una cantina, salvateci o moriremo”

La storia della signora Ladchenko, volata in Ucraina prima dello scoppio della guerra per aiutare la madre in gravi condizioni. Ora entrambe si trovano in un sottoscala a Kherson. L'appello fatto a Luce!: "Mia mamma sta peggiorando, ha bisogno di assistenza immediata"

Maurizio Costanzo e Caterina Ceccuti
9 Marzo 2022
Viktoriia Ladchenko

Viktoriia Ladchenko

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La forza delle donne è inesauribile. Il coraggio delle donne è infinito. Ne è un esempio Viktoriia Ladchenko, che nonostante tutti l’avessero scoraggiata a partire per l’Ucraina, dove già soffiavano venti di guerra, lei ha fatto le valigie ed è tornata nel suo Paese, per aiutare la mamma malata di cancro, ricoverata in ospedale, che aveva bisogno di cure, che aveva bisogno di lei.

Viktoriia Ladchenko è partita per l’Ucraina per aiutare la mamma malata di cancro. È rimasta bloccata in una cantina dove ancora si nasconde con la madre (Nella foto Viktoriia con il marito)

Per raggiungerla, ha dovuto lasciare marito e figli, partire da Eboli, in provincia di Salerno, dove viveva. Ha presa il primo volo, quando gli aerei ancora viaggiavano, diretta a Kherson, una delle città oggi tra le più bersagliate dagli attacchi russi. Una volta lì, la situazione è precipitata. È scoppiata la guerra che tanto si temeva.

Viktoriia insieme al figlio Yurii

“Gli ospedali sono stati evacuati e così ho dovuto portare mamma via da lì”, ci racconta al telefono. Ha messo in un borsone, più in fretta possibile, pigiami, vestiti e medicine. Una volta svuotato l’armadietto dell’ospedale, ha preso la sua mamma per mano e l’ha portata a casa. Ma una volta lì hanno iniziato a temere per le loro vite, con il rombo degli aerei militari che sfrecciavano sul loro tetto e le esplosioni che rimbombavano sui vetri di casa. Dalle finestre assistevano a scene tragiche, scontri, uccisioni, lanci di molotov contro i carri armati. Sotto le bombe e in mezzo a quell’inferno, hanno fatto l’unica scelta possibile, insieme a una quindicina di abitanti del palazzo: in mancanza di un bunker sono scesi nel sottoscala e si sono chiuse in cantina per cercare rifugio.

Viktoriia Ladchenko insieme alla famiglia

Lì sotto, freddo e umido sono entrate nelle ossa. Cibo e acqua intanto stanno scarseggiando, e come se non bastasse la mamma è peggiorata, giorno dopo giorno è diventata sempre più debole. Sono entrambe da giorni nascoste in quel rifugio domestico, senza possibilità di uscita. Ogni tanto, quando è possibile, salgono su a casa. “Siamo bloccate a Kherson – ci racconta Viktoriia tra le lacrime – i treni non passano, non ci sono autobus né auto che possono portarci via. Non ci sono corridoi umanitari. Non possiamo partire e venir via da soli da questo inferno. Mia mamma è debolissima, avrebbe dovuto rimanere in ospedale. Fa fatica persino a camminare, e come se non bastasse ci è rimasto poco cibo in questo seminterrato, dove ci siamo nascoste dopo i bombardamenti. Vedo la mamma peggiorare sotto i miei occhi ed è terribile non poter fare niente. Sta soffrendo, ha bisogno di cure urgentissime, è gravemente ammalata, ha un cancro. Se nessuno ci aiuta morirà, moriremo. Siamo sole e indifese”. Viktoriia a questo punto lancia un appello: “Fate di tutto per riportarci a casa, dove mio marito e mio figlio mi stanno aspettando, e io non vedo l’ora di riabbracciarli.

L’appello di Viktoriia Ladchenko: “Qualcuno ci aiuti a tornare a casa, dove mio figlio e mio marito mi aspettano, o moriremo qui”

 

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
La forza delle donne è inesauribile. Il coraggio delle donne è infinito. Ne è un esempio Viktoriia Ladchenko, che nonostante tutti l’avessero scoraggiata a partire per l’Ucraina, dove già soffiavano venti di guerra, lei ha fatto le valigie ed è tornata nel suo Paese, per aiutare la mamma malata di cancro, ricoverata in ospedale, che aveva bisogno di cure, che aveva bisogno di lei.
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Viktoriia Ladchenko insieme alla famiglia
Lì sotto, freddo e umido sono entrate nelle ossa. Cibo e acqua intanto stanno scarseggiando, e come se non bastasse la mamma è peggiorata, giorno dopo giorno è diventata sempre più debole. Sono entrambe da giorni nascoste in quel rifugio domestico, senza possibilità di uscita. Ogni tanto, quando è possibile, salgono su a casa. “Siamo bloccate a Kherson – ci racconta Viktoriia tra le lacrime - i treni non passano, non ci sono autobus né auto che possono portarci via. Non ci sono corridoi umanitari. Non possiamo partire e venir via da soli da questo inferno. Mia mamma è debolissima, avrebbe dovuto rimanere in ospedale. Fa fatica persino a camminare, e come se non bastasse ci è rimasto poco cibo in questo seminterrato, dove ci siamo nascoste dopo i bombardamenti. Vedo la mamma peggiorare sotto i miei occhi ed è terribile non poter fare niente. Sta soffrendo, ha bisogno di cure urgentissime, è gravemente ammalata, ha un cancro. Se nessuno ci aiuta morirà, moriremo. Siamo sole e indifese”. Viktoriia a questo punto lancia un appello: “Fate di tutto per riportarci a casa, dove mio marito e mio figlio mi stanno aspettando, e io non vedo l’ora di riabbracciarli.
L'appello di Viktoriia Ladchenko: "Qualcuno ci aiuti a tornare a casa, dove mio figlio e mio marito mi aspettano, o moriremo qui"
 
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