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Home » HP Blocco Testo Destra » Targhe stradali, solo il 5% è donna. E ad andare per la maggiore sante, Madonne e prostitute

Targhe stradali, solo il 5% è donna. E ad andare per la maggiore sante, Madonne e prostitute

La toponomastica in Italia rispecchia il sistema patriarcale vigente, un’associazione si batte da anni per restituire voce e visibilità alle figure femminili che hanno contribuito, in tutti i campi, a migliorare la società: "Qualcosa si muove"

Margherita Ambrogetti Damiani
28 Febbraio 2022
Targhe stradali: solo il 5% è donna, ad andare per la maggiore sante, Madonne, prostitute

Targhe stradali: solo il 5% è donna, ad andare per la maggiore sante, Madonne, prostitute

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Facciamo un gioco: chiudete gli occhi, immaginatevi passeggiare nella vostra città, tra le vie, le strade, le piazze, i larghi e i giardini. Adesso, alzate gli occhi verso le targhe stradali. Via Mazzini, piazza Garibaldi, via Pietro Nenni, largo Pertini. E se vi chiedessimo di raggiungere, senza pensarci troppo, un luogo intitolato a una donna? La risposta, nella maggior parte dei casi, sarebbe un silenzio imbarazzato.

I numeri

I numeri sono severissimi: le strade intitolate a donne non sfondano il tetto del 5% del totale. Di queste, sulla maggior parte delle targhe compaiono nomi di Madonne, Sante e prostitute. Non mancano, poi, nomi generici o di fantasia. Via Laura, per citarne una. Ma anche via Madama Butterfly, via delle Carine, via delle Belle. Per capirci, la percentuale delle targhe al maschile si aggira intorno al 40%. Un dato agghiacciante, se si pensa che i nomi dei luoghi che percorriamo rappresentano una delle informazioni che, anche involontariamente, siamo costretti ad apprendere per le più minime attività quotidiane.

Paola Malacarne, Associazione Toponomastica femminile
Paola Malacarne, Associazione Toponomastica femminile

Per provare a orientarci, ne abbiamo parlato con Paola Malacarne dell’associazione Toponomastica femminile, che ci ha chiarito un concetto abbastanza lapalissiano: la toponomastica fotografa il sistema patriarcale nel quale ancora oggi siamo inseriti, nonostante le grandi battaglie contemporanee e del recente passato. Per invertire la rotta, serve un impegno importante e costante da parte delle amministrazioni locali ma anche delle scuole, attraverso percorsi di cittadinanza attiva. Sono molti, infatti, i progetti che l’associazione porta tra i banchi di scuola per instillare la cultura della parità delle opportunità tra le studentesse e gli studenti.

La storia dell’associazione toponomastica femminile

Maria Pia Ercolini, laureata in Lettere e poi in Storia e Società, è fondatrice e presidente dell’associazione Toponomastica femminile
Maria Pia Ercolini, laureata in Lettere e poi in Storia e Società, è fondatrice e presidente dell’associazione Toponomastica femminile

Come ogni bella storia che si rispetti, anche quella della nascita dell’associazione Toponomastica femminile porta con sé un aneddoto. Era una mattina di maggio del 2012, durante un percorso di genere tra le strade di Roma, una studentessa esclamò: “Possibile mai che tutte le strade siano intitolate a uomini?”. Da quella domanda, la professoressa Maria Pia Ercolini avviò un dibattito social a cui, nel 2014, seguì la costituzione dell’associazione, con l’intento di restituire voce e visibilità alle donne che hanno contribuito, in tutti i campi, a migliorare la società. Dai loro censimenti si evince quanto e come lo squilibrio del sistema di potere  sia sempre presente nelle nostre esistenze. “E sbaglia chi pensa che si tratti solo di una questione formale”, spiegano. La faccenda è grave e sostanziale.

Esempi virtuosi di cambiamento

Eppur – qualcosa – si muove. Guspini, un piccolo Comune della Sardegna, sta facendo una grande rivoluzione. Con i suoi 11 mila abitanti, in soli tre anni le targhe stradali al femminile sono passate da 6 a 50. Un record. Ad aver reso reale questo miracolo, Daniela Ducato, intitolata dalla rivista americana Fortune “imprenditrice più innovativa d’Italia” e Cavaliera della Repubblica.

Premiata anche da Legambiente nel 2008, è diventata famosa per aver contribuito alla realizzazione delle filiere da cui si ottengono prodotti sostenibili e liberi dal petrolio. A lei va il merito di aver contribuito a rendere la sua Sardegna modello in fatto di femminilizzazione delle strade. Tra le città più virtuose d’Italia svettano Bolzano e Trento. A Bolzano, ad esempio, si raggiunge quota 13%. Nel 2019, invece, nella toscanissima Firenze, il numero di vie e piazze della città intitolate a donne si aggirava intorno appena al 4% del totale. Un recente importante segnale arriva anche da Anci, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani che, oltre a patrocinare la campagna 8 marzo, 3 donne, 3 strade promossa dall’associazione Toponomastica femminile, ha inviato alle Sindache e ai Sindaci dei Comuni d’Italia associati una lettera-appello per invitarli a entrare in azione.

Il caos del cambio dei nomi

In questo dibattito è bene chiarire una questione: le attiviste e gli attivisti che si battono per avere parità di genere nelle targhe stradali non hanno come obiettivo il rivoluzionamento del sistema stradale attuale. Cambiare nomi, infatti, comporterebbe uno stravolgimento complessivo le cui conseguenze ricadrebbero sulla vita di tutti i giorni delle cittadine e dei cittadini. La proposta, al contrario, è di lavorare affinché i nuovi luoghi e quelli ancora privi di nome vengano intitolati a donne. Un sano pragmatismo che ha come unico obiettivo quello di rendere la femminilizzazione delle strade un passaggio semplice da attuare in ogni Comune.

Nella speranza di vedere nei nostri stradari virtuali sempre più via Rita Levi Montalcini e sempre meno via delle Donzelle.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Facciamo un gioco: chiudete gli occhi, immaginatevi passeggiare nella vostra città, tra le vie, le strade, le piazze, i larghi e i giardini. Adesso, alzate gli occhi verso le targhe stradali. Via Mazzini, piazza Garibaldi, via Pietro Nenni, largo Pertini. E se vi chiedessimo di raggiungere, senza pensarci troppo, un luogo intitolato a una donna? La risposta, nella maggior parte dei casi, sarebbe un silenzio imbarazzato.

I numeri

I numeri sono severissimi: le strade intitolate a donne non sfondano il tetto del 5% del totale. Di queste, sulla maggior parte delle targhe compaiono nomi di Madonne, Sante e prostitute. Non mancano, poi, nomi generici o di fantasia. Via Laura, per citarne una. Ma anche via Madama Butterfly, via delle Carine, via delle Belle. Per capirci, la percentuale delle targhe al maschile si aggira intorno al 40%. Un dato agghiacciante, se si pensa che i nomi dei luoghi che percorriamo rappresentano una delle informazioni che, anche involontariamente, siamo costretti ad apprendere per le più minime attività quotidiane.
Paola Malacarne, Associazione Toponomastica femminile
Paola Malacarne, Associazione Toponomastica femminile
Per provare a orientarci, ne abbiamo parlato con Paola Malacarne dell’associazione Toponomastica femminile, che ci ha chiarito un concetto abbastanza lapalissiano: la toponomastica fotografa il sistema patriarcale nel quale ancora oggi siamo inseriti, nonostante le grandi battaglie contemporanee e del recente passato. Per invertire la rotta, serve un impegno importante e costante da parte delle amministrazioni locali ma anche delle scuole, attraverso percorsi di cittadinanza attiva. Sono molti, infatti, i progetti che l’associazione porta tra i banchi di scuola per instillare la cultura della parità delle opportunità tra le studentesse e gli studenti.

La storia dell’associazione toponomastica femminile

Maria Pia Ercolini, laureata in Lettere e poi in Storia e Società, è fondatrice e presidente dell’associazione Toponomastica femminile
Maria Pia Ercolini, laureata in Lettere e poi in Storia e Società, è fondatrice e presidente dell’associazione Toponomastica femminile
Come ogni bella storia che si rispetti, anche quella della nascita dell’associazione Toponomastica femminile porta con sé un aneddoto. Era una mattina di maggio del 2012, durante un percorso di genere tra le strade di Roma, una studentessa esclamò: “Possibile mai che tutte le strade siano intitolate a uomini?”. Da quella domanda, la professoressa Maria Pia Ercolini avviò un dibattito social a cui, nel 2014, seguì la costituzione dell’associazione, con l’intento di restituire voce e visibilità alle donne che hanno contribuito, in tutti i campi, a migliorare la società. Dai loro censimenti si evince quanto e come lo squilibrio del sistema di potere  sia sempre presente nelle nostre esistenze. “E sbaglia chi pensa che si tratti solo di una questione formale”, spiegano. La faccenda è grave e sostanziale.

Esempi virtuosi di cambiamento

Eppur - qualcosa - si muove. Guspini, un piccolo Comune della Sardegna, sta facendo una grande rivoluzione. Con i suoi 11 mila abitanti, in soli tre anni le targhe stradali al femminile sono passate da 6 a 50. Un record. Ad aver reso reale questo miracolo, Daniela Ducato, intitolata dalla rivista americana Fortune “imprenditrice più innovativa d’Italia” e Cavaliera della Repubblica. Premiata anche da Legambiente nel 2008, è diventata famosa per aver contribuito alla realizzazione delle filiere da cui si ottengono prodotti sostenibili e liberi dal petrolio. A lei va il merito di aver contribuito a rendere la sua Sardegna modello in fatto di femminilizzazione delle strade. Tra le città più virtuose d’Italia svettano Bolzano e Trento. A Bolzano, ad esempio, si raggiunge quota 13%. Nel 2019, invece, nella toscanissima Firenze, il numero di vie e piazze della città intitolate a donne si aggirava intorno appena al 4% del totale. Un recente importante segnale arriva anche da Anci, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani che, oltre a patrocinare la campagna 8 marzo, 3 donne, 3 strade promossa dall’associazione Toponomastica femminile, ha inviato alle Sindache e ai Sindaci dei Comuni d’Italia associati una lettera-appello per invitarli a entrare in azione.

Il caos del cambio dei nomi

In questo dibattito è bene chiarire una questione: le attiviste e gli attivisti che si battono per avere parità di genere nelle targhe stradali non hanno come obiettivo il rivoluzionamento del sistema stradale attuale. Cambiare nomi, infatti, comporterebbe uno stravolgimento complessivo le cui conseguenze ricadrebbero sulla vita di tutti i giorni delle cittadine e dei cittadini. La proposta, al contrario, è di lavorare affinché i nuovi luoghi e quelli ancora privi di nome vengano intitolati a donne. Un sano pragmatismo che ha come unico obiettivo quello di rendere la femminilizzazione delle strade un passaggio semplice da attuare in ogni Comune. Nella speranza di vedere nei nostri stradari virtuali sempre più via Rita Levi Montalcini e sempre meno via delle Donzelle.
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