Saper mollare è sintomo di forza, non di fragilità

Lo spiega Julia Keller, premio Pulitzer, con il suo libro "Mollare non è una cosa da deboli": allontanarsi da qualcosa che ci fa male vuol dire credere in se stessi

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
15 settembre 2023
L'arte di mollare

L'arte di mollare

Qualche anno fa, il cantautore romano Niccolò Fabi decise di chiudere l’album “Una somma di piccole cose” con un pezzo di appena due minuti e cinquantaquattro secondi marchiato a fuoco da una potenza di significato capace di conficcarsi nella mente e di non uscirne troppo facilmente. Si intitola “Vince chi molla” e spiega bene perché, a conti fatti e coscienza pacificata, la vera forza sta nel lasciare - e lasciarsi - andare, mollare gli ormeggi, le apparenti sicurezze, gli illusori punti fermi e muoversi verso il non noto. A tornare a parlare di questa faccenda spinosa e difficile per chi ha orgogli troppo grandi di cui liberarsi è stata la giornalista Julia Keller, già vincitrice del Premio Pulitzer, nel libro "Mollare non è una cosa da deboli", pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer.
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Julia Keller, premio Pulitzer

L'arte di mollare

Comunemente definibile “arte di mollare”, la capacità di saper rinunciare nell’opinione di Keller non è affatto un affare per deboli. Allontanarsi da qualcosa, che si tratti di un impiego, un passatempo, una relazione o qualsiasi altra cosa, semplicemente perché non sta funzionando, significa dimostrare di credere in se stessi e nel futuro. Avere la certezza che qualcosa di meglio arriverà non è certo - secondo Keller - roba da fragili. Al contrario, è privilegio di chi ha dalla sua la forza della speranza, energia sana per evitare di piegarsi al cospetto di grigi accomodamenti.

Nel 2022, 2milioni di italiani si sono licenziati

A giudicare dal fatto che nei primi otto mesi del 2021 negli Stati Uniti d’America 30 milioni di lavoratori dipendenti si sono licenziati e che in Italia nei primi nove mesi del 2022 si sono registrate oltre 1,6 milioni di dimissioni, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021, la dinamica risulta strettamente legata alla pandemia che, seppure con il massimo riserbo, pare abbia cambiato più di qualcosa nei personalissimi meccanismi di reazione-azione. Ne è prova anche la Generazione Z che di abbassare le aspettative e piegarsi a logiche votate all’appiattimento pare non averne intenzione alcuna. Nella scala valoriale di giovani e giovanissimi, la felicità scavalca nettamente il lavoro e la ricerca di compromessi sembra essere quanto di più lontano esiste dalla loro visione del mondo. Una modificazione culturale figlia del Covid-19 che, sperare possa trasformarsi in automatismo permanente pare abbastanza insperabile, essendo l’essere umano, per sua stessa natura, portato a dimenticare le lezioni apprese attraverso le difficoltà. Se i mesi in cui il mondo intero ha combattuto la pandemia hanno rammentato a tutte e tutti che di domani non c’è certezza, il ritorno pressoché completo alla normalità rischia di farci velocemente scivolare nuovamente in una routine incapace di assecondare ogni qualsivoglia ambizione di felicità.

La perseveranza a tutti i costi

Alla luce di questa riflessione, Keller porta all’attenzione dei lettori due temi assai complessi e difficili da destrutturare: il senso del dovere e l'importanza della perseveranza a tutti i costi. Fare quello che si deve, svolgere il “compitino”, non cedere al cospetto delle avversità è uno dei primi valori che la società si preoccupa di far interiorizzare alle persone. Un mantra che crea cortocircuiti complessi da smontare. Eppure, la rinuncia è da sempre una strategia di sopravvivenza per gli animali e non solo.
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Fare quello che si deve è uno dei primi valori che la società ci insegna

 

Il giusto equilibrio

L’analisi dell’opinione di Keller non può quindi che essere a cavallo tra oggettività e soggettività. Se è vero, com'è vero, che mollare è, a suo modo, una dimostrazione di forza, farlo in maniera sistematica potrebbe rivelarsi tutto il contrario. La via mediana, pertanto, pare essere - come sempre - quella giusta e capace di portare con sé saggezza e buoni consigli. Mollare quando serve ed evitare di rimanere aggrappati a qualcosa che non c’è o, ancor peggio, che fa male è giusto. Lasciarsi andare troppo spesso al cambiamento purché sia - forse - no. Le vicende personali della Keller stessa insegnano: ha lasciato la scuola di specializzazione a 19 anni e ha lasciato diversi lavori, sempre con il terrore di aver commesso il peggior errore della sua vita. A volte ha funzionato, altre no. Il punto è che l'atto stesso di lasciare, fare un passo verso l’ignoto con speranza è, di per sé, motore potente e prezioso oltre che dimostrazione di comprendere di essere degni di meritare di più. Ad avvalorare questa tesi sono, tra le altre cose, le centinaia di persone intervistate dalla Keller che si sono dette più rammaricate di non aver mollato prima che dispiaciute per ciò che hanno lasciato. Fuga o coraggio, dunque? “Per ogni tipo di viaggio meglio avere un bagaglio leggero.” (Vince chi molla, Niccolò Fabi)