Stato cieco davanti alla violenza sulle donne: “Le leggi non bastano, vanno applicate”

La giornalista e scrittrice Ilaria Bonuccelli denuncia l’insostenibile situazione di donne e minori vittime di violenza che invece di ricevere protezione, hanno dovuto affrontare sentenze cariche di pregiudizio

di CATERINA CECCUTI
28 febbraio 2024
Ilaria Bonuccelli, giornalista e scrittrice

Ilaria Bonuccelli, giornalista e scrittrice

Con lei non si scherza. Ilaria Bonuccelli è una giornalista e scrittrice che decisamente non le manda a dire. Basti accennare al fatto che, grazie alle sue inchieste – in molti casi sarebbe più opportuno parlare di battaglie sociali –, alcune leggi del nostro Paese sono state modificate, altre sono proprio spuntate dal nulla.

Le inchieste e i riflessi

Qualche esempio: nel 2012 la sua campagna giornalistica fa approvare la legge che vieta la vendita di alcol ai minori in Italia; nel 2017 riceve il Premio speciale Franco Giustolisi per l’inchiesta sul telemarketing selvaggio cui seguirà l’approvazione di una legge scudo; in collaborazione con giuriste e docenti della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa ottiene nuove norme per l’utilizzo dei braccialetti elettronici anti-stalking e per gli indennizzi alle vittime di reati intenzionali violenti (come lo stupro, per intendersi). Questi alcuni dei traguardi del passato, ma anche in questo momento Ilaria non se ne sta con le mani in mano e porta avanti la campagna per la revisione della legge sulla violenza sessuale “Senza assenso non c’è consenso”.

“Ma basta parlare di me!” mi redarguirebbe leggendo questo pezzo. E avrebbe ragione, perché le vere protagoniste dalla storia che racconteremo nelle prossime righe sono le stesse che riempiono le pagine del suo ultimo lavoro letterario, “Violenzissima” (Lucia Pugliese Editore). Stiamo parlando di donne e bambini vittime di violenza e del conseguente stigma che deriva dalla cecità di Stato, il pregiudizio che “intossica le sentenze e appanna l’approccio alle vittime durante i processi conseguenti alle denunce”. 

Il suo ultimo libro
Il suo ultimo libro

L’intervista

Ilaria, il suo impegno al fianco delle donne vittime di violenza è notevole, non solo professionalmente, ma soprattutto dal punto di vista sociale.

“Come giornalista mi è capitato di imbattermi in storie di violenza di genere, ce ne sono state due che mi hanno fatto scattare dei “click” interiori: emotivo e legale.

La prima testimonianza mi ha obbligata a cambiare prospettiva e modo di pensare. Alcuni anni fa una donna veniva picchiata costantemente dal marito davanti al suo bambino. Sapeva che questo comportamento era sbagliato, però credeva che subirlo fosse necessario. Che il suo sacrificio, il suo dolore e le botte valessero la pena per assicurare al suo bambino la presenza di un padre. Stiamo parlando di circa 10 anni fa, quando ancora non esisteva il concetto di violenza assistita. Un giorno, mentre era a terra sanguinante, il figlio le si è avvicinato, ma invece di consolarla come al solito le ha dato un calcio nella pancia. È stato allora che la donna ha raggiunto il “punto di rottura”: garantire una famiglia unita non era fare il bene di suo figlio, ma il contrario, perché il modello affettivo e culturale che gli stava proponendo era violento e il piccolo lo stava assorbendo. Ecco, questa storia è stata il mio punto di rottura.”

Mentre per quanto riguarda il suo point break a livello legale/assistenziale?

“Ho realmente capito il gap dell’assistenza e della tutela quando ho ascoltato la storia di una donna pistoiese, nel 2017, che per amore aveva ceduto due stanze della sua casa in diritto di abitazione ad un compagno molto più grande di lei. (Il diritto di abitazione corrisponde ad una specie di usufrutto, non revocabile in nessun caso). Quando il compagno si è rivelato violento lei è stata costretta a dividere la casa e a tenerselo accanto. Persino quando è uscito dal carcere e l’ha minaccia con un coltello. Davanti ad una situazione simile il giudice impone un divieto di avvicinamento a 3 metri abbinato al divieto di lancio di oggetti. Mi sono messa le mani nei capelli e ho pensato che, nel caso alla donna fosse successo qualcosa di male, il giudice avrebbe dovuto rispondere in prima persona del proprio provvedimento, perché avendo avuto la possibilità di proteggerla, non l’ha fatto.”

Può spiegarci in che modo sostiene la causa delle donne vittime di violenza?

“Mi occupo di analisi delle sentenze, con cui posso dimostrare come lo Stato - in tutte le sue declinazioni - spesso non comprenda la gravità delle situazioni e adotti provvedimenti che non solo non le aiutano ma facciano correre loro un pericolo addirittura maggiore. Dunque il mio impegno è quello di modificare le norme che non funzionano e per farlo mi circondo di professioniste, docenti, giuriste di altissimo livello, come quelle provenienti della Scuola Sant’Anna di Pisa (Gaetana Morgante e Anna Loretoni) e la docente di Diritto processuale dell’Università di Pisa Valentina Bonini. Insieme siamo più precise, più forti, più efficaci e dal confronto nascono sicuramente idee migliori.”

La presentazione del libro
La presentazione del libro

Al fianco delle donne

Può farci qualche esempio pratico del vostro impegno condiviso?

“La prima battaglia portata avanti insieme risale al 2017, ed è stata la campagna per modificare la legge sui braccialetti elettronici. In Italia la normativa esisteva dal 2013, ma a conti fatti i bracciali non potevano essere usati né per prevenire lo stalking né la violenza domestica. Il motivo è che era stata scritta giuridicamente in modo sbagliato, con il risultato che i maltrattanti allontanati dalla casa o gli stalker non potevano essere controllati. Grazie al contributo delle professioniste citate, ho potuto dare vita ad una campagna di legge, raccogliendo 50.000 firme in 2 settimane. Purtroppo poi per cambiare la legge ci sono voluti due anni, ma intanto siamo riuscite a smuovere le coscienze.

Un’altra campagna riguarda gli indennizzi per le vittime di violenza: in questo caso eravamo a cavallo tra il 2017 e 2018. Bonini mi chiama e mi dice “Ilaria, sai che se una donna fiorentina viene stuprata in Versilia lo Stato non la indennizza? Però se una donna tedesca in ferie a Rimini subisce la stessa sorte lo Stato la paga”. All’inizio ho creduto di non aver capito bene. “Quindi se due amiche, una italiana e una francese, vengono stuprate entrambe sul territorio nazionale la prima non la indennizzano e la seconda sì? Ma non siamo in Europa?” Sì, siamo in Europa, ma la professoressa mi spiega che l’Italia applica la direttiva europea per indennizzi a vittime di reati violenti a coda di rondine: accetta la direttiva, ma decide di regolamentare in maniera autonoma gli indennizzi per i propri cittadini, utilizzando leggi speciali che stabiliscono se e quanto pagare e per quali reati farlo.”

A quel punto cosa avete deciso di fare?

“Ho scritto subito un articolo a riguardo, che ha prodotto una forte eco. L’Europa aveva già sanzionato l’Italia in merito e il nostro Paese si è presto sbrigato a mettere a punto una legge per il rimborso sia dei femminicidi che degli stupri. Però occorreva un decreto per decidere le cifre del rimborso, un decreto che impiega un anno per arrivare. Scrivo allora un secondo pezzo che battezzo “Il listino della vergogna”, perché le donne stuprate erano state valutate appena 4.800 euro e quelle ammazzate 7.200 euro. Piena di indignazione sono andata a spulciare gli indennizzi previsti per altri reati, e la media si attestava intorno ai 200.000 euro. A quel punto abbiamo deciso di dare vita ad una nuova campagna di denuncia. Scoppia una seconda bomba mediatica e il Governo rettifica il decreto - ma non benissimo -, limitandosi ad aggiustare alla meglio le tariffe: oggi una donna vittima di violenza, se muore, vale tra i 50.000 euro e i 60.000 (in caso abbia dei figli); una donna stuprata ne vale 25.000. Troppo poco, direte, pensate che inizialmente l’indennizzo era addirittura legato al reddito della vittima e non aveva neppure validità retroattiva.”

Tra i suoi motti ce n’è uno che coinvolge tutti: “Ognuno nel proprio piccolo può contribuire a cambiare le cose”

“Esatto, ognuno di noi può fare tantissimo. Intanto abbiamo il dovere di aprire gli occhi e le orecchie. Problemi come quello della violenza di genere non si risolvono con le leggi e basta; le leggi aiutano, ma devono prima di tutto essere applicate correttamente. Ciascuno di noi deve diventare una sentinella sul territorio. Se invece di giudicare iniziassimo ad ascoltare senza preconcetti, cominceremmo a picconare il pregiudizio che ci ritroviamo poi nelle aule di tribunale e nei pronto soccorso. Ognuno di noi, dunque, deve aprire gli occhi e non chiudere le porte.”