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Home » Economia » Il doping che non porta record: pasticche agli schiavi dei campi per lavorare fino a 12 ore senza avvertire fatica

Il doping che non porta record: pasticche agli schiavi dei campi per lavorare fino a 12 ore senza avvertire fatica

Nel Lazio arrestato un medico: aveva emesso mille ricette per l'acquisto di un farmaco a base di ossicodone a carico del servizio sanitario nazionale. La sostanza era destinata agli indiani impiegati in turni massacranti nella raccolta di ortofrutta. Fra i cinesi si usa lo Shaboo: doparsi per lavorare è ormai la regola dello sfruttamento

Piero Ceccatelli
29 Maggio 2021
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Eravamo abituati a vederlo utilizzato nello sport da atleti (e relativi manager) irrispettosi di sé e del proprio corpo prima ancora che degli avversari che volevano superare, barando. Al massimo, se ne sentiva parlare fra studenti pentiti che dovendo immagazzinare nella mente in pochi giorni ciò che avevano trascurato per un anno intero –  cicale, dissipatrici di tempo – vi facevano ricorso più per darsi coraggio che  per imparare effettivamente qualcosa. Credevamo, insomma,  che il doping fosse roba da campioni senza scrupoli o da alunni senza voglia e metodo.
Invece lo si usa sempre più frequentemente per lavorare. E non succede fra eccellenze che puntano alla massima performance intellettuale in un frangente in cui e necessaria altissima applicazione. No,  il doping della specie più pericolosa è diffuso negli anfratti più bassi e dimenticati della società. Fra chi non deve lavorare di testa ma solo di muscoli, in un tran tran che altrove è ormai affidato ai robot. Che non si ammalano, non santificano feste, non scioperano. Ma che in agricoltura conviene ancora e assolutamente affidare ai migranti e alla forza fisica conseguente alla loro giovane anagrafe.

Raccolta di pomodori

Ossicodone antifatica

“Questo medicinale è indicato nel trattamento del dolore severo che può essere adeguatamente gestito soltanto con gli analgesici oppiacei”, si legge nel foglio illustrativo di una confezione di ossicodone, un potente antidolorifico, associato alla radioterapia in ambito oncologico. E segue, sul foglietto, un’intera “enciclopedia” di precauzioni, di veti se si ha una serie di patologie, di avvertenzeda applicare al minimo sintomo.
Ossicodone era prescritto a lavoratori indiani impegnati nei campi della provincia di Latina, nel Lazio, terzo distretto produttore italiano di ortofrutta da esportazione. Perché non avvertissero la fatica e lavorassero più a lungo con le loro paghe da fame. Le ricette per l’acquisto in dosi massicce del farmaco stupefacente erano emesse da un medico di 62 ann i della zona, arrestato nel maggio 2020 dopo una indagine dei Nas di Latina  in cui sono coinvolti anche una farmacista, un avvocato e la giovane compagna del medico. Il dottore aveva in pochi mesi rilasciato a 222 pazienti indiani, braccianti nei campi, mille  ricette  mediche per l’acquisto di circa 1500 confezioni di Depalgos 20 mg (15 euro l’una), con falsa esenzione del ticket per un valore di 24.158 euro. Il danno per lo Stato è calcolato in 146mila euro. Sulla stampa, qualcuno si è scandalizzato per l’ammontare della truffa. Ma qui il problema non è quanto sia stato sottratto allo Stato, bensì lo scopo dell’acquisto in dosi massicce di Depalgos, a base di ossicodone, che contiene sostanze simili a morfina: dopare i braccianti perché non avvertissero stanchezza, dolore fisico, gli effetti dello sfruttamento. Duecentoventidue indiani sono una goccia della comunità proveniente da quel paese che conta circa 30.000 persone nel basso Lazio. Tutti impegnati nei  campi, in estate nella raccolta dei prodotti.

Qual bracciante morto

I Nas accusano il medico, la farmacista, l’avvocato e la compagna del  medico  per illecita prescrizione di farmaci ad azione stupefacente, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, frode processuale, falso e truffa ai danni dello Stato: per i tre professionisti è scattata la misura dell’interdizione per un anno dalle rispettive attività.Le indagini presero il via  dalla morte di un bracciante indiano avvenuta nel 2020 per arresto cardiaco: “Gli davo il Depalgos – ammette il medico in un’intercettazione – ma siccome gliene davo poco, non so cosa è successo”.

“Non può sottacersi la capacità del farmaco ad agevolare lo sforzo fisico non solo riducendo il dolore e la fatica, ma condizionando indubbiamente l’integrità psicofisica dell’utilizzatore”,  scrive il gip Giuseppe Molfese nel provvedimento di convalida della custodia cautelare. Da tempo, l’ossodicodone ha sostituito gli oppiacei nella scala delle sostanze assunte per lavorare a più non posso, sforando orari, sfruttando se stessi al massimo per un salario che sia un po’ meno da fame. Ma alla base c’è lo sfruttamento da parte dei datori di lavoro oppure dei caporali che fanno da intermediatori fra i gestori delle aziende agricole e la manovalanza. Lavorare dopati significa non solo  non rispettare gli orari, ma anche allentare la capacità di reazione al pericolo. Con rischi incrementati sul fronte della sicurezza, pericolo di infortuni, malattie connesse al ridotto periodo di recupero e riposo. Sullo sfondo, la condizione della comunità indiana segnata da una drammatica escalation nell’uso di droghe, con l’ossicodone che ha ormai sostituito l’utilizzo dell’oppio.

Lo Shaboo fra i cinesi

Di doping per lavorare a tappe forzate si parla da anni a Prato, dove ha sede quella che per numero di componenti rispetto alla  popolazione è la comunità cinese con maggior concentrazione d’Europa. Gli addetti alle taglia e cuci nelle confezioni pronto moda gestite da orientali almeno fino a qualche tempo fa svolgevano turni massacranti. Fino a 15 ore al giorno, secondo gli inquirenti. In quel caso non servono muscoli, ma attenzione: basta un centimetro cucito fuori posto per rovinare un capo. E basta una disattenzione per procurarsi infortuni seri, alle mani e non solo. Da anni Prato è centro di arrivo o smistamento di sostanze idonee a mantenere la persona vigile per lunghi periodi. In genere, metamfetamine, usate sui luoghi di lavoro. La più “efficace” è lo Shaboo.   Nel 2015 la squadra narcotici della mobile di Firenze scoprì 10.000 dosi in un pacco spedito dalla Cina a Prato. La sostanza era occultata in due vecchi telefoni kitch. Oggetti di valore troppo scarso per i costi di una spedizione intercontinentale. Tanto valeva controllare all’interno.  E aspettare i destinatari per il ritiro. Si presentanono un 23enne e un 34enne, cinesi, domiciliati a Prato. Al sostanza, pura al 93% nel pacco in questione, dà sensazione illusoria di potenza e di energia, diminuendo quella di fame e di stanchezza. Più potente delle normali amfetamine,  procura forte dipendenza e grossi problemi fisici. I destinatari si trincerarono dietro il silenzio ma la probabilità che fosse destinata alle “formiche operaie” cinesi, avanzata in un primo momento verrà confermata  dai successivi ritrovamenti di pasticche o dalla scoperta di traffici internazionali con “cervello” a Prato.

Non solo per gli schiavi

Se a Sabaudia le pasticche di ossicodone venivano fatte acquistare senza spesa – a carico del servizio sanitario – ai braccianti indiani, a Prato i lavoratori le avrebbero pagate di tasca propria a un prezzo di 30-50 euro la pasticca. Quindi: non solo mi dopo per lavorare, ma mi accollo pure i costi delle sostanze.
Nel febbraio 2020 i carabinieri di Roma scoprirono un giro con 22 persone coinvolte e sottoposte a custodia cautelare che da Prato rifornivano esercenti cinesi del centro  che a loro volta distribuivano le pasticche a pusher che la vendevano al minuto nelle piazze. A portare lo Shaboo da Prato a Roma, insospettabili ragazze che viaggiavano in treno. Introdotta per  i lavoratori dei turni massacranti, la droga  che tiene svegli finisce sul mercato generico degli stupefacenti.  Da droga per gli schiavi a schiavi della droga il passo è stato breve.

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  • Passa anche da un semplice tasto la possibilità per una donna, vittima di stalking, di salvarsi da chi vuole farle del male. Il tasto di uno smartwatch che, una volta premuto, lancia un’immediata richiesta di aiuto alle forze di polizia. E grazie a questo orologio, Marta (il nome è di fantasia) potrà ora vedere la sua vita cambiata in meglio. La donna aveva smesso di vivere, a causa della relazione asfissiante e malata con il suo ex marito violento che aveva promesso di sfregiarla con l’acido e poi ucciderla e seppelire il suo corpo in un terreno. Ma venerdì scorso a Marta è stato consegnato il primo di 45 smartwatch che saranno distribuiti ad altrettante vittime. L’orologio è collegato con la centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli: appena arriva l’Sos, la vittima viene geolocalizzata e arrivano i soccorsi.

E così Marta ha ripreso la sua vita interrotta per paura dell’ex e delle sue minacce. «Posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. È vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare.»

Lo scorso 30 novembre i carabinieri del Comando provinciale di Napoli, la sezione fasce deboli della Procura partenopea coordinata dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone, la Fondazione Vodafone Italia e la Soroptimist international club Napoli hanno annunciato l’avvio del progetto pilota "Mobile Angel", che prevede, appunto, la consegna di questo orologio salvavita alle vittime di maltrattamenti. Il progetto è stato esteso anche alle città di Milano e Torino. Lo smartwatch affidato a Marta è il primo nel Sud Italia. Il mobile angel, spiegano i Carabinieri, rientra in un progetto ad ampio respiro che ha come punto focale le vittime di violenza. Un contesto di tutela all’interno del quale è stata istituita anche la "stanza tutta per sé", un ambiente dove chi ha subìto vessazioni può sentirsi a suo agio nel raccontare il proprio vissuto. 

#lucenews #lucelanazione #mobileangel #napoli
  • Se nei giorni scorsi l’assessore al Welfare del Comune di Napoli, papà single di Alba, bambina affetta da Sindrome di Down, aveva ri-scritto pubblicamente alla premier Giorgia Meloni per avere un confronto sull’idea di famiglia e sul tema delle adozioni, stavolta commenta quanto sta accadendo in Italia in relazione ai diritti dei figli delle famiglie arcobaleno. 

Ricordiamo, infatti, che lo scorso 12 marzo il Governo ha ordinato, in merito ad una richiesta pervenuta al Comune di Milano di una coppia dello stesso sesso, lo stop a procedere alla registrazione del loro figlio appena nato e impedendo, di fatto, la creazione di una famiglia omogenitoriale. Il veto della destra compatta boccia il certificato europeo di filiazione che propone agli Stati membri di garantire ai genitori residenti in Unione Europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli nello stesso modo in tutti i Paesi Ue.

“In tutta Europa i figli di coppie gay avranno il riconoscimento degli stessi diritti degli altri bambini. In Italia il Senato, trascinato da Fratelli d’Italia, fortemente contrario, ha appena bocciato la proposta – dice Trapanese in un lungo post sulla sua pagina Instagram -. Quindi, i figli delle coppie omosessuali non sono, per il nostro Paese, figli come gli altri. Questo hanno deciso e detto chiaramente”. Così facendo, “resteranno bambini privi di tutele complete, i cui genitori dovranno affrontare battaglie giudiziarie, sfiniti da tempi lunghissimi, solo perché il loro bimbo venga considerato semplicemente un figlio”. 

Trapanese attacca chiaramente questa decisione: “L’Italia è l’unico paese europeo con un governo che lavora per togliere diritti invece che per aggiungerli. Se la prende con bambini che esistono e vivono la loro quotidianità serenamente in famiglie piene d’amore, desiderati sopra ogni cosa, ma considerati in Italia figli di un dio minore”. Per Trapanese “stiamo continuando a parlare di ciò che dovrebbe essere semplicemente attuato. I diritti non si discutono, si riconoscono e basta. Ma come fate a non rendervene conto?”.

#lucenews #diritti #coppieomogenitoriali
  • Il nuovo progetto presentato dal governatore Viktor Laiskodat a Kupang, in Indonesia, prevede l’entrata degli alunni a scuola alle 5.30 del mattino. Secondo l’alto funzionario il provvedimento servirebbe per rafforzare la disciplina dei bambini.

Solitamente nelle scuole del Paese le lezioni iniziavano tra le 7 e le 8 del mattino: anticipando l’orario d’ingresso i bambini sono apparsi esausti quando tornano a casa. La madre di una 16enne, infatti, è molto preoccupata da questa nuova iniziativa: “È estremamente difficile, ora devono uscire di casa mentre è ancora buio pesto. Non posso accettarlo. La loro sicurezza non è garantita quando è ancora notte. Inoltre mia figlia, ogni volta che arriva a casa, è esausta e si addormenta immediatamente.”

Sulla vicenda è intervenuto anche Marsel Robot, esperto di istruzione dell’Università di Nusa Cendana, che ha spiegato come a lungo termine la privazione del sonno potrebbe mettere in pericolo la salute degli studenti e causare un cambiamento nei loro comportamenti: “Non c’è alcuna correlazione con lo sforzo per migliorare la qualità dell’istruzione. Gli studenti dormiranno solo per poche ore e questo è un grave rischio per la loro salute. Inoltre, questo causerà loro stress e sfogheranno la loro tensione in attività magari incontrollabili”. Anche il Ministero per l’emancipazione delle donne e la Commissione indonesiana per la protezione dei minori hanno espresso richieste di revisione della politica. Il cambiamento delle regole di Kupang è stato anche contestato dai legislatori locali, che hanno chiesto al governo di annullare quella che hanno definito una politica infondata.

Tuttavia il governo centrale ha mantenuto il suo esperimento rincarando la dose ed estendendolo anche all’agenzia di istruzione locale, dove anche i dipendenti pubblici ora inizieranno la loro giornata alle 5.30 del mattino.

#lucenews #lucelanazione #indonesia #scuola
  • Quante ore dormi? È difficile addormentarsi? Ti svegli al minimo rumore o al mattino rimandi tutte le sveglie per dormire un po’ di più? Soffri d’insonnia?

Sono circa 13,4 milioni gli italiani che soffrono di insonnia, secondo le ultime rilevazioni di Aims - l
Eravamo abituati a vederlo utilizzato nello sport da atleti (e relativi manager) irrispettosi di sé e del proprio corpo prima ancora che degli avversari che volevano superare, barando. Al massimo, se ne sentiva parlare fra studenti pentiti che dovendo immagazzinare nella mente in pochi giorni ciò che avevano trascurato per un anno intero -  cicale, dissipatrici di tempo - vi facevano ricorso più per darsi coraggio che  per imparare effettivamente qualcosa. Credevamo, insomma,  che il doping fosse roba da campioni senza scrupoli o da alunni senza voglia e metodo.
Invece lo si usa sempre più frequentemente per lavorare. E non succede fra eccellenze che puntano alla massima performance intellettuale in un frangente in cui e necessaria altissima applicazione. No,  il doping della specie più pericolosa è diffuso negli anfratti più bassi e dimenticati della società. Fra chi non deve lavorare di testa ma solo di muscoli, in un tran tran che altrove è ormai affidato ai robot. Che non si ammalano, non santificano feste, non scioperano. Ma che in agricoltura conviene ancora e assolutamente affidare ai migranti e alla forza fisica conseguente alla loro giovane anagrafe.

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"Questo medicinale è indicato nel trattamento del dolore severo che può essere adeguatamente gestito soltanto con gli analgesici oppiacei", si legge nel foglio illustrativo di una confezione di ossicodone, un potente antidolorifico, associato alla radioterapia in ambito oncologico. E segue, sul foglietto, un'intera "enciclopedia" di precauzioni, di veti se si ha una serie di patologie, di avvertenzeda applicare al minimo sintomo. Ossicodone era prescritto a lavoratori indiani impegnati nei campi della provincia di Latina, nel Lazio, terzo distretto produttore italiano di ortofrutta da esportazione. Perché non avvertissero la fatica e lavorassero più a lungo con le loro paghe da fame. Le ricette per l'acquisto in dosi massicce del farmaco stupefacente erano emesse da un medico di 62 ann i della zona, arrestato nel maggio 2020 dopo una indagine dei Nas di Latina  in cui sono coinvolti anche una farmacista, un avvocato e la giovane compagna del medico. Il dottore aveva in pochi mesi rilasciato a 222 pazienti indiani, braccianti nei campi, mille  ricette  mediche per l'acquisto di circa 1500 confezioni di Depalgos 20 mg (15 euro l’una), con falsa esenzione del ticket per un valore di 24.158 euro. Il danno per lo Stato è calcolato in 146mila euro. Sulla stampa, qualcuno si è scandalizzato per l'ammontare della truffa. Ma qui il problema non è quanto sia stato sottratto allo Stato, bensì lo scopo dell'acquisto in dosi massicce di Depalgos, a base di ossicodone, che contiene sostanze simili a morfina: dopare i braccianti perché non avvertissero stanchezza, dolore fisico, gli effetti dello sfruttamento. Duecentoventidue indiani sono una goccia della comunità proveniente da quel paese che conta circa 30.000 persone nel basso Lazio. Tutti impegnati nei  campi, in estate nella raccolta dei prodotti.

Qual bracciante morto

I Nas accusano il medico, la farmacista, l'avvocato e la compagna del  medico  per illecita prescrizione di farmaci ad azione stupefacente, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, frode processuale, falso e truffa ai danni dello Stato: per i tre professionisti è scattata la misura dell’interdizione per un anno dalle rispettive attività.Le indagini presero il via  dalla morte di un bracciante indiano avvenuta nel 2020 per arresto cardiaco: "Gli davo il Depalgos - ammette il medico in un'intercettazione - ma siccome gliene davo poco, non so cosa è successo". "Non può sottacersi la capacità del farmaco ad agevolare lo sforzo fisico non solo riducendo il dolore e la fatica, ma condizionando indubbiamente l’integrità psicofisica dell’utilizzatore",  scrive il gip Giuseppe Molfese nel provvedimento di convalida della custodia cautelare. Da tempo, l'ossodicodone ha sostituito gli oppiacei nella scala delle sostanze assunte per lavorare a più non posso, sforando orari, sfruttando se stessi al massimo per un salario che sia un po' meno da fame. Ma alla base c'è lo sfruttamento da parte dei datori di lavoro oppure dei caporali che fanno da intermediatori fra i gestori delle aziende agricole e la manovalanza. Lavorare dopati significa non solo  non rispettare gli orari, ma anche allentare la capacità di reazione al pericolo. Con rischi incrementati sul fronte della sicurezza, pericolo di infortuni, malattie connesse al ridotto periodo di recupero e riposo. Sullo sfondo, la condizione della comunità indiana segnata da una drammatica escalation nell’uso di droghe, con l’ossicodone che ha ormai sostituito l’utilizzo dell’oppio.

Lo Shaboo fra i cinesi

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Non solo per gli schiavi

Se a Sabaudia le pasticche di ossicodone venivano fatte acquistare senza spesa - a carico del servizio sanitario - ai braccianti indiani, a Prato i lavoratori le avrebbero pagate di tasca propria a un prezzo di 30-50 euro la pasticca. Quindi: non solo mi dopo per lavorare, ma mi accollo pure i costi delle sostanze.
Nel febbraio 2020 i carabinieri di Roma scoprirono un giro con 22 persone coinvolte e sottoposte a custodia cautelare che da Prato rifornivano esercenti cinesi del centro  che a loro volta distribuivano le pasticche a pusher che la vendevano al minuto nelle piazze. A portare lo Shaboo da Prato a Roma, insospettabili ragazze che viaggiavano in treno. Introdotta per  i lavoratori dei turni massacranti, la droga  che tiene svegli finisce sul mercato generico degli stupefacenti.  Da droga per gli schiavi a schiavi della droga il passo è stato breve.
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