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Donne al potere? Ancora un miraggio. Parola di Liliana Fratini Passi: "Costrette ancora a scegliere tra lavoro e famiglia. Per la parità si deve partire dall'istruzione"

di DOMENICO GUARINO -
29 settembre 2021
genderGapFinanza

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Donne e carriera. Un binomio ancora proibitivo per molte. Soprattutto in Italia. Nonostante le leggi, che cominciano ad esserci, e nonostante la caparbietà di tante donne, la rappresentatività nei consigli di amministrazione delle aziende è ancora soprattutto appannaggio dei maschi. E i ruoli apicali per le donne rimangono un vero e proprio miraggio. Come intervenire per invertire la tendenza? E che valore aggiunto possono portare le donne nella gestione del business?

Liliana Fratini Passi,  direttrice generale  CBI s.c.p.a.  Foto: ANSA/CLAUDIO PERI

Lo abbiamo chiesto a Liliana Fratini Passi, direttore generale di CBI S.c.p.a, Società Consortile per Azioni, partecipata da circa 400 banche e altri intermediari non bancari, che svolge il ruolo di hub per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione collaborativa dell’industria finanziaria, creando servizi digitali di pagamento e transazionali che gli intermediari offrono a imprese, cittadini e Pubblica Amministrazione.   Qual è la situazione lavorativa delle donne nel mondo delle aziende e quanto è diffuso il gender gap? "Partiamo dal quadro generale. Riguardo alla sensibilizzazione giuridica, dal 2011, possiamo contare sulla con la legge Golfo-Mosca (legge 120/2011), una norma che ha previsto la rappresentanza del genere meno presente nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate in borsa e delle società a controllo pubblico. Via via con gli aggiornamenti della normativa siamo passati dal 20% al 30% e nel 2019 abbiamo avuto l’innalzamento al 40% per la presenza del genere meno rappresentato, che sappiamo essere quello femminile. Secondo i dati dell’osservatorio inter istituzionale tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Consob e la Banca d’Italia tra il 2011 e il 2019 la presenza delle donne è passata dal 7 al 37% nelle società quotate in Borsa e dall’11 al 25% nelle società a controllo pubblico. Mentre nel settore bancario la quota delle donne negli organi amministrativi è rispettivamente del 37 e del 15%. Possiamo dire quindi che la legge Golfo Mosca ha generato un effetto trascinamento positivo sin dalla sua entrata in vigore anche sulle aziende e le industrie non soggette ad obbligo. Va detto tuttavia che solo il 2% delle donne ricopre il ruolo apicale di presidente del consiglio di amministrazione; quota che scende addirittura all'1% se la si guarda negli intermediari finanziari e nelle banche. Ciò significa che si fa ancora fatica, per usare un eufemismo, a vedere le donne ai vertici degli organi amministrativi. C’è dunque ancora molto da fare non soltanto per un tema di presenza negli organi in cui si definisce il potere e la governance". Da cosa dipende questo fatto? "Non certo dall'accesso al mondo del lavoro, o dalla volontà delle donne. Ad esempio, nel mondo delle banche, quasi la metà dei dipendenti del settore, il 46%, è rappresentato da donne. La barriera lavorativa non è tanto all'entrata ma si alza con l’avanzata della carriera e si eleva a scudo proprio nell'età, tra i 30 e i 40, in cui la progressione professionale dovrebbe raggiungere l’apice, e che per le donne coincide con il momento in cui spesso sono alle prese con i figli piccoli, con le esigenze familiari di vario tipo, che evidentemente le limitano. Creare ed ampliare una famiglia è dunque ancora un problema. In quegli anni gli uomini vanno avanti mentre le donne si ritrovano spesso a dover fare scelte diverse che le penalizzano. Si sta provando ad intervenire. Ad esempio nel settore finanziario la carta delle donne in banca che è stata cerata promossa dall’ABI nel 2019 che ha come obiettivo proprio quello di rafforzare il principio per cui la diversità di genere rappresenta una risorsa chiave per la creazione di valore, la crescita sostenibile, lo sviluppo". Come vanno le cose in Europa? "Non benissimo. La stessa Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, ha sottolineato più volte la carenza di rappresentanza delle donne nel settore finanziario in Europa. Nei parlamenti in media la presenza delle donne è al 30%, nei consigli di amministrazione si scende invece all'8%. E del resto lei stessa è la prima presidente donna della Bce dalla sua istituzione. E questo nonostante la omogenea rappresentanza di genere, non solo nei consessi di rappresentanza ma anche nei contesti professionali, faccia parte dell’Agenda '20-'30 dell’Onu, che ha come obiettivo proprio la gender equality, ovvero conseguire una parità sostanziale tra uomini e donne". Cosa si i può fare di più o di meglio? Bisogna lavorare sul livello legislativo oppure serve un cambiamento culturale che ancora evidentemente non è avvenuto? "Negli ultimi 10 anni, anche con il piano nazionale imprese-resilienza, c’è una chiara volontà di agire per superare il gap. Ma credo che un’azione strutturale un programma chiaro e condiviso per la parità di genere che sia inserita come elemento strategico per il futuro del Paese nell'azione governativa sia veramente un chiaro strumento di successo". Concretamente? "Si può raggiungere attraverso l’istruzione supportando la formazione del personale docente attraverso l’implementazione delle materie Stem (science, technology, engineering, mathematics) fin dalle scuola dell’obbligo, con l’inserimento di nuovi programmi e nuovi strumenti tecnologici. Poi l tema dell’occupazione, con la parità di trattamento economico tra uomo e donna, che non è secondario. E ancora, corsi di formazione per le donne che vogliono rientrare nel mondo del lavoro dopo la maternità o il periodo di accudimento, incentivi all'occupazione femminile. Bisogna inoltre fornire supporto concreto alle famiglie, incentivi ulteriori per madri lavoratrici attraverso specifici sgravi fiscali, o incentivi alle aziende che si adoperano per facilitare l’inclusione della donna nel mondo del lavoro anche in armonia con la vita familiare. Interventi mirati sull’organizzazione del lavoro che la renda più flessibile. E poi il tema della sicurezza vista la percentuale elevata di femminicidi e violenze di genere: bisogna continuare a lavorare per norme che diano protezione effettiva alle donne e certezza della pena agli autori di violenza. Servono infine iniziative family friendly sia a livello aziendale sia a livello legislativo. Ma allo stesso tempo va fatto un grande lavoro culturale". Come? "A partire dall'istruzione anche in questo caso. La diversità di genere spesso è insegnata secondo stereotipi già a partire dalla scuola dell’obbligo. Stereotipi che vengono replicati poi anche involontariamente. Poi dobbiamo anche nelle aziende introdurre coaching e mentoring che servano a destrutturare questi stereotipi. Io poi credo molto nelle collaborazioni internazionali, con quei contesti dove la leadership femminile è più avanzata. In Italia, per mentalità e cultura la donna non è solitamente educata all’autosostentamento: è l’uomo che, secondo la visone generale ancora prevalente, deve lavorare e provvedere al sostentamento della famiglia. Ecco che il confronto con quanto accade negli stati più evoluto da questo punto di vista più evoluti può essere sicuramente un buon incentivo per un cambio di passo. Le donne non devono avere paura di prendere decisioni, magari rischiando e magari anche scontentando gli altri". Lei è mamma di tre figli: come è riuscita a conciliare la sua dimensione familiare e di madre con la carriera? "La mia carriera è stata di grande sacrificio, proprio anche perché non ho rinunciato a nulla. Ho avuto l’opportunità di vivere con gioia la maternità e la coppia. Ho avuto la fortuna di trovare pieno supporto nelle persone a me vicine che non mi hanno mai bloccato, né fatto pesare le mie scelte. Serve una grande energia, e uno spirito votato alla costruzione ed alla trasformazione. Guardare al futuro e creare i presupposti per far accadere le cose. Devo dire grazie anche alla mia famiglia ascendente: ho genitori ancora in vita ancor, in salute ed energici, che indubbiamente mi hanno dato una gran mano. Lo stesso è accaduto con mio marito che del resto è un manager come me e quindi ha una condivisione marcata su queste scelte. Poi la frequentazione degli ambienti internazionali mi ha dato la forza di comprendere meglio le possibilità e le opportunità che ci sono per contrastare i pregiudizi intorno alla donna, che per fare carriera, nella nostra visione, deve rinunciare a tante cose. In realtà questo non è necessariamente vero, dipende dall'atteggiamento, e dal contesto. Io credo che tante cose si possono fare, ci si può impegnare con sacrificio, generando grande valore e qualità per la famiglia, e con grande amore verso il proprio compagno. Infine va detto che io non ho mai avuto paura di trovarmi di fronte a situazioni nuove. Sono curiosa molto e competitiva, cimentarmi anche al di fuori della mia confort zone mi è sempre piaciuta e questo mi ha aiutata". La parità di genere è solo una questione numerica o anche un fatto di qualità? Quale contributo specifico le donne possono portare all'interno dei contesto lavorativi? "È evidente che si tratta di un tema di qualità. Di attitudini, di connotazione. Come dimostra il report condotto dalla Banca d’Italia, la presenza delle donne nei consigli di amministrazione abbassa il conflitto perché le donne hanno una minore avversità al rischio. Questo fa prendere decisioni meno rischiose alle aziende e quindi nel tempo sono più redditizie, determinando la sostenibilità del business nel tempo, per gli azionisti e per gli stakeholder. La miscellanea di genere è veramente fondamentale. Le donne sono generalmente più disposte all'ascolto, ed hanno la tendenza ad una minore conflittualità, oltre che un maggiore pragmatismo. Per cui sono portate a, semplificare i problemi per risolverli velocemente. Si parte comunque sempre dalle competenze. Non basta semplicemente essere donna. Ma iI diverso modo ed il pragmatismo che la donna sviluppa nella sua attitudine al multitasking contribuisce in maniera sostanziale alla soluzione dei problemi oltre che alla riduzione del livello di conflitto".