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"La famiglia numerosa non è un peso ma un sostegno, perché è una comunità basata sull'educazione. Come l'università"

di ELISA CAPOBIANCO -
9 maggio 2021
Santanna

Santanna

È al timone della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa da due anni e la sua presenza ha permesso all’ateneo, che continua a scalare posizioni nella classifica mondiale delle giovani università, di poter vantare anche un altro primato: quello di avere una rettrice. Ma Sabina Nuti non è ‘soltanto’ questo. È anche moglie e mamma. Sotto il suo sguardo "amorevole ma autorevole" sono cresciuti quattro figli, diventati le tessere più preziose nel mosaico della sua carriera accademica. Sì, perché il successo senza l’amore della famiglia avrebbe un gusto assai meno dolce.

Sabina Nuti, rettrice della Scuola di studi superiori Sant'Anna di Pisa

Rettrice, la sua vita sembra un incastro perfetto tra affetti e lavoro. Ci riveli il suo segreto. «Non ho una ricetta che vada bene per tutti (sorride, ndr), ma posso svelarvi la mia. Partiamo da un assunto: la famiglia è stata la mia forza. Devo ringraziare di avere accanto un marito eccezionale che ha rispettato profondamente la mia voglia e possibilità di crescita. Un compagno con cui ho condiviso le responsabilità genitoriali, arrivando allo sviluppo armonioso di entrambi. Ben presto ho capito, infatti, che l’equilibrio emotivo, affettivo era fondamentale, e che poteva influenzare positivamente anche tutto il resto. Per me è stato molto importante prendermi cura dei miei figli (tre maschi e una femmina oggi rispettivamente di 32, 30, 27 e 24 anni, ndr) sin da piccoli. Così ho ’accettato’ di avere tempi differenti nella carriera magari rispetto ai colleghi maschi. Però ho scoperto che se si rallenta in alcune fasi della vita da quel tempo si può trarre una tale iniezione di energia... insomma non è mai tempo perso. Sì, forse qualche collega sarà diventato associato ordinario prima di me, ma la forza generata dalla maternità è stata determinante poi per proseguire il mio cammino e raggiungere i miei obiettivi». Dunque la famiglia non è stata un ostacolo alla carriera? «No, al contrario. Ho avuto il primo bambino a 29 anni mentre ero ricercatrice all’università Bocconi. Mi trovavo in Guatemala con mio marito per seguire un progetto di cooperazione allo sviluppo. Lì è nato anche il secondogenito. È stata un’esperienza straordinaria, bellissima che ci ha fatto maturare tanto. Siamo rientrati in Italia dopo due anni, io ho ripreso servizio alla Bocconi dove ho lavorato fino al 2000 circa. E poi ho iniziato a collaborare in modo sempre più forte con la Scuola Sant’Anna, diventando professore associato ordinario e via fino ad arrivare a oggi». Innegabile però che quattro figli siano una bella sfida. «Era proprio il nostro desiderio. ‘Tanti’ per creare determinate situazioni di sviluppo. C’è da dire, infatti, che una famiglia numerosa diventa una comunità educante. I fratelli aiutano, condividono con i genitori il ruolo educativo. Sembra incredibile, ma questa condizione può addirittura facilitare la vita del nucleo. Io stessa vengo da una famiglia numerosa. Mia madre ha sempre lavorato, era una genetista vegetale, mio padre un docente universitario. Sono terza di cinque figli. Sicuramente la mia impostazione deriva anche dalle mie origini, da quanto ho vissuto io da bambina e da ragazza. Mia mamma è stata davvero rivoluzionaria. Lei era una donna in gambissima: ci ha cresciuto con l’idea che potevamo osare, potevamo fare, che eravamo liberi di decidere della nostra esistenza. Ci ha fatto capire che dipendeva da noi riuscire a conciliare vita affettiva e vita professionale. Anche perché solo la combinazione, secondo me, può aiutare a essere felici. Una grande carriera senza un equilibrio da un punto di vista emotivo potrebbe non essere completamente appagante». Rettrice, lei ha il dono di riuscire a far apparire tutto così semplice… «Sono partita da uno straordinario esempio familiare. Dall’esempio della mia mamma che si era ben organizzata con noi bambini, trovando una tata inglese per farci imparare la lingua sin da piccolissimi. Il tutto sempre lavorando e crescendoci nell’idea di volerci rendere autonomi e indipendenti, capaci di costruire il nostro futuro. Oggi invece noto che spesso sono le ragazze stesse a frenarsi, ad aver paura di non farcela forse addirittura della fatica fisica, dell’impegno. Ovviamente i risultati si raggiungono con la voglia di fare. Nessuno nega, certo, che sia difficile anche perché ci si scontra con un mondo che non dà nulla per scontato e nel quale bisogna costantemente dimostrare quale sia il nostro valore. Però alla fine è molto importante il modo in cui la persona si pone davanti a queste sfide. È importante cioè partire dall’idea che ce la possiamo fare. Siamo donne capaci che possono donare tanto. Io ammetto di aver avuto la fortuna di essere cresciuta da genitori che hanno creduto molto in noi figli, dandoci quella sicurezza affettiva che serve per avere la serenità giusta per affrontare un mondo che può essere anche molto ostile».

Sabina Nuti, rettrice della Scuola di studi superiori Sant'Anna di Pisa

E i suoi figli hanno apprezzato questo modello? «Credo che siano molto orgogliosi della loro famiglia. Sono già tutti fuori dal nido (sorride, ndr), ognuno ha intrapreso con successo la propria strada. Ripensandoci, il periodo in cui i bambini, piccoli, stanno a casa nell’arco della vita di un genitore alla fine è davvero breve sebbene la sua intensità lo possa far sembrare infinito. A volte non ce lo godiamo come dovremmo a causa della fatica, della stanchezza. Quando poi i nostri ragazzi spiccano il volo, vanno via per l’università, per il lavoro… il rapporto con mamma e papà cambia, diventa un rapporto di confronto. Allora si ha davvero la sensazione che sia finita un’epoca. Devo confessare che la nostalgia di quando li avevo tutti e quattro intorno, di quando la mattina li mettevo in rassegna per infilargli la maglietta, un po’ c’è. Sono dei momenti unici e molto divertenti, di giochi e grandi risate». Si è mai trovata al famigerato bivio, davanti alla scelta di dover rinunciare agli affetti o al lavoro? «Scelte definite mai. Ci sono stati momenti della mia vita in cui posso aver dato priorità a una sfera piuttosto che a un’altra, ma mai perdendo di vista l’obiettivo. Le donne devono lottare per essere in grado di mantenere entrambe le dimensioni, proprio per non essere condannate all’infelicità. Devono riuscire a trovare e conservare questo tipo di equilibrio». Qual è la situazione delle mamme in Italia? «Le cose stanno migliorando. Ben vengano le politiche a sostegno della maternità e, più in generale, della genitorialità. Sì, perché il problema si pone anche per i giovani uomini proprio per questo necessario gioco di equilibrio e di condivisione nella coppia. Più equilibrio uguale più felicità. Resta ancora molta strada da fare e ci sono ambiti professionali in cui gli ostacoli per le mamme sono più o meno visibili ma evidenti». Ma lei che mamma pensa di essere stata e di essere? «Esigente, ma anche gioiosa, affettuosa e forse anche autorevole in certi momenti. Alle donne dico di avere coraggio, di osare, di non aver paura delle loro ambizioni. Perché la vera felicità non può passare per la rinuncia al desiderio di costruire una famiglia. È importante che le mamme che lavorano però non abbiano sensi di colpa. Io sono convinta che conti la qualità del tempo trascorso con i figli, non tanto la quantità».