“Huda, nessuna e centomila”: cosa vuol dire essere una ragazza italiana di seconda generazione

Il podcast, on air dal 27 giugno su tutte le piattaforme streaming, è uno spaccato della Gen Z raccontato dall’interno, tra stereotipi, preconcetti e ingiustizie. Huda è una giovane influencer, studentessa a Firenze, cresciuta in Brianza da genitori marocchini

di MAURIZIO COSTANZO -
30 giugno 2024
Huda

Huda

“Huda, nessuna e centomila” è il podcast di Huda, sui social Riphuda, scritto con Marta Blumi Tripodi. Huda è una ragazza di seconda generazione, nata e cresciuta in Brianza da genitori marocchini. In sei episodi della durata di 25 minuti ciascuno, tocca i temi del razzismo e colorismo legati a quelli, anch’essi attualissimi, della disparità di genere e della visione standardizzata di maschi e femmine, dell’accettazione di sé, dei rischi e delle conseguenze della sovraesposizione mediatica.

Attraverso le esperienze dei suoi protagonisti, “Huda, nessuna e centomila” (on air dal 27 giugno su tutte le piattaforme audio streaming), che la ragazza ha ci restituisce un racconto contemporaneo e spiazzante, sempre giocato sul filo della leggerezza, ma capace di graffi improvvisi e grandi profondità.

Huda frequenta l’università di Firenze, ha vent’anni e come tutti i ragazzi della sua età cerca di capire cosa vuole da sè e dal futuro. Nonostante sia nata in Italia e conosca pochissimo il paese dei suoi genitori, la domanda che si è sentita rivolgere più spesso è: “Ma da dove vieni davvero?” perché agli occhi di alcuni, per via del colore della sua pelle, è una straniera, un’immigrata. Partendo dai racconti della sua storia personale Huda ci introduce, puntata dopo puntata, nelle vite delle persone che fanno parte del suo quotidiano - la sua famiglia, gli amici e il rapporto con le loro famiglie - e di quelle che, come lei, hanno vissuto e vivono ogni giorno il disagio di essere vittime di stereotipi, preconcetti ed ingiustizie. E così conosciamo la storia di Zak che, come Huda, è figlio di genitori marocchini.

La cover del podcast "Huda, nessuna e centomila"
La cover del podcast "Huda, nessuna e centomila"

Le altre storie

Zak è un aspirante attore che non vive serenamente la sua condizione di ragazzo di seconda generazione anche perché, per via della sua pelle scura, ai casting gli viene spesso chiesto di ricoprire ruoli con connotazione negativa, per via degli stereotipi che non lo considerano un ragazzo socialmente integrato. La storia di Sara, invece, svela come anche il fenomeno del colorismo sia problematico per i ragazzi di seconda generazione. Figlia di genitori tunisini, nonostante non viva i disagi di Huda e Zak, Sara vive il fatto di avere la pelle chiara come un “privilegio”, che spesso l’ha aiutata a poter nascondere le proprie origini, traendone un vantaggio. Ma questo privilegio, come lo definisce lei stessa, è sempre accompagnato da un estremo senso di colpa. C’è poi Ghizlane, con la quale Huda riflette sul tema dell’immagine di sé - centrale per una generazione che è nata esposta. Molto prima di lei, Ghizlane aveva raggiunto una certa notorietà sui social a cui, però, decide di rinunciare quando capisce di non riuscire a far conciliare l’immagine online con quella reale. Avendo vissuto anche lei le conseguenze negative della sovraesposizione sui social, Huda si chiede, quindi, se anche i ragazzi vivano lo stesso disagio. Conosciamo, così, la storia di Lorenzo - che è stato bullo per anni prima di capire di essere nel torto senza però capire cosa, esattamente, lo avesse spinto a diventarlo - e del fratello di Huda, Bilal, unico figlio maschio di una famiglia con quattro figlie femmine e con un padre molto tradizionalista, che ha riversato su di lui tutte le aspettative che nutriva nei confronti di un figlio maschio ideale trasmettendo l’idea, anche questa fortemente stereotipata, che gli uomini siano sempre forti e che non cadano mai vittime delle loro emozioni. Tutto questo conduce Huda ad una riflessione sul futuro, quello delle generazioni più giovani. Come Ines, sorella minore di Huda, che ha solo 5 anni e che crescerà in un'Italia impossibile da immaginare, ma che si spera diversa.

Huda, Calabresi, Tripodi
Huda, Calabresi, Tripodi

“Da dove vieni? Da dove vieni veramente? –  racconta Huda – Ho passato tutta la vita a sentire questa domanda e frasi come “torna a casa tua”, a non sentirmi “vista” e a pensare di essere sfortunata, per poi crescere e rendermi conto che la mia storia non era solo mia, ma di tanti, di “centomila”. Così è nato questo podcast, diventando un vero e proprio percorso di analisi collettiva, tra perdono e accettazione, dove ho cercato di affrontare quello che vuol dire sentirsi a casa davvero. Non volevo fosse un monologo, ma un’operazione corale, per dare a tutti quella voce che a me non è mai stata data. Così ho coinvolto e mi sono confrontata con parenti e amici. È stata come una terapia. Mi sono emozionata in ogni episodio, perché è stato un rendersi vulnerabile al cento per cento. E dalla rabbia iniziale sono arrivata alla fine con una grande speranza. Perché, anche se non ce ne rendiamo conto, le cose vanno avanti, e noi siamo pronti ad aprire un mondo che per altri è difficile. E forse non sarà più necessario parlare di seconde generazioni”.

“Sembra incredibile, ma è ancora necessario parlare di seconde generazioni” esordisce Marta Blumi Tripodi, autrice. “Abbiamo iniziato a lavorare al progetto – aggiunge - quando ancora Huda stava facendo la maturità e ora sta per laurearsi. È stato un lungo percorso, perché non stiamo parlando di tematiche, ma di persone con tante voci che vivono letteralmente sulla loro pelle la discriminazione. Nella narrazione mediatica siamo abituati a parlare di seconda generazione come se fosse un unico blocco generazionale. Questo è vero a grandi linee, ma poi c’è l’esperienza umana. È bene che loro stessi prendano le redini della narrazione, perché per noi è impossibile capire fino in fondo cosa significa essere una persona italiana ma non percepita come tale”. “Huda ha una grande forza perché in modo molto sereno fa un po’ pulizia di tante finzioni che ci sono nel nostro Paese” conclude Mario Calabresi.