
Il pranzo di Natale, momento di gioia o di disagio? Dalle discussioni politiche alla checklist sociale, gli stereotipi nascosti dietro domande comuni.
“Ma il fidanzatino ce l'hai?”
Quante volte abbiamo sentito questa domanda nel corso degli estenuanti pranzi natalizi, quelli con le tavolate piene di parenti che magari non vediamo da un anno? Di solito è un argomento che viene toccato dopo di “ma quindi ti sei laureata/hai trovato lavoro?” e prima dei discorsi sull’Europa, i vaccini, la famiglia tradizionale sotto attacco e ovviamente i migranti. Eppure, nonostante sia ormai un grande classico, quella sullo status sentimentale è una domanda che può creare non poco disagio e ansia sociale. Soprattutto nel caso di giovani donne sulle quali vengono proiettate spesso e volentieri aspettative su una maternità da raggiungere il prima possibile.Sotto l'albero: Il single shaming e le pressioni familiari
Il pranzo di Natale rischia quindi di essere un momento di disagio soprattutto per chi si trova in una situazione di vita che non corrisponde ai canoni tradizionali. Per questo motivo è stata coniata l’espressione “single shaming” nei confronti di chi si ritrova nella condizione di doversi vergognare a causa del suo status di single. In una società in cui la famiglia è ancora considerata un nucleo fondamentale, nonché un obiettivo da conseguire entro una certa età, essere single può essere visto come una condizione non desiderabile, di debolezza, svantaggio.Sui social in questi giorni stanno spopolando meme e contenuti che puntano l’attenzione o ironizzano sul disagio e l’ansia che in molti provano seduti al tavolo per le feste, segno che si tratta di un problema condiviso da un’ampia fetta della popolazione.Visualizza questo post su Instagram
Gli stereotipi sono serviti
Insomma, le feste di Natale, con la fine dell’anno vicina e la tradizione di riunire le famiglie, sembrano essere un po’ la bilancia della vita di ciascuno, il banco sopra cui anno per anno siamo chiamati a dar conto degli obiettivi sociali conseguiti o meno, facendo riferimento ad una scala di valori e priorità che probabilmente non è la nostra, ma quella di chi è seduto accanto a noi. Normalmente genitori, nonni, zii e zie (autentici boomer, termine da intendere non in senso dispregiativo, ma come segno d’appartenenza alla generazione del baby boom), ancora figli di una cultura e di valori patriarcali e stantii su cui misurare al millimetro le nostre vite. Sì, perché si è parlato tanto di patriarcato nel corso degli ultimi mesi, a causa dell’omicidio di Giulia Cecchettin e dei tanti femminicidi avvenuti nel 2023, ma spesso si sottovalutano altri meccanismi sociali che questo tipo di cultura ci ha inculcato fin dalla tenera età. L’ansia spasmodica dei parenti per la ricerca di un partner non è dovuta certo alla necessità di trovare l’anima gemella, quanto piuttosto ha a che fare con lo stereotipo della donna come angelo del focolare perpetrato dalla cultura patriarcale. Secondo questa mentalità, se una donna non si sposa con un “buon partito” (come si diceva una volta) e non fa figli entro i trenta o massimo i quarant’anni, significa che qualcosa è andato storto.