"Sono Bagnarota, e me ne vanto": le donne che rimisero in piedi un intero paese

A Bagnara Calabra sono nate Loredana e Domenica (Mimì) Bertè, 'figlie' di una tradizione femminile fatta di emancipazione, coraggio e incredibile resistenza alla fatica

di GUIDO GUIDI GUERRERA -
20 agosto 2023
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"Se non avessi fatto la cantante, sarei stato certamente una bagnarota". È una frase che Mia Martini, nome d’arte di Domenica (Mimì) Bertè notoriamente sorella di Loredana, pronunciò con fierezza a chi le aveva ricordato in modo un po’ insinuante le proprie origini calabresi. Infatti le sorelle Bertè erano entrambe nate a Bagnara Calabra, suggestivo paesino di pescatori ma soprattutto famoso per l’antica tradizione delle sue donne, da sempre esempio di emancipazione, coraggio e incredibile resistenza alla fatica.
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Mia Martini, come la sorella Loredana Bertè, era originaria di Bagnara Calabra

La bagnarota è diventata nell’arco dei secoli un personaggio così emblematico da diventare soggetto ideale per tanti scrittori, a cominciare da Stefano d’Arrigo, autore del best seller "Horcynus Orca", che aveva inventato per definire quelle donne il termine quasi onomatopeico di 'femminota'.

Chi era la bagnarota

Tutto ha inizio dopo la totale distruzione di Bagnara nel 1783 a causa di un devastante sisma. Fu in quella occasione che proprio le donne del luogo dettero prova di incredibile energia, pronte a rimboccarsi le maniche e ricominciare tutto daccapo. Mentre gli uomini era distrutti e piangevano senza posa le perdite subite, le bagnarote si imposero di guardare avanti e di far rinascere una nuova comunità dalle antiche macerie, proprio come l’araba fenice risorge dalle sue stesse ceneri. Una realtà sociale si stava profilando grazie all’impegno tenace di quelle ‘femminote’ che prendendo in pugno la situazione avevano dato un’impronta decisamente matriarcale a quei luoghi.
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Le bagnarote intente nei lavori pesanti in paese a Bagnara: dopo il sisma del 1783 furono loro a imporre l'impronta matriarcale alla società

Anche gli uomini, abituati alla estenuante e non sempre redditizia fatica della pesca, si risolsero a dare il loro contributo. Badavano agli affari della casa, si occupavano delle pulizia e se era necessario preparavano da mangiare. Nel frattempo le intrepide bagnarote abbigliate con il loro tipico costume, autentico cavallo di battaglia che ne faceva moderne eroine in tutto, si sobbarcavano di sforzi immensi e incredibili. Sfoggiavano i loro abiti di foggia quasi ‘zingaresca’, composti immancabilmente dalla ‘saia’, l’indumento principale, dallo ‘sciammisciu’ che era una sorta di camicetta e dal ‘muccaturi’, il fazzoletto, che spesso annodavano ad arte sistemandolo sulla testa per sopportare pesi anche enormi. Si racconta di interi pescespada del peso di un quintale e mezzo caricati a quel modo per essere trasportati anche a distanze considerevoli. A testa alta, con le braccia sollevate ad anfora, facevano sfoggio di forza, eleganza e bellezza allo stato puro, in una sfilata d’orgoglio che tutti ammiravano senza distinzione.

Le tre categorie

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Una bagnarota trasporta un pesce spada

Lo studioso Rosario Cardone nel suo libro del 1873 "Notizie storiche di Bagnara Calabra" suddivide in tre categorie le donne del piccolo centro calabrese: quelle istruite, definite di 'ceto civile', quelle del 'ceto medio' esperte nel cucire e filare e infine il 'ceto basso'. A questo appartengono, secondo l’analisi dell'autore, le bagnarote che hanno “inclinazione al negozio e all’industria e ogni sorta di speculazione… carichi di ceste colme fino all’orlo non solo di prodotti ortofrutticoli del territorio ma anche di pesci, stoviglie, tessuti e altri diversi oggetti, non solo con vendita in contanti ma con tanti altri sistemi a loro più convenienti…".

Esperte in commercio e baratto

In realtà quelle donne intraprendenti avevano fama di grande attitudine nel commercio ma anche nel baratto, consistente essenzialmente nello scambio di quelle merci che in Calabria si trovavano difficilmente o erano troppo care. Come nel caso del sale che, mentre in Sicilia non costava quasi niente, nel resto del continente era gravato dalla tassa dei monopoli di stato. Questo comportava un continuo andirivieni da una costa all’altra a bordo dei ferryboat. Molte di loro erano assai giovani: occhi di fuoco e tratti del volto marcati come immaginiamo le protagoniste delle tragedie greche, Il viaggiatore tedesco Richard Cher Krapfen racconta di essere stato letteralmente stregato dalla bellezza delle donne di Bagnara per i loro “lineamenti regolari, combinati con una carnagione chiara mentre l'espressione del volto evidenzia una squisita asimmetria, unita alla grazia delle forme”.
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Una di queste donne incredibili con il tipico abito di vaga memoria 'zingaresca'

In effetti impressiona il loro portamento altero e nel contempo sorprendono i ventri in apparenza enormi. La verità è che sotto le ampie gonne nascondevano, in tasche segrete, pacchi e pacchi di sale. Tutti ovviamente lo sapevano, ma alle bagnarote si perdonava volentieri perché se ne riconoscevano gli immensi sacrifici. Erano ‘femminote’ con gli attributi, disposte a dare ogni stilla della propria energia pur di portare il pane a casa, pur di sfamare i propri figli. Spesso, per lunghi mesi, i mariti erano fuori a pescare in mare aperto. Di loro non si sapeva nulla, neppure se sarebbero ritornati. Ed era proprio in quei frangenti che era necessario rendere meno strazianti e sterili quelle attese, e allora le bagnarote si facevano carico morale e fisico di ogni cosa. Erano in tanti a immaginarle 'piene di soldi', ma non era affatto così perché i guadagni venivano equamente ripartiti a beneficio dell’intera comunità e in soccorso di chi in quel momento ne avesse più bisogno. Di fatto erano persone dai mezzi alquanto limitati e assai spesso con una nidiata di figli da accudire. Era noto che toccare una di loro sarebbe stato come prendersela con tutte e che avere quelle furie scatenate contro non sarebbe stato quindi conveniente per nessuno. Perciò godevano del rispetto generale e i loro incredibili sforzi non potevano passare inosservati anche da chi guardava con sospetto tutti i presunti segni di una eccessiva indipendenza.

Bagnara, la piccola città delle donne

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Le bagnarote in stazione con i loro cesti sulle teste

Bagnara Calabra, era e resta la piccola città delle donne, a dispetto del maschilismo che imperava altrove, appena usciti da quella enclave. Per effetto di un patto tacito ma duro come granito, le femmine di Bagnara detengono ancora con oggi, con tutto il loro orgoglio, il loro primato sugli uomini che consiste soprattutto nell’esigere incondizionato rispetto. Non dimentichiamo che, in epoca fascista, come la storia ci tramanda, ebbero la meglio quando si ribellarono a un'ordinanza che imponeva loro di indossare le scarpe all’interno delle stazioni ferroviarie, contro la loro abitudine di andare scalze. Mentre la leggenda vuole, ma forse è invece pura verità, che solo grazie alla straordinaria forza fisica di una ‘femminota’ fu sistemato nella casa di un musicista un pianoforte che tre uomini non erano neppure riusciti a muovere. Donne scontrose, selvatiche e non facili da avvicinare, eppure dal cuore d’oro, sempre vicine a chi soffre e ha bisogno di aiuto, perché conoscono assai bene il sapore della sofferenza e del sacrificio. Donne speciali che chi ha qualche primavera sulle spalle ricorda molto bene, sulla Freccia del Sud, quel treno della speranza che sfornava emigranti al nord e faceva la spola con la Sicilia. E poi sulle navi traghetto già intente nei loro traffici, a meravigliare con i loro stupefacenti tagli di stoffa le ragazze dell’epoca, come i mercanti siriaci di un tempo o i moderni vu cumprà. Sempre sorridenti, ritratto stesso della buona salute, dal portamento fiero da regina. Queste erano quelle femmine speciali conosciute con il nome di bagnarote, dall’ impronta incancellabile: lo stesso segno distintivo che ha fatto un giorno gridare Mimì Berte con tutto l’impeto della sua voce: “Sono Bagnarota, e me ne vanto.”