Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » Lifestyle » Com’è cambiato il modo di essere padre con la pandemia. Storie di smartworking e Dad

Com’è cambiato il modo di essere padre con la pandemia. Storie di smartworking e Dad

Dall’indagine dalla società R-Everse, “Smart working e paternità: come i papà stanno affrontando il lavoro da casa”, è emerso che durante il lockdown per il 71% dei padri è cambiato il rapporto con i propri figli, considerato positivo nel 63% dei casi. A influire è stata soprattutto la Dad. Sulla totalità degli intervistati, la metà ha dichiarato di aver aiutato i figli con le lezioni a distanza e l’11% se n’è occupato in prima persona, senza il supporto di altre figure

Alessia Pieri
16 Aprile 2021
Share on FacebookShare on Twitter

Qualcuno l’avrà già notato: se ci pensate una delle parole che, da oltre un anno, si sente ripetere più spesso è “Dad”, acronimo di Didattica a distanza. Fate una semplice traduzione dall’inglese e quella parola diventa papà. Coniugare lavoro e famiglia non è mai stata un’impresa semplice, ma ritrovarsi con i figli 24 ore al giorno, lavorando dentro casa, ha portato molti genitori ad affrontare situazioni completamente inedite. E i papà stanno vivendo una riscoperta del proprio ruolo, non senza sorprese. Noi di Luce! abbiamo voluto raccontare tre storie di padri che, in questi mesi, si sono giostrati tra smart working, convivenze forzate e Dad.

 

Andrea, papà digitale: “Tra una call di lavoro e i blitz a controllare che mio figlio segua le lezioni non è facile”

Problemi di coesistenza tra smart working e Dad? Ci pensa papà con il gruppo Whatsapp della casa. Vi sembrerà assurdo ma comunicare con i propri figli tra una videocall e una riunione di lavoro, seppur nella stessa casa, è diventato quasi impossibile. Per non parlare dei continui blitz in camera per controllare che il figlio di 15 anni, nel bel mezzo di una lezione, non si metta a giocare online con i suoi amici. Per Andrea Ciofani, 48 anni, amministratore delegato di due società – una web agency e una scuola di formazione digitale – il periodo di lockdown, tra lavoro e figli, non è stato poi così facile. Ha dovuto adattare l’abitazione a classe virtuale e installare una doppia connessione internet che gli permettesse di lavorare e non sentire le continue scuse dei figli, tra un “Papà, si è bloccato tutto” e, in risposta, “Non guardare i video su Facebook, qui non funziona nulla e ho una riunione in corso”. 

Aggiungiamoci poi i limiti della Dad: un programma didattico non pensato per insegnare a distanza, tantomeno a scalmanati adolescenti che, di come aggirare la lezione, la sanno ben più lunga di insegnanti e genitori.
Per Andrea, che studia l’impatto del digitale sulle persone e sugli stili di vita, “Con la Dad è emerso un problema: il ritmo di digitalizzazione sta creando un divario tra chi riuscirà ad emanciparsi digitalmente e chi invece rischia di rimanerne fuori. Come i docenti, che devono gestire la classe virtuale senza nessun vero sostegno, o come noi genitori, che ci siamo dovuti abituare al lavoro da casa con un orecchio alla riunione e uno alla cameretta, sperando di non dover interrompere la videochiamata per andare a controllare la situazione nell’altra stanza”. 

Lui e la sua famiglia vivono in Abruzzo, dove gestiscono un agriturismo tra le valli di Magliano de’ Marsi. Una fortuna, in questo periodo, avere uno spazio verde di cui poter staccare la spina per un po’. Ma non per i ragazzi, impigriti dallo stare sempre al computer, che hanno fatto della camera la stanza nella quale passare il 90% del tempo. “Un incubo vederli così svogliati e poco attivi, ma che dovevamo fare? In autunno sono rientrati in aula ma dopo circa 20 giorni sono tornati in Dad. Il più giovane ha adottato una strategia diversa: due monitor, uno in cui seguire le lezioni, o almeno così credevamo, e nell’altro tutti i suoi amici collegati a giocare o passarsi le risposte delle verifiche. Però eravamo a casa, seppur ognuno nella sua stanza, sicuri di riunirci a tavola insieme per i pasti. Ad un certo punto le lezioni vengono posticipate e il pranzo insieme svanisce. Ognuno inizia a mangiare a un orario diverso e poi di nuovo tutti chiusi in camera, fino a sera. Il gruppo di Whatsapp intanto, continua a nutrirsi di nuove esclamazioni, tipo: “non riesco a vedere il film, cosa state facendo?” oppure “la connessione è lenta, papà sei in call? Puoi staccare?”.

 

Antonio Volino e i suoi bimbi di 5 e 8 anni:  “Il lockdown e la Dad? Devo dire la verità, pensavo peggio!”

“Devo dire la verità, pensavo peggio“. Antonio Volino ha 40 anni e da sette lavora in smart working come web designer per un’azienda che realizza software. Ha due bambini, una di 8 anni e un maschietto di 5. “Quando, più di un anno fa, il governo ha deciso che le scuole sarebbero state chiuse a tempo indeterminato, la notizia ha colto me e mia moglie un po’ impreparati“. Entrambi i genitori lavoravano da casa già prima della pandemia e tre anni fa ne hanno acquistata una più grande, in un luogo più periferico e immerso nel verde. “Questa scelta si è rivelata provvidenziale. I bambini hanno potuto vivere la fase più restrittiva del lockdown in un ambiente più piacevole rispetto al piccolo appartamento di un condominio”.

Antonio è sempre stato molto presente nella vita dei suoi figli: “La mia giornata lavorativa e familiare era sempre stato un perfetto equilibrio. Con il Covid ho dovuto riorganizzare tutto, i ruoli, le abitudini, le regole”. Le prime settimane una domanda che gli ronzava in testa continuamente: “Cosa gli faccio fare tutto il giorno?” Il primo giorno la casa si è trasformata in una sala giochi, con musica a tutto volume, cartoni in tv come sfondo e giocattoli sparsi in ogni angolo. Allora è stato necessario fissare delle regole. Alla fase del caos è seguita quella del “Papà vuoi giocare con noi?” che poi è diventato “Papà, giochi con noi!” e poi “Papà perché non puoi giocare MAI con noi?”. Il suo maggior dispiacere? “Mio figlio ha imparato a memoria una frase che gli ripetevo continuamente: “Dopo le 18:00 papà può giocare con te!”. Ma le 18:00 non arrivavano mai e per lui era uno strazio aspettare che facesse sera”.

Ecco allora la soluzione: ha trasformato i momenti di pausa dal lavoro in pause-gioco. Prima si sgranchiva le gambe passeggiando in casa, ora con lotta sul lettone, i tiri al canestro e il solletico sul divano. Il problema più grande resta comunque come impegnarli durante gran parte della giornata, soprattutto il più piccolo, che frequenta la scuola dell’infanzia e non ha la Dad. “Ho pensato a delle attività da fare e terminare entro la giornata. È stata una mossa vincente: disegni, collage, plastilina, ginnastica, lettura ora fanno parte della nostra routine”. Antonio ammette che non sono mancati momenti di stress e nervosismo, “ma il lavoro di squadra mi ha permesso di superarli e di non far ricadere queste tensioni sui bambini, già ampiamente provati dalla situazione”.

 

Luca: “Mio figlio Davide ha passato quasi il 20% della sua vita in lockdown. Quali potranno essere gli effetti sul lungo periodo?”

“Ricordo ancora quel 9 marzo, quando l’allora Premier Giuseppe Conte ha annunciato il lockdown generale. Un giorno che non dimenticherò mai, ha stravolto completamente la mia vita”. Luca è un agente di commercio, fa consulenza di marketing e fino a poco prima girava il Nord Italia macinando ogni anno più di 50.000 km. Tornava tardi la sera, gli capitava di dormire fuori casa e riusciva a godersi a pieno la mia famiglia solo nel weekend. “Ci è sempre piaciuto vedere gli amici, festeggiare i compleanni in compagnia, organizzare cene e weekend fuori porta. Poi improvvisamente tutto è cambiato“.

Luca e la moglie sono stati costretti ad utilizzare la camera del figlio come studio, perché il lockdown ha bloccato l’arrivo dei mobili nuovi per la casa. “Davide trascorreva le sue giornate sul divano in attesa che uno di noi due si prendesse una pausa per stare un po’ con lui. In realtà di tempo durante il giorno ne avevamo ben poco“. Le ore trascorse tra una call e l’altra, a ritmi serrati. “È stato veramente avvilente vivere sapendo di avere il piccolo Davide a pochi metri. È come se tra noi ci fossero stati i km che ci hanno sempre diviso”.

In questi mesi sono cambiate anche le abitudini familiari. La mancanza di tempo libero è stata compensata dalla riscoperta di tante piccole cose che un tempo sembravano scontate. Un esempio? “Guardare un film per bambini in settimana senza la preoccupazione di dover andare a dormire presto”. Perché la mattina non c’era scuola, almeno per le prime settimane. Poi è iniziata la Dad: “Le prime call erano un gran caos, i bambini parlavano tutti insieme. Davide era così emozionato di vedere i suoi compagni che passava tutta l’ora a mostrare i suoi giochi e i suoi disegni. Ci teneva a condividere la sua quotidianità con loro, era molto dolce“. Da settembre invece la scuola dell’infanzia è rimasta quasi sempre aperta. “Continuo a chiedermi quali saranno le conseguenze di questo periodo su un bimbo di 5 anni che ha passato il 20% della sua vita in questa condizione anomala. Penso che il digitale non potrà mai sostituire a pieno le sfumature di un rapporto vis a vis. Non so se tutto tornerà tutto come prima, ma spero che in futuro guarderemo a questo periodo considerandolo meno traumatico di quanto in realtà ora lo percepiamo”.

Potrebbe interessarti anche

Giornata mondiale della poesia
Attualità

La poesia, un viaggio per tutti: i versi di Dante in Lis

21 Marzo 2023
Addio Lucy Salani, la donna transessuale più anziana d'Italia
Spettacolo

Addio Lucy Salani, è morta a 99 anni la transessuale sopravvissuta a Dachau

22 Marzo 2023
a “Tali e quali show”
Spettacolo

I mille volti di Elisa Liistro, da influencer a ‘Tali e Quali’

27 Marzo 2023

Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Qualcuno l’avrà già notato: se ci pensate una delle parole che, da oltre un anno, si sente ripetere più spesso è “Dad”, acronimo di Didattica a distanza. Fate una semplice traduzione dall’inglese e quella parola diventa papà. Coniugare lavoro e famiglia non è mai stata un’impresa semplice, ma ritrovarsi con i figli 24 ore al giorno, lavorando dentro casa, ha portato molti genitori ad affrontare situazioni completamente inedite. E i papà stanno vivendo una riscoperta del proprio ruolo, non senza sorprese. Noi di Luce! abbiamo voluto raccontare tre storie di padri che, in questi mesi, si sono giostrati tra smart working, convivenze forzate e Dad.  

Andrea, papà digitale: "Tra una call di lavoro e i blitz a controllare che mio figlio segua le lezioni non è facile"

Problemi di coesistenza tra smart working e Dad? Ci pensa papà con il gruppo Whatsapp della casa. Vi sembrerà assurdo ma comunicare con i propri figli tra una videocall e una riunione di lavoro, seppur nella stessa casa, è diventato quasi impossibile. Per non parlare dei continui blitz in camera per controllare che il figlio di 15 anni, nel bel mezzo di una lezione, non si metta a giocare online con i suoi amici. Per Andrea Ciofani, 48 anni, amministratore delegato di due società - una web agency e una scuola di formazione digitale - il periodo di lockdown, tra lavoro e figli, non è stato poi così facile. Ha dovuto adattare l’abitazione a classe virtuale e installare una doppia connessione internet che gli permettesse di lavorare e non sentire le continue scuse dei figli, tra un "Papà, si è bloccato tutto" e, in risposta, "Non guardare i video su Facebook, qui non funziona nulla e ho una riunione in corso".  Aggiungiamoci poi i limiti della Dad: un programma didattico non pensato per insegnare a distanza, tantomeno a scalmanati adolescenti che, di come aggirare la lezione, la sanno ben più lunga di insegnanti e genitori. Per Andrea, che studia l’impatto del digitale sulle persone e sugli stili di vita, "Con la Dad è emerso un problema: il ritmo di digitalizzazione sta creando un divario tra chi riuscirà ad emanciparsi digitalmente e chi invece rischia di rimanerne fuori. Come i docenti, che devono gestire la classe virtuale senza nessun vero sostegno, o come noi genitori, che ci siamo dovuti abituare al lavoro da casa con un orecchio alla riunione e uno alla cameretta, sperando di non dover interrompere la videochiamata per andare a controllare la situazione nell'altra stanza".  Lui e la sua famiglia vivono in Abruzzo, dove gestiscono un agriturismo tra le valli di Magliano de' Marsi. Una fortuna, in questo periodo, avere uno spazio verde di cui poter staccare la spina per un po'. Ma non per i ragazzi, impigriti dallo stare sempre al computer, che hanno fatto della camera la stanza nella quale passare il 90% del tempo. "Un incubo vederli così svogliati e poco attivi, ma che dovevamo fare? In autunno sono rientrati in aula ma dopo circa 20 giorni sono tornati in Dad. Il più giovane ha adottato una strategia diversa: due monitor, uno in cui seguire le lezioni, o almeno così credevamo, e nell’altro tutti i suoi amici collegati a giocare o passarsi le risposte delle verifiche. Però eravamo a casa, seppur ognuno nella sua stanza, sicuri di riunirci a tavola insieme per i pasti. Ad un certo punto le lezioni vengono posticipate e il pranzo insieme svanisce. Ognuno inizia a mangiare a un orario diverso e poi di nuovo tutti chiusi in camera, fino a sera. Il gruppo di Whatsapp intanto, continua a nutrirsi di nuove esclamazioni, tipo: “non riesco a vedere il film, cosa state facendo?” oppure “la connessione è lenta, papà sei in call? Puoi staccare?”.  

Antonio Volino e i suoi bimbi di 5 e 8 anni:  "Il lockdown e la Dad? Devo dire la verità, pensavo peggio!"

"Devo dire la verità, pensavo peggio". Antonio Volino ha 40 anni e da sette lavora in smart working come web designer per un’azienda che realizza software. Ha due bambini, una di 8 anni e un maschietto di 5. "Quando, più di un anno fa, il governo ha deciso che le scuole sarebbero state chiuse a tempo indeterminato, la notizia ha colto me e mia moglie un po’ impreparati". Entrambi i genitori lavoravano da casa già prima della pandemia e tre anni fa ne hanno acquistata una più grande, in un luogo più periferico e immerso nel verde. "Questa scelta si è rivelata provvidenziale. I bambini hanno potuto vivere la fase più restrittiva del lockdown in un ambiente più piacevole rispetto al piccolo appartamento di un condominio". Antonio è sempre stato molto presente nella vita dei suoi figli: "La mia giornata lavorativa e familiare era sempre stato un perfetto equilibrio. Con il Covid ho dovuto riorganizzare tutto, i ruoli, le abitudini, le regole". Le prime settimane una domanda che gli ronzava in testa continuamente: "Cosa gli faccio fare tutto il giorno?" Il primo giorno la casa si è trasformata in una sala giochi, con musica a tutto volume, cartoni in tv come sfondo e giocattoli sparsi in ogni angolo. Allora è stato necessario fissare delle regole. Alla fase del caos è seguita quella del "Papà vuoi giocare con noi?" che poi è diventato "Papà, giochi con noi!" e poi "Papà perché non puoi giocare MAI con noi?". Il suo maggior dispiacere? "Mio figlio ha imparato a memoria una frase che gli ripetevo continuamente: “Dopo le 18:00 papà può giocare con te!”. Ma le 18:00 non arrivavano mai e per lui era uno strazio aspettare che facesse sera". Ecco allora la soluzione: ha trasformato i momenti di pausa dal lavoro in pause-gioco. Prima si sgranchiva le gambe passeggiando in casa, ora con lotta sul lettone, i tiri al canestro e il solletico sul divano. Il problema più grande resta comunque come impegnarli durante gran parte della giornata, soprattutto il più piccolo, che frequenta la scuola dell’infanzia e non ha la Dad. "Ho pensato a delle attività da fare e terminare entro la giornata. È stata una mossa vincente: disegni, collage, plastilina, ginnastica, lettura ora fanno parte della nostra routine". Antonio ammette che non sono mancati momenti di stress e nervosismo, "ma il lavoro di squadra mi ha permesso di superarli e di non far ricadere queste tensioni sui bambini, già ampiamente provati dalla situazione".  

Luca: “Mio figlio Davide ha passato quasi il 20% della sua vita in lockdown. Quali potranno essere gli effetti sul lungo periodo?"

"Ricordo ancora quel 9 marzo, quando l’allora Premier Giuseppe Conte ha annunciato il lockdown generale. Un giorno che non dimenticherò mai, ha stravolto completamente la mia vita". Luca è un agente di commercio, fa consulenza di marketing e fino a poco prima girava il Nord Italia macinando ogni anno più di 50.000 km. Tornava tardi la sera, gli capitava di dormire fuori casa e riusciva a godersi a pieno la mia famiglia solo nel weekend. "Ci è sempre piaciuto vedere gli amici, festeggiare i compleanni in compagnia, organizzare cene e weekend fuori porta. Poi improvvisamente tutto è cambiato". Luca e la moglie sono stati costretti ad utilizzare la camera del figlio come studio, perché il lockdown ha bloccato l'arrivo dei mobili nuovi per la casa. "Davide trascorreva le sue giornate sul divano in attesa che uno di noi due si prendesse una pausa per stare un po’ con lui. In realtà di tempo durante il giorno ne avevamo ben poco". Le ore trascorse tra una call e l'altra, a ritmi serrati. "È stato veramente avvilente vivere sapendo di avere il piccolo Davide a pochi metri. È come se tra noi ci fossero stati i km che ci hanno sempre diviso". In questi mesi sono cambiate anche le abitudini familiari. La mancanza di tempo libero è stata compensata dalla riscoperta di tante piccole cose che un tempo sembravano scontate. Un esempio? "Guardare un film per bambini in settimana senza la preoccupazione di dover andare a dormire presto". Perché la mattina non c'era scuola, almeno per le prime settimane. Poi è iniziata la Dad: "Le prime call erano un gran caos, i bambini parlavano tutti insieme. Davide era così emozionato di vedere i suoi compagni che passava tutta l’ora a mostrare i suoi giochi e i suoi disegni. Ci teneva a condividere la sua quotidianità con loro, era molto dolce". Da settembre invece la scuola dell'infanzia è rimasta quasi sempre aperta. "Continuo a chiedermi quali saranno le conseguenze di questo periodo su un bimbo di 5 anni che ha passato il 20% della sua vita in questa condizione anomala. Penso che il digitale non potrà mai sostituire a pieno le sfumature di un rapporto vis a vis. Non so se tutto tornerà tutto come prima, ma spero che in futuro guarderemo a questo periodo considerandolo meno traumatico di quanto in realtà ora lo percepiamo".
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • 8 marzo

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2023 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto