Trent’anni di clausura, le grate di suor Martina “Vanno accolte con gioia, ci permettono l’infinito”

Da studentessa di giurisprudenza alla chiamata al convento delle Clarisse La monaca racconta la sua scelta: “La mia vita è pienamente realizzata

di CHIARA OTTAVIANI -
16 ottobre 2024
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Suor Martina, in convento dall’età di 21 anni

La clausura, una prigione o un infinito? Una vita dedicata alla preghiera, rinchiusa tra le mura di un monastero lontana dalle seducenti corruzioni del mondo esterno, e dedita in tutto e per tutto alla preghiera, può davvero regalare la libertà?

Già di per sé Libertà è una parola che stride se accostata al voto di clausura, che per definizione rappresenta la rinuncia alla propria vita in funzione di Dio. A trovare le risposte a questi interrogativi è stata Suor Martina, una suora di clausura che attraverso le grate racconta il senso della rinuncia, del limite e della scelta. E come farlo se non partendo dalla propria esperienza. Entrata nel convento delle Clarisse giovanissima ha trovato, grazie a questo, il senso della propria vita. Ha scoperto, nella solitudine dell’isolamento, la vicinanza con qualsiasi uomo sulla terra. Una storia fatta di contraddizioni difficili da comprendere, di consapevolezza, di verità e di accettazione. 

L’intervista

“Avevo 21 anni quando ho deciso di entrare in monastero, ho sentito nascere in me un profondo desiderio di qualcosa di grande, giunto in maniera inattesa, che si è poi rivelato l’amore che ha stravolto la mia esistenza”.

Suor Martina è una suora di clausura nel convento delle Clarisse a Sesto Fiorentino, ormai da 31 anni. Prima di ricevere la chiamata viveva la classica vita di una ragazza di 21 anni, ricca di sogni, voglia di un futuro normale, di viaggiare, di innamorarsi, realizzarsi nel lavoro ed avere una famiglia, poi qualcosa è cambiato.

Come nasce la sua vocazione?

“Arriva all’improvviso. Prima di entrare in convento studiavo giurisprudenza e mi piaceva molto, sarei voluta diventare avvocato. Mi innamoravo continuamente, uscivo spesso e avevo moltissimi amici. Poi però, è come se avessi avessi aperto gli occhi e mi fossi resa conto che nulla aveva realmente senso. Ho incontrato qualcuno che ha esercitato un’attrattiva che mi supera per fascino non per forza, e alla quale non ho potuto rinunciare. È stato come un innamoramento folle”.

Aveva delle domande alle quali cercava risposta?

“Non direi proprio così, era più la sensazione che nulla mi sembrava abbastanza nella mia vita, non cercavo risposte anche perché sapevo che non le avrei trovate, le attese superficiali le abbiamo tutti, ma non è per soddisfare queste che si entra in monastero, ci si entra perché ci si rende conto che la nostra vita altrimenti non avrebbe senso”.

Come si spiega una scelta del genere ai familiari?

“Non si spiega, si può raccontare ma non si comprende. Una scelta come quella della missionaria è già più comprensibile ma la mia no, è ragionevole ma non razionale, forse neanche io posso capirla fino in fondo. I miei non l’hanno accolta e hanno sofferto molto, ci sono voluti tanti anni per rasserenarsi e l’hanno fatto solo quando hanno visto che ero sempre la stessa persona e che la mia vita era sempre più piena. Dopo un po’ di anni hanno iniziato a venire a trovarmi e percepire che c’è una vera vita dietro queste grate”.

Come mai ha scelto proprio la clausura?

“Non ho scelto io, la chiamata viene dall’alto e tu la scopri come una sorpresa per la vita, mi ha scelto lui, senti di esser fatto per quello e solo quello ti rende viva, è una scelta che ho scoperto piano piano, all’inizio senti una voce che ti affascina e cominci a seguirla, poi scopri il tuo scopo nel mondo”.

Sente mai la mancanza del mondo esterno?

“No, non sarei qui altrimenti. Io amavo lavorare con i bambini e questo mi ha tentato per molto tempo, ma era troppo poco. E così tutto il resto, nulla era mai abbastanza. Da quando ho scelto di entrare in convento ho avuto la piena realizzazione della mia vita e solo qua dentro posso raggiungere i bisogni di ogni uomo sulla terra, anche l’ultimo uomo più dimenticato e disperato, in quell’angoscia può entrare solo Cristo ed io e con questa sensazione non c’è nulla che possa competere”.

Qual è una giornata tipo all’interno del convento?

“Qui alle Clarisse siamo undici sorelle, ci svegliamo molto presto, preghiamo cantando in coro sette volte al giorno ed il resto del tempo lavoriamo con l’artigianato, facciamo faccende domestiche, accudiamo le sorelle anziane e facciamo lavori di sartoria su commissione. Io leggo l’Ansa ogni mattina per tenermi informata, mentre nei momenti liberi giochiamo a pallavolo, stiamo nell’orto, leggiamo. Una vita normale insomma”.

C’è una crisi nei giovani secondo lei?

“I giovani hanno voglia di un futuro che viene loro negato. Non parlerei di crisi quanto più di mancanza di fede, almeno apparente, in chiunque. Noi adulti abbiamo circondato i giovani di una realtà priva di riferimenti sicuri, di speranze, non sanno cosa sia una vita bella nonostante la stiano vivendo. L’idea che ci sia sempre una seconda possibilità, che si possa scegliere il piano B e se non funziona addirittura quello C è un’illusione, un pensiero fallace e nocivo. La vita è una e bisogna saper scegliere, solo così si può vivere pienamente, consapevoli che la scelta si porti sempre con sé una rinuncia. I giovani vivono a pelo d’acqua convinti che se qualcosa non va si possa sempre scappare, ma questo non ci consente la felicità”.

Il limite fisico della struttura è mai stato anche un limite mentale?

"Il limite fisico della grata esiste sia nel monastero che fuori, solo che qui è più visibile, ma in realtà vive dentro ognuno di noi. L’importante è non negarlo perché da questo nascono i deliri che vediamo ogni giorno, di onnipotenza, di possesso sugli altri, di non accettazione delle sconfitte, dei propri difetti, del lutto. La clausura è una cosa umana ed ha varie forme, più la accogliamo con gioia e più viviamo liberi consapevoli di cosa siamo, non è un limite mentale, fisico o affettivo, anzi le grate ci permettono un infinito”.