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Home » Lifestyle » “Cresco le bambine in accordo con Alessandra, la mia ex. Ma per lo Stato lei non ha diritti ed è ingiusto. Serve una legge”

“Cresco le bambine in accordo con Alessandra, la mia ex. Ma per lo Stato lei non ha diritti ed è ingiusto. Serve una legge”

Francesca Vecchioni, fondatrice di Diversity e paladina delle battaglie per i diritti civili, racconta la sua vita di madre separata: "Decidiamo tutto assieme, per il loro bene. Ma è indispensabile una normativa in generale e per le coppie in cui non c'è accordo". "Sono una mamma come le altre, ma per la società non è ancora così"

Giancarlo Ricci
17 Maggio 2021
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Nel panorama delle mamme che oggi festeggiamo e che vi stiamo raccontando da questo sito, Francesca Vecchioni sicuramente si distingue per la propria storia. È stata la prima iscritta nell’elenco delle unioni civili a Milano. Ha avuto due bimbe, Nina e Cloe, con la fecondazione eterologa assieme alla sua compagna Alessandra, da cui poi si è separata. Nel 2012, fu la prima italiana ad apparire sulla copertina di un giornale per famiglie con la compagna e le loro due figlie che oggi hanno 9 anni. Ha fondato l’associazione Diversity, impegnata nel battere tutte le discriminazioni, che siano di razza, di età, di potenziale economico, di genere, e i Diversity Media Awards, che premiano i personaggi più vicini alle tematiche di inclusione.

Francesca Vecchioni, presidente di Diversity

Eppure, affermi di sentirti una mamma come tutte ed anzi fatichi a capire perché a tutti i costi si vuole farti passare per una mamma fuori dagli schemi…
“Vedendo le altre mamme, quelle che normalmente frequento, mi sembra di essere come tutte le altre. Ho gli stessi sbattimenti di tutte le mamme di figli di 9 anni: la dad, le attività extra scolastiche, la loro educazione quotidiana. Nei confronti delle mie figlie sono un genitore come tutti gli altri. Semmai sono una mamma diversa nei confronti della società, alla quale devo in continuazione dare spiegazioni in merito alla mia storia combattendo purtroppo, contro pregiudizi e luoghi comuni. Io credo che le difficoltà nell’essere genitore nulla abbiano a che fare col fatto che le mie figlie abbiano due mamme. Per loro, la loro famiglia è fatta da due figlie con due mamme; poi hanno un compagno di classe che invece ha due papà, e un’altra compagna che ha i genitori separati. Sono tutte famiglie, e per loro ognuna è comunque solo una famiglia. Nulla di più e nulla di meno”.

Che cosa hai spiegato alle tue figlie? Ci sono state da parte loro domande a cui è stato difficile dare risposte?
“La cosa più bella che si può raccontare ai figli è la loro storia. Non ci sono stranezze, non ci sono segreti, e nemmeno rivelazioni, c’è l’amore che ci ha portati a volerli e la bellezza di poterglielo raccontare, naturalmente con il linguaggio della loro età. La loro storia è stupenda, ed è la loro verità. E non si fa né più né meno di tutte quelle coppie che hanno avuto bisogno di aiuto per realizzare il sogno di far nascere i propri figli. Le domande dei bambini sono sempre semplici, è la nostra paura di non saper rispondere a renderle difficili, e a volte ci dimentichiamo di quanto sia più semplice rispondere la verità. Quando non la si conosce, perché può succedere di non avere risposte per tutto, non serve inventarsi nulla, basta chiedere loro cosa pensino: è quasi sempre la migliore risposta possibile. Non bisognerebbe aver paura delle domande che fanno i figli, ma di quelle che non ci fanno”.

Tu e la tua compagna Alessandra, da qualche tempo vi siete lasciate: avendo avuto le bambine grazie alla fecondazione eterologa fatta da te in Olanda per la legge, le piccole sono praticamente delle perfette sconosciute per Alessandra. Il genitore non biologico, quindi, non ha alcun diritto sui figli?
“Né diritti né doveri. Per il nostro Stato io sono una madre single, la nostra è una famiglia monogenitoriale e Alessandra è un’estranea per le bambine e non, come è, ‘mamma Alessandra’. Nel caso di coppie in cui c’è un solo genitore biologico, i più deboli, i bambini, non hanno tutela dalla legge. E il genitore non biologico – padre o madre – ha diritti e doveri soltanto se nella coppia c’è accordo. Questo però vuol dire che c’è una sorta di obbligo – e non è il nostro caso, visto che stiamo decidendo tutto assieme – a continuare ad andare d’accordo anche quando ci si lascia, perché neanche un giudice può intervenire, non avendo una legge cui fare riferimento”.

Parliamo ora di Diversity, la tua associazione, come è nata e di cosa vi occupate esattamente?
“Diversity è nata nel 2013 su un terrazzo, durante una chiacchierata tra amiche. Volevamo riuscire a dare un contributo alla diffusione della cultura dell’inclusione che fosse però diverso da quello, poco a dire il vero, che già si faceva in giro. Ci siamo subito tutte trovate d’accordo nel cercare di abbattere i troppi stereotipi che ci sono nella nostra società; nel pensare a un progetto che servisse a cambiare l’immaginario collettivo ed aiutasse le persone ad avere gli strumenti per smontare alcune errate convinzioni che poi portano alle discriminazioni di ogni genere. Quindi la prima cosa che ci è venuta in mente è stato cercare di influenzare positivamente la rappresentazione delle persone nei media. Da lì siamo partite con la nostra avventura: ci occupiamo di comunicazione, ricerca, monitoraggio, formazione, consulenza e advocacy in collaborazione con un’ampia gamma di partner, tra cui università, istituti di ricerca, istituzioni, aziende e organizzazioni non governative nazionali e internazionali”.

L’attività forse più conosciuta della tua associazione è i “Diversity media awards”. Ci spieghi cosa sono esattamente?
“Sono una sorta di ‘Oscar’ con l’obiettivo dichiarato di valorizzare le diversità nel mondo del cinema, della televisione, della radio e della comunicazione in genere. I Diversity Media Awards, sono l’atto finale più pop, più glam di un progetto molto più complesso che prende il nome di “Diversity Media Report“: dietro c’è un lavoro complesso, realizzato su basi scientifiche da quindici docenti ed esperti di tematiche di genere, che va sistematicamente a scandagliare in modo quantitativo la comunicazione sulle tematiche LGBT e qualitativamente le trasmissioni radio e tv, le serie italiane e straniere, i film e le pubblicità. L’esito di questo complesso lavoro, ogni anno approda poi alle nominations. Nella comunicazione si trasmette spesso un’immagine che tende più a fare opinione piuttosto che a raccontare le storie di vite vere, gli affetti ed i legami. Ci dimentichiamo che a volte le altre persone non conoscendo alcune cose in effetti hanno bisogno che noi ripartiamo dalle basi e le raccontiamo di nuovo: a volte basta farle notare in maniera semplice: il progetto vuole quindi premiare in positivo le “best practices” nei settori della comunicazione  che anche nel nostro paese vengono realizzate”.

La pandemia e il lockdown, che impatto hanno avuto secondo te sulla nostra società e sulla cultura della diversità di cui parlavi prima?
“Nella nostra società ci sono fratture che non possiamo ignorare. Il covid le ha rese ancora più profonde, e ora per ripartire non dobbiamo tralasciarle. Il coronavirus ha colpito duramente chi era già in difficoltà. Anziani, ma anche le donne, tra gender gap e smart working che ha sommato il peso del lavoro a quello della vita familiare. E poi le discriminazioni sulla base di età, etnia, disabilità e orientamento sessuale. La distanza fisica del lockdown ha comportato una serie di conseguenze che potevamo intuire: distanza sociale, emotiva, un tasso di esclusione mai stato così alto. Siamo stati immersi in mesi di emergenza in cui ogni notizia o immagine che ci passava davanti era veicolata dalla paura. Volevamo parlare solo dell’emergenza. Ora invece, in questo momento di passaggio, ci sono fratture che non possiamo più ignorare. Le minoranze dobbiamo considerarle come risorsa, la nostra economia non può prescindere dal colmare queste ferite”.

 

 

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27 Gennaio 2023

Instagram

  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
  • La tolleranza, l’inclusione e il rispetto svaniscono nel momento in cui ci si mette davanti alla tastiera di un computer. Gli haters non sono spariti né accennano a diminuire. Esistono, sono molti più di prima, attaccano e anzi rilanciano. Oltre lo schermo, sono le donne soprattutto, e poi le persone con disabilità e le persone omosessuali, a essere i destinatari di insulti e offese di ogni tipo.

È questo il triste podio che ci consegna la ricerca condotta da Vox, Osservatorio italiano sui diritti, che ha fotografato l’odio via social, in particolare attraverso l’esame dei tweet. E le cose non vanno meglio rispetto all’anno precedente, anzi. Dalla settima edizione di questa ricerca è emerso infatti che nel 2022, da gennaio a ottobre, sono stati estratti quasi 630mila tweet, 583mila dei quali negativi, pari al 93% del totale, mentre invece l’anno prima i tweet presi in esame erano stati poco più di 797mila, 550mila dei quali erano negativi, cioè il 69% del totale.

Le donne si confermano essere il bersaglio numero uno, seguite appunto dalle persone con disabilità e dalle persone omosessuali, tornate nuovamente al centro del mirino, e non solo di quello che fa riferimento all’hate speech.

Oltre agli onnipresenti atteggiamenti di body shaming, molti attacchi hanno avuto come contenuto la competenza e la professionalità delle donne stesse. E, dunque, è il lavoro delle donne a emergere anche quest’anno quale co-fattore scatenante lo hate speech misogino, a conferma di una tendenza già rilevata lo scorso anno. Quanto alle persone con disabilità, risultata la seconda categoria più colpita.

Per quanto concerne invece gli stranieri e i migranti, la categoria sociale con una percentuale più alta di incremento di tweet negativi all’interno del cluster rispetto al 2021. Anche qui, va sottolineata la forte attenzione mediatica che si accende sugli sbarchi dei migranti e sulla situazione dei profughi provenienti dall’Ucraina, nonché dal contesto politico italiano e dalla sua relazione con l’Unione europea circa la gestione della situazione migratoria.

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  • “Sesso. Libertà. Uguaglianza. Amore in tutti i sensi. E tutti a tavola!”. È il messaggio che Rosa Chemical, all’anagrafe Manuel Franco Rocati, porta a Sanremo 2023 per quello che sarà il suo esordio al festival con il brano “Made in Italy”.

Il rapper classe 1998, arriva da debuttante, ma con una storia già ben definita alle spalle. Poliedrico, eclettico, difficilmente etichettabile, ha dato sfogo alla sua creatività non solo a livello musicale – con influenze che spaziano dall’hiphop alla trap all’elettronica -, ma lavorando anche come modello per Gucci, come art and creative director e dedicandosi anche alla scrittura di videoclip. 

Nel 2019 ha pubblicato “Forever”, il suo primo album, che è stato certificato disco d’oro, da lì una serie di collaborazioni che lo hanno portato anche ad affiancare Tananai l’anno scorso nella serata cover del Festival.

“Molto spesso sono giudicato perché diverso, ma dal diverso bisogna imparare, assorbire. In Italia invece ciò che è diverso è giudicato. E io da diverso in passato mi sono sentito sbagliato” racconta Rosa Chemical. 

Non a caso, a Sanremo, il 25enne paladino della libertà di essere se stessi senza farsi condizionare dalle norme della società, arriva con il brano “Made in Italy” e un obiettivo ben preciso: “portare un messaggio di libertà contro ogni tipo di discriminazione, per promuovere l’uguaglianza e il rispetto. Cerco di creare dibattito: sono sempre pronto a spiegare il mio punto di vista, ma se non c’è apertura mentale non mi sento di dover dire nulla”.

Il brano “È piedi, con cui calpestare ciò che è generalista e che chiude tutto dentro una gabbia fatta di tabù. ‘Made in Italy vuole’ liberarci dalle censure, dagli stereotipi e dal politicamente corretto”. 

Come il titolo e la copertina, anche il testo è provocatorio e racchiude al suo interno tutta l’essenza e l’irriverenza prorompente di Rosa Chemical perché parla in maniera sfrontata di temi ancora oggi considerati tabù come il sesso, la fluidità e il poliamore. 

“Non c’è cosa più ‘Made in Italy’ del Festival di Sanremo. Non vedo l’ora di salire su quel palco”.

#lucenews #sanremo2023 #rosachemical
Nel panorama delle mamme che oggi festeggiamo e che vi stiamo raccontando da questo sito, Francesca Vecchioni sicuramente si distingue per la propria storia. È stata la prima iscritta nell’elenco delle unioni civili a Milano. Ha avuto due bimbe, Nina e Cloe, con la fecondazione eterologa assieme alla sua compagna Alessandra, da cui poi si è separata. Nel 2012, fu la prima italiana ad apparire sulla copertina di un giornale per famiglie con la compagna e le loro due figlie che oggi hanno 9 anni. Ha fondato l’associazione Diversity, impegnata nel battere tutte le discriminazioni, che siano di razza, di età, di potenziale economico, di genere, e i Diversity Media Awards, che premiano i personaggi più vicini alle tematiche di inclusione.
Francesca Vecchioni, presidente di Diversity
Eppure, affermi di sentirti una mamma come tutte ed anzi fatichi a capire perché a tutti i costi si vuole farti passare per una mamma fuori dagli schemi… "Vedendo le altre mamme, quelle che normalmente frequento, mi sembra di essere come tutte le altre. Ho gli stessi sbattimenti di tutte le mamme di figli di 9 anni: la dad, le attività extra scolastiche, la loro educazione quotidiana. Nei confronti delle mie figlie sono un genitore come tutti gli altri. Semmai sono una mamma diversa nei confronti della società, alla quale devo in continuazione dare spiegazioni in merito alla mia storia combattendo purtroppo, contro pregiudizi e luoghi comuni. Io credo che le difficoltà nell’essere genitore nulla abbiano a che fare col fatto che le mie figlie abbiano due mamme. Per loro, la loro famiglia è fatta da due figlie con due mamme; poi hanno un compagno di classe che invece ha due papà, e un’altra compagna che ha i genitori separati. Sono tutte famiglie, e per loro ognuna è comunque solo una famiglia. Nulla di più e nulla di meno". Che cosa hai spiegato alle tue figlie? Ci sono state da parte loro domande a cui è stato difficile dare risposte? "La cosa più bella che si può raccontare ai figli è la loro storia. Non ci sono stranezze, non ci sono segreti, e nemmeno rivelazioni, c’è l’amore che ci ha portati a volerli e la bellezza di poterglielo raccontare, naturalmente con il linguaggio della loro età. La loro storia è stupenda, ed è la loro verità. E non si fa né più né meno di tutte quelle coppie che hanno avuto bisogno di aiuto per realizzare il sogno di far nascere i propri figli. Le domande dei bambini sono sempre semplici, è la nostra paura di non saper rispondere a renderle difficili, e a volte ci dimentichiamo di quanto sia più semplice rispondere la verità. Quando non la si conosce, perché può succedere di non avere risposte per tutto, non serve inventarsi nulla, basta chiedere loro cosa pensino: è quasi sempre la migliore risposta possibile. Non bisognerebbe aver paura delle domande che fanno i figli, ma di quelle che non ci fanno". Tu e la tua compagna Alessandra, da qualche tempo vi siete lasciate: avendo avuto le bambine grazie alla fecondazione eterologa fatta da te in Olanda per la legge, le piccole sono praticamente delle perfette sconosciute per Alessandra. Il genitore non biologico, quindi, non ha alcun diritto sui figli? "Né diritti né doveri. Per il nostro Stato io sono una madre single, la nostra è una famiglia monogenitoriale e Alessandra è un’estranea per le bambine e non, come è, ‘mamma Alessandra’. Nel caso di coppie in cui c’è un solo genitore biologico, i più deboli, i bambini, non hanno tutela dalla legge. E il genitore non biologico - padre o madre - ha diritti e doveri soltanto se nella coppia c’è accordo. Questo però vuol dire che c’è una sorta di obbligo - e non è il nostro caso, visto che stiamo decidendo tutto assieme - a continuare ad andare d’accordo anche quando ci si lascia, perché neanche un giudice può intervenire, non avendo una legge cui fare riferimento”. Parliamo ora di Diversity, la tua associazione, come è nata e di cosa vi occupate esattamente? "Diversity è nata nel 2013 su un terrazzo, durante una chiacchierata tra amiche. Volevamo riuscire a dare un contributo alla diffusione della cultura dell’inclusione che fosse però diverso da quello, poco a dire il vero, che già si faceva in giro. Ci siamo subito tutte trovate d’accordo nel cercare di abbattere i troppi stereotipi che ci sono nella nostra società; nel pensare a un progetto che servisse a cambiare l’immaginario collettivo ed aiutasse le persone ad avere gli strumenti per smontare alcune errate convinzioni che poi portano alle discriminazioni di ogni genere. Quindi la prima cosa che ci è venuta in mente è stato cercare di influenzare positivamente la rappresentazione delle persone nei media. Da lì siamo partite con la nostra avventura: ci occupiamo di comunicazione, ricerca, monitoraggio, formazione, consulenza e advocacy in collaborazione con un’ampia gamma di partner, tra cui università, istituti di ricerca, istituzioni, aziende e organizzazioni non governative nazionali e internazionali". L’attività forse più conosciuta della tua associazione è i “Diversity media awards”. Ci spieghi cosa sono esattamente? "Sono una sorta di 'Oscar' con l’obiettivo dichiarato di valorizzare le diversità nel mondo del cinema, della televisione, della radio e della comunicazione in genere. I Diversity Media Awards, sono l’atto finale più pop, più glam di un progetto molto più complesso che prende il nome di “Diversity Media Report“: dietro c’è un lavoro complesso, realizzato su basi scientifiche da quindici docenti ed esperti di tematiche di genere, che va sistematicamente a scandagliare in modo quantitativo la comunicazione sulle tematiche LGBT e qualitativamente le trasmissioni radio e tv, le serie italiane e straniere, i film e le pubblicità. L’esito di questo complesso lavoro, ogni anno approda poi alle nominations. Nella comunicazione si trasmette spesso un’immagine che tende più a fare opinione piuttosto che a raccontare le storie di vite vere, gli affetti ed i legami. Ci dimentichiamo che a volte le altre persone non conoscendo alcune cose in effetti hanno bisogno che noi ripartiamo dalle basi e le raccontiamo di nuovo: a volte basta farle notare in maniera semplice: il progetto vuole quindi premiare in positivo le “best practices” nei settori della comunicazione  che anche nel nostro paese vengono realizzate". La pandemia e il lockdown, che impatto hanno avuto secondo te sulla nostra società e sulla cultura della diversità di cui parlavi prima? "Nella nostra società ci sono fratture che non possiamo ignorare. Il covid le ha rese ancora più profonde, e ora per ripartire non dobbiamo tralasciarle. Il coronavirus ha colpito duramente chi era già in difficoltà. Anziani, ma anche le donne, tra gender gap e smart working che ha sommato il peso del lavoro a quello della vita familiare. E poi le discriminazioni sulla base di età, etnia, disabilità e orientamento sessuale. La distanza fisica del lockdown ha comportato una serie di conseguenze che potevamo intuire: distanza sociale, emotiva, un tasso di esclusione mai stato così alto. Siamo stati immersi in mesi di emergenza in cui ogni notizia o immagine che ci passava davanti era veicolata dalla paura. Volevamo parlare solo dell’emergenza. Ora invece, in questo momento di passaggio, ci sono fratture che non possiamo più ignorare. Le minoranze dobbiamo considerarle come risorsa, la nostra economia non può prescindere dal colmare queste ferite".    
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