Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » Lifestyle » Lalì Juarez: “Sono guarita grazie ai tatuaggi e non odio più le mie cicatrici”. Oggi condivide la sua esperienza per aiutare gli altri

Lalì Juarez: “Sono guarita grazie ai tatuaggi e non odio più le mie cicatrici”. Oggi condivide la sua esperienza per aiutare gli altri

La ragazza argentina è diventata celebre su Instagram dopo aver raccontato della sua terribile esperienza. E ora aiuta altre persone che hanno subito traumi come il suo

Ludovica Criscitiello
2 Maggio 2021
Share on FacebookShare on Twitter

Cicatrici. “Quando ho iniziato a guardarle senza averne più ribrezzo è iniziata la mia guarigione“. Silvia Juarez ha 29 anni ed è argentina. Ama farsi chiamare Lalì come si legge sul suo profilo Instagram che è in crescita costante e ad oggi conta quasi 160 mila followers. La sua storia vola oltre confine e ha dell’incredibile. La racconta a Luce! dalla sua stanza di San Justo, città in provincia di Buenos Aires.

È il 25 febbraio del 2010 quando la sua vita cambia per sempre. Una mattina mentre si prepara la colazione accende il bollitore del tè e senza rendersene conto la sua felpa di nylon inizia a prendere fuoco. Una settimana dopo Lalì si è risvegliata in ospedale con gravissime ustioni, soprattutto sul petto e le braccia. Due anni di riabilitazione e la paura di farsi vedere “scoperta persino in estate con 30 gradi” finché, guardando il profilo Instagram di una influencer argentina ricoperta di tatuaggi, Candelaria Tinelli, prende coraggio e decide di coprire quelle cicatrici usando proprio i tatuaggi. E di raccontare la sua esperienza sui social, finendo con l’aiutare anche altre persone.

 

Cosa ricordi dell’incidente?
“È stata una questione di secondi. Mentre mi stavo versando il tè ho iniziato a sentire odore di bruciato e non capivo da dove venisse. Poi ho realizzato che ero io. E allora in preda al panico ho fatto la prima cosa che non si deve fare. Uscire fuori di casa, nel mio cortile, e agitarmi. Così il fuoco è aumentato. Allora sono rientrata dentro e mi sono buttata sotto la doccia. Ricordo che all’inizio l’acqua è uscita bollente quindi ho girato subito la manovella per avere quella fredda. Ero da sola a casa. Mia zia, che vive vicino, non c’era e mia madre era andata dal parrucchiere. Non ricordo precisamente cosa ho visto quando mi sono guardata allo specchio. Era come se la mia pelle fuoriuscisse dalla felpa, ridotta in pezzi. Ricordo che dopo essere uscita dalla doccia ho avuto la tentazione di stendermi sul letto”.

Non hai pensato di chiamare nessuno?
“Quando ho chiamato l’ambulanza in realtà non avevo realizzato la gravità della cosa, quindi loro al telefono non si sono allarmati perché ero tranquilla. Poi è iniziato il bruciore che è cresciuto intensamente. Allora ho chiamato la mia madrina, un’amica di mia madre, che abita non proprio vicino a casa mia. Forse al telefono ero in preda al panico perché loro si sono precipitati. Quando le ho aperto la porta ricordo la sua espressione sconvolta, poi credo di essere svenuta perché mi sono risvegliata una settimana dopo all’ospedale. Da lì è iniziata la riabilitazione e il calvario. Più di due anni senza uscire di casa e quando lo facevo ero sempre tutta coperta per non far vedere le cicatrici, anche con 30 gradi. Quando subisci ustioni può succedere che la tua pelle resti flaccida o si indurisca. A me sono successe entrambe le cose, e sul petto soprattutto era come se si fosse accartocciata. Volevo coprire le cicatrici, ma in molti medici mi hanno risposto che in questo modo ne avrei causate altre. Finché un chirurgo mi ha consigliato di rifarmi il seno così le protesi avrebbero coperto in parte i segni. La situazione è migliorata, ma non è tornata come prima. O meglio, io speravo che sarebbe scomparso tutto. Le cicatrici un po’ si vedevano ancora e io le odiavo. Non riuscivo a guardarle”.

E alla decisione di tatuarti tutta come ci sei arrivata?
“Ero insieme alla mia madrina quando abbiamo visto una influencer tutta tatuata. Lei mi disse “perché non ci pensi?” Iniziai a informarmi, però avevo paura di sottopormi ad altre operazioni dolorose. Fu mio padre a convincermi. Mi disse che se non mi fosse piaciuto non sarebbe cambiato nulla perché avrei continuato a coprirmi. Scattò qualcosa in me e alla fine decisi”.

Quanti tatuaggi hai?
“Mi sono sottoposta a sedici sessioni, ma onestamente non so quanti sono i tatuaggi. Quello che posso dirti è che non c’è un significato nei disegni. Volevo fare in modo che le cicatrici non si vedessero o meglio, si confondessero con i tatuaggi”.

Quando hai iniziato a raccontare di te su Instagram?
“Lo usavo già prima però poi ho iniziato a postare foto e video di me e del mio corpo e vedevo che la gente empatizzava con me, capiva quello che mi era successo ed è stato allora che ho iniziato a guardarmi senza più ribrezzo. È stato bello condividere tutto e in molti, che avevano subito traumi simili al mio, hanno cominciato a chiedermi consigli. Ribadisco però che in queste circostanze, prima di fare qualsiasi passo, va sempre consultato un medico”.

Tra i tanti che ti hanno contattata c’è stato qualcuno che ti è rimasto impresso?
“Quando mi è successa questa cosa cercavo qualcuno che aveva passato qualcosa di simile e ho conosciuto un ragazzo che si era ustionato e che si era tatuato per coprire le cicatrici. Abbiamo parlato tanto e mi ha spinta a fare lo stesso, supportandomi nella mia decisione. Lui però aveva tatuato solo una parte del corpo perché non aveva i soldi per potersi tatuare anche il resto. Mesi dopo mi è capitato di entrare in contatto con una fondazione chiamata ‘Mandinga tatoo’, in Argentina, dove ho iniziato a tatuarmi. Loro lo fanno in forma gratuita per chi non può permetterselo. Ed ecco che quando la mia storia poi è diventata virale ho risentito quel ragazzo e ho deciso di parlare con il gestore di questa fondazione chiedendogli di aiutarlo. Alla fine è riuscito anche a lui a coprire le altre cicatrici. Devo dire che è stato davvero bello sentirsi parte di tutto ciò. Questa persona mi aveva dato qualcosa di importante e io sono stata felice di restituirgliela”.

 

Potrebbe interessarti anche

Morgan racconta il suo rapporto con la musica, l'amore per Asia Argento e ricorda il suicidio del padre
Spettacolo

Morgan: “Mai smesso di amare Asia Argento” e ricorda il padre suicida

20 Marzo 2023
Le donne continuano a sentirsi chiedere ai colloqui di lavoro: “Lei vuole avere figli?”
Economia

Giovani e occupazione: lavorare per vivere o vivere per lavorare?

20 Marzo 2023
Secondo gli esperti serve un uso più "responsabile" dei social
Lifestyle

Abuso da social, una ragazza su tre ha pensato al suicidio

25 Marzo 2023

Instagram

  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Cicatrici. "Quando ho iniziato a guardarle senza averne più ribrezzo è iniziata la mia guarigione". Silvia Juarez ha 29 anni ed è argentina. Ama farsi chiamare Lalì come si legge sul suo profilo Instagram che è in crescita costante e ad oggi conta quasi 160 mila followers. La sua storia vola oltre confine e ha dell’incredibile. La racconta a Luce! dalla sua stanza di San Justo, città in provincia di Buenos Aires. È il 25 febbraio del 2010 quando la sua vita cambia per sempre. Una mattina mentre si prepara la colazione accende il bollitore del tè e senza rendersene conto la sua felpa di nylon inizia a prendere fuoco. Una settimana dopo Lalì si è risvegliata in ospedale con gravissime ustioni, soprattutto sul petto e le braccia. Due anni di riabilitazione e la paura di farsi vedere "scoperta persino in estate con 30 gradi" finché, guardando il profilo Instagram di una influencer argentina ricoperta di tatuaggi, Candelaria Tinelli, prende coraggio e decide di coprire quelle cicatrici usando proprio i tatuaggi. E di raccontare la sua esperienza sui social, finendo con l’aiutare anche altre persone.   Cosa ricordi dell’incidente? "È stata una questione di secondi. Mentre mi stavo versando il tè ho iniziato a sentire odore di bruciato e non capivo da dove venisse. Poi ho realizzato che ero io. E allora in preda al panico ho fatto la prima cosa che non si deve fare. Uscire fuori di casa, nel mio cortile, e agitarmi. Così il fuoco è aumentato. Allora sono rientrata dentro e mi sono buttata sotto la doccia. Ricordo che all’inizio l’acqua è uscita bollente quindi ho girato subito la manovella per avere quella fredda. Ero da sola a casa. Mia zia, che vive vicino, non c’era e mia madre era andata dal parrucchiere. Non ricordo precisamente cosa ho visto quando mi sono guardata allo specchio. Era come se la mia pelle fuoriuscisse dalla felpa, ridotta in pezzi. Ricordo che dopo essere uscita dalla doccia ho avuto la tentazione di stendermi sul letto". Non hai pensato di chiamare nessuno? "Quando ho chiamato l’ambulanza in realtà non avevo realizzato la gravità della cosa, quindi loro al telefono non si sono allarmati perché ero tranquilla. Poi è iniziato il bruciore che è cresciuto intensamente. Allora ho chiamato la mia madrina, un’amica di mia madre, che abita non proprio vicino a casa mia. Forse al telefono ero in preda al panico perché loro si sono precipitati. Quando le ho aperto la porta ricordo la sua espressione sconvolta, poi credo di essere svenuta perché mi sono risvegliata una settimana dopo all’ospedale. Da lì è iniziata la riabilitazione e il calvario. Più di due anni senza uscire di casa e quando lo facevo ero sempre tutta coperta per non far vedere le cicatrici, anche con 30 gradi. Quando subisci ustioni può succedere che la tua pelle resti flaccida o si indurisca. A me sono successe entrambe le cose, e sul petto soprattutto era come se si fosse accartocciata. Volevo coprire le cicatrici, ma in molti medici mi hanno risposto che in questo modo ne avrei causate altre. Finché un chirurgo mi ha consigliato di rifarmi il seno così le protesi avrebbero coperto in parte i segni. La situazione è migliorata, ma non è tornata come prima. O meglio, io speravo che sarebbe scomparso tutto. Le cicatrici un po' si vedevano ancora e io le odiavo. Non riuscivo a guardarle". E alla decisione di tatuarti tutta come ci sei arrivata? "Ero insieme alla mia madrina quando abbiamo visto una influencer tutta tatuata. Lei mi disse "perché non ci pensi?" Iniziai a informarmi, però avevo paura di sottopormi ad altre operazioni dolorose. Fu mio padre a convincermi. Mi disse che se non mi fosse piaciuto non sarebbe cambiato nulla perché avrei continuato a coprirmi. Scattò qualcosa in me e alla fine decisi". Quanti tatuaggi hai? "Mi sono sottoposta a sedici sessioni, ma onestamente non so quanti sono i tatuaggi. Quello che posso dirti è che non c’è un significato nei disegni. Volevo fare in modo che le cicatrici non si vedessero o meglio, si confondessero con i tatuaggi". Quando hai iniziato a raccontare di te su Instagram? "Lo usavo già prima però poi ho iniziato a postare foto e video di me e del mio corpo e vedevo che la gente empatizzava con me, capiva quello che mi era successo ed è stato allora che ho iniziato a guardarmi senza più ribrezzo. È stato bello condividere tutto e in molti, che avevano subito traumi simili al mio, hanno cominciato a chiedermi consigli. Ribadisco però che in queste circostanze, prima di fare qualsiasi passo, va sempre consultato un medico". Tra i tanti che ti hanno contattata c’è stato qualcuno che ti è rimasto impresso? "Quando mi è successa questa cosa cercavo qualcuno che aveva passato qualcosa di simile e ho conosciuto un ragazzo che si era ustionato e che si era tatuato per coprire le cicatrici. Abbiamo parlato tanto e mi ha spinta a fare lo stesso, supportandomi nella mia decisione. Lui però aveva tatuato solo una parte del corpo perché non aveva i soldi per potersi tatuare anche il resto. Mesi dopo mi è capitato di entrare in contatto con una fondazione chiamata 'Mandinga tatoo', in Argentina, dove ho iniziato a tatuarmi. Loro lo fanno in forma gratuita per chi non può permetterselo. Ed ecco che quando la mia storia poi è diventata virale ho risentito quel ragazzo e ho deciso di parlare con il gestore di questa fondazione chiedendogli di aiutarlo. Alla fine è riuscito anche a lui a coprire le altre cicatrici. Devo dire che è stato davvero bello sentirsi parte di tutto ciò. Questa persona mi aveva dato qualcosa di importante e io sono stata felice di restituirgliela".  
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • 8 marzo

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2023 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto