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Home » Lifestyle » Elisa Serafini nella classifica di Forbes dei 10 manager di public affairs under 35 più promettenti

Elisa Serafini nella classifica di Forbes dei 10 manager di public affairs under 35 più promettenti

"Un consiglio ai giovani che vogliono avvicinarsi al mio settore? Non cercate l’iperspecializzazione ma abbiate la mente aperta. E se vi piace la politica fatela". Parola della manager di public affairs di Glovo che è stata anche market manager di Uber, assessore al comune di Genova e si dedica appassionatamente anche al giornalismo. E non ha nemmeno 35 anni

Marianna Grazi
5 Maggio 2021
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Giovani, di talento e in grande ascesa nel mondo della rappresentanza di interessi. Sono i 10 manager under 35 dei quali sentiremo molto parlare in futuro. E molte sono donne; tra queste, nella lista Forbes, c’è anche Elisa Serafini, manager di public affairs di Glovo Italia. “Mi interfaccio ogni giorno con i protagonisti della democrazia: l’informazione, la politica, i sindacati – racconta su Forbes  – Credo nella contaminazione e nella possibilità di costruire progetti di lungo termine che permettano di allineare interessi diversi“.

Noi di Luce! la conosciamo bene, ma abbiamo voluto farci raccontare da lei questo bel riconoscimento.

Intanto complimenti Elisa. Ma partiamo proprio dalla definizione del tuo lavoro. Non siete lobbisti ma manager del public affairs. Che significa?
“Public affairs non è lobbing, io non vado dai parlamentari a dire “Cambiate le legge”. Il public affairs è una responsabilità, nelle aziende, di gestione di tutte le strategie che non c’entrano con la parte commerciale. Quindi le relazioni coi sindacati per i contratti dei dipendenti e dei collaboratori, le relazioni coi giornalisti, con le istituzioni, con gli enti pubblici, con le altre aziende. Tutto ciò che è costruire progetti che si pongono nell’ottica di realizzare obiettivi aziendali ma che non sono obiettivi commerciali. Dentro il public affair c’è il social impact (o responsabilità sociale di impresa), la parte di relazioni istituzionali (come le associazioni di categoria e i sindacati) e poi la parte media. La rappresentanza di interessi la definirei come un “pezzettino” di democrazia”.

Giovani e promettenti. Così vi definisce Forbes. Ma soprattutto una classifica con tante donne. Quanto è importante questo aspetto?
“Hanno scelto queste 10 persone che, per varie ragioni, credono che saranno di successo. Ci sono tante donne in questo ambito che vengono riconosciute, ma ci sono anche tanti uomini. Però io credo che le donne abbiano una capacità maggiore, più efficace. È un lavoro di empatia, di trasparenza, dove gli interlocutori li devi trattare sempre con rispetto e ci sono dinamiche di contrattazione. Insomma una donna può fare un ottimo lavoro e speriamo che ce ne siano sempre di più in questo settore che è sempre stato molto maschile. Io nelle riunioni sono quasi sempre l’unica donna e il 99% dei miei interlocutori sono uomini”.

Come ti hanno scelto e perché?
“È stato grazie a una segnalazione. Un giornalista che stava raccontando questo lavoro fatto da Forbes ha segnalato il mio nome e a mia volta io ho fatto quello di altre persone. Ho segnalato due donne. Che sono state entrambe selezionate. Sono veramente pochi i professionisti, in Italia, nelle relazioni istituzionali e nel public affairs, tra gli under 35 poi siamo in un mondo di addetti ai lavori che si conoscono. Il fatto che io abbia fatto l’assessore e abbia lavorato come manager in Uber, questo incrocio di pubblico-privato, probabilmente è stato ciò che è risultato più interessante nel mio profilo”.

Come sei arrivata a Glovo, l’attuale azienda per cui lavori?
“Nei miei ultimi 10 anni ho sempre lavorato in imprese private. All’inizio nell’ambito del marketing, sono stata marketing manager di Uber e di altre società. Poi ho fatto 5 anni consulenza per soggetti pubblici, privati e no profit, nell’ambito del public affairs. Ho fatto l’assessore per un anno, a Genova. Glovo cercava una persona che avesse esperienza aziendale ma con una sensibilità pubblica e politica. Mi hanno chiamata loro: mi è stato segnalato da una persona all’interno che si sarebbe aperta una posizione e di fare domanda. Io mi sono candidata: ho fatto cinque colloqui più un business case (dove devi spiegare cosa faresti in un scenario ipotetico). A quel punto mi hanno fatto un’offerta e da lì sono entrata”.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
“Che quando lavoro, pur essendo in un’azienda privata, sento che sto facendo politica, sto trattando temi di interesse pubblico. I rider, i contratti, l’algoritmo, l’intelligenza artificiale non sono tematiche di interesse strettamente commerciale ma riguardano l’ambito pubblico. Serve innanzitutto che ti piaccia: la metà delle persone a cui dico che io sto tre ore al telefono coi sindacati mi dicono che sono pazza, ma a me piace davvero. Io sono contentissima, lavoro su temi pubblici con i ritmi del privato, che sono velocissimi, sfidanti. Poi c’è da dire che mi trovo benissimo nelle aziende tech, perché sono a contatto con persone divertenti, dinamiche, alcune le trovo anche geniali. Io sono super flessibile, amo il cambiamento. Non mi fossilizzo in nulla, sono dell’idea che tutto può cambiare in qualsiasi momento”.

Come hai già citato hai a che fare con una figura lavorativa su cui, negli ultimi tempi, si sta concentrando molta attenzione: i rider. Com’è la situazione?
“Io parlo per la mia azienda: ci sono stati dei passi avanti nelle tutele, con un contratto sindacale, un minimo orario, le assicurazioni. Tutto questo è il frutto proprio di chi, prima di me, era in questo ruolo a trattare con i sindacati e con gli altri soggetti interessati. Bisogna andare avanti, quello è comunque un primo passo. A volte quello che passa nell’informazione non sempre è rappresentativo di tutte le situazioni. Ci sono tantissimi rider che sono felici di essere autonomi e di guadagnare un po’ di più. In generale, quello che stanno facendo tutte le aziende del mondo del delivery è ascoltare le istanze e cercare anche di far presente che ci sono delle dinamiche, di azienda e tecnologia, che non si sposano con le leggi italiane (che sono “antiche”). Spesso il mercato va più veloce della politica e bisogna trovare nei punti intermedi, coi sindacati, delle misure per sanare dei vuoti normativi”.

Cosa consiglieresti alle giovani ragazze che vorrebbero diventare come te?
“Quello che a me ha aiutato è aver fatto più cose: l’esperienza in azienda, l’esperienza nel mondo istituzionale e pubblico e anche un po’ di giornalismo. Non serve l’iperspecializzazione in un mondo in cui le esigenze cambiano molto velocemente. Piuttosto penso che premi un approccio “orizzontale”, dove tu prendi quello che hai imparato dalle tue varie esperienze e crei valore attraverso idee, progetti, iniziative trasversali. Se piace la politica consiglio di farla, perché le aziende apprezzano il civismo e l’attivismo. Diventi la loro attivista. E poi sicuramente di avere pazienza: public affairs non è un lavoro che fai a 22 anni, perché c’è bisogno di competenze troppo trasversali tra loro che necessariamente prendi un po’ in giro nella tua esperienza. Non c’è una scuola per imparare. Non cercate l’iperspecializzazione ma abbiate la mente aperta”.

Dopo questo bel riconoscimento, qual è il prossimo obiettivo nel tuo futuro?
“Adesso mi piace molto questo lavoro e spero di farlo il più possibile. Magari in una seconda fase della mia vita, o terza, non mi dispiacerebbe insegnare o comunque mettere a disposizione queste competenze per chi inizia questo percorso o addirittura all’università. Cioè cercare un modo per trasmetterle ai ragazzi più giovani. E poi continuare anche con il giornalismo perché come attività parallela, su temi diversi da quelli che tratto nel mio lavoro (non devono esserci conflitti di interesse, non parlo dei rider ma dei diritti civili). Quindi, in fondo, direi trasmettere a un pubblico -di studenti o di lettori- quello che ho acquisito”.

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  • Passa anche da un semplice tasto la possibilità per una donna, vittima di stalking, di salvarsi da chi vuole farle del male. Il tasto di uno smartwatch che, una volta premuto, lancia un’immediata richiesta di aiuto alle forze di polizia. E grazie a questo orologio, Marta (il nome è di fantasia) potrà ora vedere la sua vita cambiata in meglio. La donna aveva smesso di vivere, a causa della relazione asfissiante e malata con il suo ex marito violento che aveva promesso di sfregiarla con l’acido e poi ucciderla e seppelire il suo corpo in un terreno. Ma venerdì scorso a Marta è stato consegnato il primo di 45 smartwatch che saranno distribuiti ad altrettante vittime. L’orologio è collegato con la centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli: appena arriva l’Sos, la vittima viene geolocalizzata e arrivano i soccorsi.

E così Marta ha ripreso la sua vita interrotta per paura dell’ex e delle sue minacce. «Posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. È vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare.»

Lo scorso 30 novembre i carabinieri del Comando provinciale di Napoli, la sezione fasce deboli della Procura partenopea coordinata dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone, la Fondazione Vodafone Italia e la Soroptimist international club Napoli hanno annunciato l’avvio del progetto pilota "Mobile Angel", che prevede, appunto, la consegna di questo orologio salvavita alle vittime di maltrattamenti. Il progetto è stato esteso anche alle città di Milano e Torino. Lo smartwatch affidato a Marta è il primo nel Sud Italia. Il mobile angel, spiegano i Carabinieri, rientra in un progetto ad ampio respiro che ha come punto focale le vittime di violenza. Un contesto di tutela all’interno del quale è stata istituita anche la "stanza tutta per sé", un ambiente dove chi ha subìto vessazioni può sentirsi a suo agio nel raccontare il proprio vissuto. 

#lucenews #lucelanazione #mobileangel #napoli
  • Se nei giorni scorsi l’assessore al Welfare del Comune di Napoli, papà single di Alba, bambina affetta da Sindrome di Down, aveva ri-scritto pubblicamente alla premier Giorgia Meloni per avere un confronto sull’idea di famiglia e sul tema delle adozioni, stavolta commenta quanto sta accadendo in Italia in relazione ai diritti dei figli delle famiglie arcobaleno. 

Ricordiamo, infatti, che lo scorso 12 marzo il Governo ha ordinato, in merito ad una richiesta pervenuta al Comune di Milano di una coppia dello stesso sesso, lo stop a procedere alla registrazione del loro figlio appena nato e impedendo, di fatto, la creazione di una famiglia omogenitoriale. Il veto della destra compatta boccia il certificato europeo di filiazione che propone agli Stati membri di garantire ai genitori residenti in Unione Europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli nello stesso modo in tutti i Paesi Ue.

“In tutta Europa i figli di coppie gay avranno il riconoscimento degli stessi diritti degli altri bambini. In Italia il Senato, trascinato da Fratelli d’Italia, fortemente contrario, ha appena bocciato la proposta – dice Trapanese in un lungo post sulla sua pagina Instagram -. Quindi, i figli delle coppie omosessuali non sono, per il nostro Paese, figli come gli altri. Questo hanno deciso e detto chiaramente”. Così facendo, “resteranno bambini privi di tutele complete, i cui genitori dovranno affrontare battaglie giudiziarie, sfiniti da tempi lunghissimi, solo perché il loro bimbo venga considerato semplicemente un figlio”. 

Trapanese attacca chiaramente questa decisione: “L’Italia è l’unico paese europeo con un governo che lavora per togliere diritti invece che per aggiungerli. Se la prende con bambini che esistono e vivono la loro quotidianità serenamente in famiglie piene d’amore, desiderati sopra ogni cosa, ma considerati in Italia figli di un dio minore”. Per Trapanese “stiamo continuando a parlare di ciò che dovrebbe essere semplicemente attuato. I diritti non si discutono, si riconoscono e basta. Ma come fate a non rendervene conto?”.

#lucenews #diritti #coppieomogenitoriali
  • Il nuovo progetto presentato dal governatore Viktor Laiskodat a Kupang, in Indonesia, prevede l’entrata degli alunni a scuola alle 5.30 del mattino. Secondo l’alto funzionario il provvedimento servirebbe per rafforzare la disciplina dei bambini.

Solitamente nelle scuole del Paese le lezioni iniziavano tra le 7 e le 8 del mattino: anticipando l’orario d’ingresso i bambini sono apparsi esausti quando tornano a casa. La madre di una 16enne, infatti, è molto preoccupata da questa nuova iniziativa: “È estremamente difficile, ora devono uscire di casa mentre è ancora buio pesto. Non posso accettarlo. La loro sicurezza non è garantita quando è ancora notte. Inoltre mia figlia, ogni volta che arriva a casa, è esausta e si addormenta immediatamente.”

Sulla vicenda è intervenuto anche Marsel Robot, esperto di istruzione dell’Università di Nusa Cendana, che ha spiegato come a lungo termine la privazione del sonno potrebbe mettere in pericolo la salute degli studenti e causare un cambiamento nei loro comportamenti: “Non c’è alcuna correlazione con lo sforzo per migliorare la qualità dell’istruzione. Gli studenti dormiranno solo per poche ore e questo è un grave rischio per la loro salute. Inoltre, questo causerà loro stress e sfogheranno la loro tensione in attività magari incontrollabili”. Anche il Ministero per l’emancipazione delle donne e la Commissione indonesiana per la protezione dei minori hanno espresso richieste di revisione della politica. Il cambiamento delle regole di Kupang è stato anche contestato dai legislatori locali, che hanno chiesto al governo di annullare quella che hanno definito una politica infondata.

Tuttavia il governo centrale ha mantenuto il suo esperimento rincarando la dose ed estendendolo anche all’agenzia di istruzione locale, dove anche i dipendenti pubblici ora inizieranno la loro giornata alle 5.30 del mattino.

#lucenews #lucelanazione #indonesia #scuola
  • Quante ore dormi? È difficile addormentarsi? Ti svegli al minimo rumore o al mattino rimandi tutte le sveglie per dormire un po’ di più? Soffri d’insonnia?

Sono circa 13,4 milioni gli italiani che soffrono di insonnia, secondo le ultime rilevazioni di Aims - l

Giovani, di talento e in grande ascesa nel mondo della rappresentanza di interessi. Sono i 10 manager under 35 dei quali sentiremo molto parlare in futuro. E molte sono donne; tra queste, nella lista Forbes, c'è anche Elisa Serafini, manager di public affairs di Glovo Italia. "Mi interfaccio ogni giorno con i protagonisti della democrazia: l’informazione, la politica, i sindacati - racconta su Forbes  - Credo nella contaminazione e nella possibilità di costruire progetti di lungo termine che permettano di allineare interessi diversi".

Noi di Luce! la conosciamo bene, ma abbiamo voluto farci raccontare da lei questo bel riconoscimento.

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Giovani e promettenti. Così vi definisce Forbes. Ma soprattutto una classifica con tante donne. Quanto è importante questo aspetto? "Hanno scelto queste 10 persone che, per varie ragioni, credono che saranno di successo. Ci sono tante donne in questo ambito che vengono riconosciute, ma ci sono anche tanti uomini. Però io credo che le donne abbiano una capacità maggiore, più efficace. È un lavoro di empatia, di trasparenza, dove gli interlocutori li devi trattare sempre con rispetto e ci sono dinamiche di contrattazione. Insomma una donna può fare un ottimo lavoro e speriamo che ce ne siano sempre di più in questo settore che è sempre stato molto maschile. Io nelle riunioni sono quasi sempre l’unica donna e il 99% dei miei interlocutori sono uomini".

Come ti hanno scelto e perché? "È stato grazie a una segnalazione. Un giornalista che stava raccontando questo lavoro fatto da Forbes ha segnalato il mio nome e a mia volta io ho fatto quello di altre persone. Ho segnalato due donne. Che sono state entrambe selezionate. Sono veramente pochi i professionisti, in Italia, nelle relazioni istituzionali e nel public affairs, tra gli under 35 poi siamo in un mondo di addetti ai lavori che si conoscono. Il fatto che io abbia fatto l’assessore e abbia lavorato come manager in Uber, questo incrocio di pubblico-privato, probabilmente è stato ciò che è risultato più interessante nel mio profilo".

Come sei arrivata a Glovo, l'attuale azienda per cui lavori? "Nei miei ultimi 10 anni ho sempre lavorato in imprese private. All’inizio nell’ambito del marketing, sono stata marketing manager di Uber e di altre società. Poi ho fatto 5 anni consulenza per soggetti pubblici, privati e no profit, nell’ambito del public affairs. Ho fatto l’assessore per un anno, a Genova. Glovo cercava una persona che avesse esperienza aziendale ma con una sensibilità pubblica e politica. Mi hanno chiamata loro: mi è stato segnalato da una persona all’interno che si sarebbe aperta una posizione e di fare domanda. Io mi sono candidata: ho fatto cinque colloqui più un business case (dove devi spiegare cosa faresti in un scenario ipotetico). A quel punto mi hanno fatto un’offerta e da lì sono entrata".

Cosa ti piace di più del tuo lavoro? "Che quando lavoro, pur essendo in un’azienda privata, sento che sto facendo politica, sto trattando temi di interesse pubblico. I rider, i contratti, l’algoritmo, l’intelligenza artificiale non sono tematiche di interesse strettamente commerciale ma riguardano l’ambito pubblico. Serve innanzitutto che ti piaccia: la metà delle persone a cui dico che io sto tre ore al telefono coi sindacati mi dicono che sono pazza, ma a me piace davvero. Io sono contentissima, lavoro su temi pubblici con i ritmi del privato, che sono velocissimi, sfidanti. Poi c’è da dire che mi trovo benissimo nelle aziende tech, perché sono a contatto con persone divertenti, dinamiche, alcune le trovo anche geniali. Io sono super flessibile, amo il cambiamento. Non mi fossilizzo in nulla, sono dell’idea che tutto può cambiare in qualsiasi momento".

Come hai già citato hai a che fare con una figura lavorativa su cui, negli ultimi tempi, si sta concentrando molta attenzione: i rider. Com’è la situazione? "Io parlo per la mia azienda: ci sono stati dei passi avanti nelle tutele, con un contratto sindacale, un minimo orario, le assicurazioni. Tutto questo è il frutto proprio di chi, prima di me, era in questo ruolo a trattare con i sindacati e con gli altri soggetti interessati. Bisogna andare avanti, quello è comunque un primo passo. A volte quello che passa nell’informazione non sempre è rappresentativo di tutte le situazioni. Ci sono tantissimi rider che sono felici di essere autonomi e di guadagnare un po’ di più. In generale, quello che stanno facendo tutte le aziende del mondo del delivery è ascoltare le istanze e cercare anche di far presente che ci sono delle dinamiche, di azienda e tecnologia, che non si sposano con le leggi italiane (che sono "antiche"). Spesso il mercato va più veloce della politica e bisogna trovare nei punti intermedi, coi sindacati, delle misure per sanare dei vuoti normativi".

Cosa consiglieresti alle giovani ragazze che vorrebbero diventare come te? "Quello che a me ha aiutato è aver fatto più cose: l’esperienza in azienda, l’esperienza nel mondo istituzionale e pubblico e anche un po’ di giornalismo. Non serve l’iperspecializzazione in un mondo in cui le esigenze cambiano molto velocemente. Piuttosto penso che premi un approccio “orizzontale”, dove tu prendi quello che hai imparato dalle tue varie esperienze e crei valore attraverso idee, progetti, iniziative trasversali. Se piace la politica consiglio di farla, perché le aziende apprezzano il civismo e l’attivismo. Diventi la loro attivista. E poi sicuramente di avere pazienza: public affairs non è un lavoro che fai a 22 anni, perché c’è bisogno di competenze troppo trasversali tra loro che necessariamente prendi un po’ in giro nella tua esperienza. Non c’è una scuola per imparare. Non cercate l’iperspecializzazione ma abbiate la mente aperta".

Dopo questo bel riconoscimento, qual è il prossimo obiettivo nel tuo futuro? "Adesso mi piace molto questo lavoro e spero di farlo il più possibile. Magari in una seconda fase della mia vita, o terza, non mi dispiacerebbe insegnare o comunque mettere a disposizione queste competenze per chi inizia questo percorso o addirittura all’università. Cioè cercare un modo per trasmetterle ai ragazzi più giovani. E poi continuare anche con il giornalismo perché come attività parallela, su temi diversi da quelli che tratto nel mio lavoro (non devono esserci conflitti di interesse, non parlo dei rider ma dei diritti civili). Quindi, in fondo, direi trasmettere a un pubblico -di studenti o di lettori- quello che ho acquisito".

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