Diritti umani in Iran: nel rapporto di Amnesty International il ritratto della tragedia

di DOMENICO GUARINO -
2 maggio 2022
RAISI-IRAN

RAISI-IRAN

Uso massivo pena capitale, torture per estorcere confessioni, intimidazioni agli oppositori politici ma, quest’anno, anche l’ascesa alla presidenza di Ebrahim Raisi, ovvero uno dei funzionari ritenuti responsabili del massacro di migliaia di prigionieri politici nel 1988, in qualità di membro della cosiddetta “Commissione della morte”. Nel rapporto sui diritti umani nel 2021 pubblicato di recente. Amnesty International dedica ben 4 pagine alla teocrazia islamica che governa l’Iran. Ed è proprio la questione Raisi a tenere banco.

La storia della "Commissione della morte"

30.000 oppositori politici

30.000 oppositori politici uccisi in Iran (1988)

Nell’estate del 1988, oltre 30mila prigionieri politici furono mandati al patibolo. Per la maggior parte erano membri e sostenitori dell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK). L’allora leader supremo del regime iraniano, Ruhollah Khomeini, vide il MEK e la sua interpretazione progressista dell’Islam come una seria minaccia al suo regno e alla sua ideologia. Quindi, decise di eliminare tutti coloro che non erano disposti a sottomettersi. L’auspicio, in realtà, era che quelle decine di migliaia di giovani si arrendessero e tornassero alle loro famiglie con il messaggio che il dissenso contro Khomeini era inutile. Invece, quegli uomini e quelle donne si opposero con fermezza e scelsero di morire per un’idea che sarebbe sopravvissuta per ispirare amore, uguaglianza e prosperità per le generazioni a venire.
Elezioni presidenziali in Iran

Il presidente dell'Iran Raisi con il predecessore Rohani

Non a caso l’erede designato e successivamente licenziato da Khomeini, il defunto ayatollah Hossein Ali Montazeri, il 14 agosto 1988, disse ai membri della Commissione della morte: “I Mojahedin del Popolo non sono individui; sono un’ideologia e una visione del mondo. Hanno una logica. Ci vuole la logica giusta per rispondere alla logica sbagliata. Non puoi correggere il torto con gli omicidi; lo diffondi soltanto”.  

Il presidente Raisi

Il 19 giugno del 2021, con 17,9 milioni di voti, Raisi è diventato presidente della Repubblica islamica, staccando di oltre 14 milioni di volti il secondo classificato, l’excomandante dei Guardiani della rivoluzione, Mohsen Rezaei, che ha raccolto con 3,4 milioni. L'ex governatore della Banca centrale, considerato l'unico candidato riformista, Abdolnasser Hemmati, ha totalizzato 2,4 milioni di preferenze, mentre il deputato Amir-Hossein Ghazizadeh poco meno di un milione. L'affluenza alle urne è stata del 48,8%, ovvero l'affluenza più bassa registrata per un'elezione presidenziale dopo quella del 50% con cui Akbar Hashemi Rafsanjani era stato eletto presidente per un secondo mandato nel 1993.
RAISI-IRAN-PRESIDENTE

Il presidente della repubblica islamica dell'Iran Ebrahim Raisi

Nato nel 1960 a Mashad, la seconda città più importante del Paese, Raisi è stato studente di teologia e giurisprudenza islamica della guida spirituale Ali Khamenei. Appena ventenne - sulla scia degli eventi della rivoluzione - venne nominato procuratore generale di Karaj, uno dei sobborghi di Teheran. Procuratore capo della capitale dal 1989 al 1994, vice capo della magistratura dal 2004, poi procuratore generale, nel 2016 Raisi venne messo da Khamenei a capo della Astan Quds Razavi, una delle più grandi fondazioni religiose del Paese che sovrintende al santuario dell'Imam Reza di Mashad. Tre anni dopo divenne capo della magistratura. Fa parte dell'Assemblea degli Esperti, l'organo che elegge la Guida Suprema. Secondo Agnes Callamard, segretario generale di Amnesty “che Ebrahim Raisi sia salito alla presidenza invece di essere indagato per i crimini contro l’umanità di omicidio, sparizione forzata e tortura, è un cupo promemoria del fatto che l’impunità regna sovrana in Iran”.

Giornalisti in Iran seguono le elezioni politiche

Il rapporto di Amnesty International

  Il rapporto annuale di Amnesty evidenzia ancora una volta la necessità di chiamare il regime iraniano a rispondere delle sue violazioni dei diritti umani, chiedendo che si utilizzi il principio della “giurisdizione universale” per punire criminali come Raisi. Raisi da parte sua ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nel massacro. Mentre ha rivendicato la repressione dell'Onda Verde che nel 2009 protestarono contro la rielezione di Ahmadinejad. "A coloro che parlano di 'compassione islamica e perdono', noi rispondiamo: continueremo ad affrontare i rivoltosi fino alla fine e sradicheremo questa sedizione", disse allora.

La repressione delle proteste nel 2019

Il rapporto di Amnesty ha anche evidenziato la repressione mortale del regime iraniano nei confronti dei manifestanti durante le principali proteste in Iran nel 2019 e l’effettiva portata di questo atroce massacro. “Le autorità hanno continuato a coprire il numero delle persone uccise durante le proteste del novembre 2019, hanno respinto le denunce delle famiglie delle vittime e hanno elogiato le forze di sicurezza per la repressione. Durante tutto l’anno, le forze di sicurezza hanno disperso pacifici raduni di parenti in cerca di giustizia e li hanno picchiati e detenuti temporaneamente” aggiunge il rapporto.