"Impariamo ad ascoltarci e a chiedere aiuto: ce lo insegnano i più giovani"

Monica Petra, presidente e volontaria di Telefono Amico Italia, in occasione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio

di MARIANNA GRAZI -
10 settembre 2023
TelefonoAmico3

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Disagio, malessere psicologico, senso di inadeguatezza, bisogno di aiuto, solitudine, paura del futuro; ma anche sintomi più gravi, come depressione o istinti e pensieri autolesionisti fino alle estreme conseguenze. Nella giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, il 10 settembre, Telefono Amico Italia traccia un bilancio sulla situazione delle richieste di supporto arrivate nel corso dell'anno, per cui si registra un aumento del 37% rispetto al 2022.
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Il 10 settembre è la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio (Telefono Amico Italia)

"Ma non è una nota solo negativa – evidenzia la presidente dell'associazione Monica Petra –. La crescita nelle chiamate testimonia anche una maggior presa di coscienza del proprio bisogno interiore, evidenzia che le persone si rendono conto di avere un problema e cercano di risolverlo, non più di nasconderlo".

Chiamate, chat e mail: servizi di aiuto per tutti i gusti

Il modo di chiedere aiuto è cambiato? C’è ancora bisogno di trovare, all’altro capo del telefono, la voce di una persona piuttosto che ricevere una risposta scritta? "L’una e l’altra. Io ho cominciato questo servizio 30 anni fa e si faceva esclusivamente al telefono. Ormai da qualche anno invece abbiamo introdotto anche servizi di chat e di mail, che sono poi quelli che intercettano maggiormente i più giovani.

Per abitudine, probabilmente, questi almeno all’inizio preferiscono la chat (l’utente medio in questo caso è quello che ha tra i 19 e i 30 anni) e il servizio scritto di mail (qui sono ancora più giovani) perché è più semplice racontare per iscritto il disagio, le difficoltà e il malessere che stanno vivendo.

Qualche volta poi chiamano anche ma il punto di partenza è quello dello scritto. Il raccontarsi ai nostri operatori rimane legata alle abitudini di comunicazione che ogni generazione ha, in questo caso quelle scritte".

Telefono amico Italia offre un servizio di ascolto e primo supporto per chi si trova in una situazione di crisi emozionale

Qual è, invece, la trasformazione più significativa a cui ha assistito? "Quello che è profondamente cambiato è la capacità stessa di chiedere aiuto. È vero che i dati raccontano un aumento degli appelli e delle richieste di ascolto, ma è anche vero che questo è il sintomo di una maggiore capacità di chiedere aiuto.

A tutti capita di vivere un momento di difficoltà ma non in tutte le epoche siamo stati tutti capaci di guardare fuori e cercare di normalizzare il fatto di aver bisogno anche del supporto di qualcun altro.

Il fatto che le ultime generazioni parlino delle loro emozioni con relativa naturalezza dalla nostra prospettiva è un grande risultato. Perché se non altro si mettono nella condizione di accedere all’aiuto”.

Ascoltarsi e farsi ascoltare: sempre più richieste

Rendersi conto di avere bisogno di aiuto spinge quindi ora a cercarlo, piuttosto che nascondere il disagio? "È anche un po’ un differente approccio rispetto al concetto di essere o di sentirsi in un momento di fragilità. Magari in passato per alcuni restava difficile mostrarsi fragili e forse lo è ancora per le persone che ci sono più vicine.

Però chiamare un servizio come il nostro, quindi scegliere la strada di comunicazione (almeno come inizio) che sia con un individuo che non si conosce, che non fa parte della nostra vita, significa comunque accettare la dimensione della propria fragilità”.

I giovani sono quindi più consapevoli sull’importanza di prendersi cura della loro sfera emotiva e psicologica?

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Le nuove generazioni sono più aperte nel comunicare il proprio disagio psicologico rispetto alle precedenti

“Certo in passato c’era una grande ritrosia a parlare di cura soprattutto in temi emotivi o psicologici. Quindi pensare di manifestarsi come bisognoso di cura: se mi fa male il ginocchio vado dal medico, però se sento che c’è qualcosa che non mi fa star bene e in qualche modo impatta sulla sfera psicologica non ne parlo.

In passato era davvero tanto forte il tabù, invece i ragazzi, negli ultimi anni, manifestano le loro emozioni.

Lo fanno, certo, con l’irruenza che è tipica dell’età, con l’utilizzo di un vocabolario che in alcuni casi è fatto solo di bianchi e neri, e quello che fanno con noi è quindi un percorso che li aiuta a ricostruire le ragioni del loro sentire, a rimettere a posto le difficoltà, i malesseri, in alcuni casi le origini delle situazioni di crisi e di forte turbamento, per poi poterci lavorare sopra.

In qualche caso con l’aiuto di professionisti, in altri questo colloquio è il punto di partenza per prendersi cura di sé, per fare attenzione a se stessi e provare a riorganizzare il proprio magma emotivo”.

Quanto ha influito la pandemia di Covid-19 in questo?

“Il disagio giovanile in realtà non è nuovo e alcuni sintomi erano preesistenti alla pandemia. Però probabilmente nei mesi di chiusura, di mancanza di relazioni in presenza, è un po’ esploso il fenomeno del bisogno di attivare relazioni verso l’esterno, si sono acuite tutte le difficoltà legate alle relazioni.

Nelle segnalazioni che riceviamo i due grandi temi portati soprattutto dai più giovani sono le difficoltà nel gestire le relazioni e, dall’altro lato, le visioni di prospettiva, quindi il senso del proprio esistere, il proprio ruolo nel modo.

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Il disagio giovanile si era già manifestato prima della pandemia ma durante i mesi di chiusura si sono accentuati i problemi a livello relazionale

Soprattutto intorno ai 20 anni le domande e i quesiti sono di natura esistenziale, rispetto al futuro e a quello che li aspetta.

La manifestazione di tutto questo si è evoluta e trasformata negli anni della pandemia, in cui ci siamo tutti abituati a comunicare (o ad attivarci per comunicare), rendendoci conto che se non siamo noi attori della richiesta di contatto con qualcun altro il nostro malessere non verrà intercettato.

C’è una certa responsabilità rispetto al chiedere aiuto, per questo il dato, per quanto in crescita e da gestire, è anche il segnale di appelli espressi da persone che hanno chiesto supporto”.

L'augurio della presidente Petra

Dottoressa che augurio fa alle persone che si rivolgono a Telefono Amico e un appello che vuole lanciare

"L’augurio che faccio è che, nel momento in cui avvertiamo il desiderio di parlare con qualcuno, troviamo sempre un interlocutore, qualcuno che si presti ad ascoltarci senza giudicare e valutare, quindi non con un approccio antagonista ma con il desiderio autentico di ascoltare e comprendere quello che ci muove.

Come appello faccio quello tipico della nostra associazione, quindi di non trascurare la sensazione di malessere ma affrontarla.

Perché qualunque situazione di sconforto può essere trasformata ma va affrontata e raccontata a qualcun altro; attraverso il dialogo è possibile trasformare la visione della realtà e individuare risorse e strategie per attuare cambiamenti in termini positivi".