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Home » Politica » “Io sono io. Essere se stessi non è un’idea, è un modo di vivere”. L’infanzia e l’adolescenza transgender

“Io sono io. Essere se stessi non è un’idea, è un modo di vivere”. L’infanzia e l’adolescenza transgender

Greta ha 15 anni e una famiglia che la comprese, quando annunciò di rifiutare il corpo maschile in cui era nata. Tiziano ha 46 anni, era nato bimba e non fu accolto dai suoi. Da adulto si è operato per la riassegnazione di genere. A Firenze 25 adolescenti in osservazione nel primo centro specializzato sorto in Italia. Prima regola: mai cercare di riallineare la persona al sesso biologico

Serena Valecchi
17 Maggio 2021
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“Io sono io”. Greta non ha dubbi, non li ha mai avuti. Oggi ha 15 anni ma si è sempre sentita, ed è sempre stata, solo e soltanto Greta. Quindici anni fa questa ragazzina transgender dagli occhi profondi incorniciati da capelli biondissimi, nasce in un corpo maschile ma sin dalla primissima infanzia sente che quei vestitini blu che la società vorrebbe imporle non la rappresentano, non accarezzano le corde della sua anima. “Io sono una femmina”, ripete già dall’infanzia, e fino allo sfinimento, a mamma Cinzia e all’adorata nonna che però non la prendono sul serio. “Tutto e tutti mi impedivano di essere me stessa”, racconta Greta nel coraggioso libro scritto da mamma Cinzia, “Io sono io”. Alle scuole elementari la sofferenza di Greta esplode: “Mi sono resa conto che c’era qualcosa che mi faceva soffrire. Pensavo che tutti fossero cattivi con me, soprattutto la mamma che mi comprava abiti da maschio facendomi sentire a disagio”.

Un malessere tanto profondo che goccia dopo goccia scava una voragine nell’anima delicata della piccola Greta. “I miei primi ricordi legati alla varianza di genere – ricorda – risalgono a quando io e mio fratello (gemello, ndr) andavamo a comprare i vestiti. Ne vedevo di meravigliosi, naturalmente da femmina. E dato che a mio fratello compravano ciò che a lui piaceva e a me no, pensavo che i miei genitori avessero delle preferenze. Una bella occasione come lo shopping per me diventava una sofferenza: desideravo abiti rosa e luccicanti e invece mi toccavano felpe, camicie e pantaloni maschili. Provavo a fingere felicità, ma inevitabilmente dentro di me ero molto triste. Lo so, avrei dovuto dirlo ai miei genitori che quelli non erano i miei gusti…ma avrebbero capito?”.

 

La doccia al buio per non vedersi

Cinzia e Luigi, i genitori di Greta, non solo lo hanno capito ma hanno accolto Greta lasciando andar via quel bambino che detestava il grembiulino blu e che nell’età dello sviluppo odiava così tanto il suo corpo da fare la doccia al buio per non vederlo. Il coming out di Greta in famiglia avviene quando alla vista del fratello nudo sbotta: “Basta, mi dà fastidio vedere il mio nudo, figurati il tuo”. Il papà ora ha chiaro ciò che dentro di sé ha sempre saputo. “Senza esitazione – racconta Luigi – mi ha detto che si era sempre sentita una femmina e che non ce la faceva più a fingere di essere un maschio”. Per Cinzia, Luigi, Greta e Paolo (il fratello gemello, ndr) inizia un viaggio verso l’amore che accoglie e che tutto vuole comprendere.

 

A scuola è invisibile

“Grazie a mia figlia ho intrapreso un cammino meraviglioso – spiega Cinzia – che mi ha arricchito e mi ha reso una persona migliore. Ho buttato giù tutti quei limiti che soffocano quella libertà interiore che tutti noi abbiamo ma che spesso reprimiamo per soggiacere a quelle sovrastrutture che la società impone”. Ma se le mura di casa sono un porto sicuro, quelle della scuola, dello sport, e più in generale della società, lo sono sempre meno. Alle scuole medie Greta è invisibile. Isolata dai compagni e schernita. “Il momento della ricreazione per lei era il più difficile – racconta Cinzia – Si chiudeva in bagno per evitare gli studenti”.

 

La mamma guerriera

Cinzia è una mamma guerriera e non si arrende. Durante gli anni delle medie tenta di far conoscere alla scuola la dimensione di Greta, il suo sentire. Ma non trova alcun tipo di interesse. “Io al loro posto avrei quantomeno cercato di informarmi – spiega Cinzia – ma mi sono imbattuta solo contro un muro di indifferenza. Credo sia stata un’occasione di arricchimento persa. Adesso mia figlia frequenta il liceo artistico e le cose vanno un po’ meglio. L’ambiente, rispetto a quello delle medie, è migliore, sicuramente più aperto. Quel che è certo è che una mamma da sola non può cambiare la scuola italiana”.  In Spagna, e in altri Paesi, queste realtà vengano affrontate diversamente sul piano legislativo. Nel Paese iberico i bambini e gli adolescenti trans sono incoraggiati anche dalla legge a seguire anche a scuola il genere a cui sentono di appartenere. In Italia invece la ‘transizione sociale’ è un percorso ancora molto travagliato. Le difficoltà che Greta ha vissuto e deve affrontare quotidianamente per essere se stessa hanno reso Cinzia una combattente. “Lotto con forza per un domani migliore. Non solo per Greta ma anche per tutte le piccole e i piccoli Greta che hanno intrapreso un lungo viaggio, tra pregiudizi e molto spesso mancanza di diritti, per cercare la verità di sé”.

 

Il centro per l’identità di genere

Di infanzia transgender in Italia si parla ancora poco. I casi registrati in ambienti clinici sono sottostimati. Restano invisibili le esperienze di quelle famiglie che non cercano aiuto per la vergogna e il timore del giudizio degli altri. L’ospedale di Careggi a Firenze è stato il primo in Italia a istituire un Centro di coordinamento regionale che si occupa di identità di genere (Crig). Dal 2013 ha preso in carico circo 80 minori e attualmente 25 adolescenti sono in valutazione per accedere al trattamento con i bloccanti. Ma quando è il caso di rivolgersi a un centro specialistico? “La presa in carico della varianza di genere in infanzia a Careggi – spiegano la psicoterapeuta del Crig Jiska Ristori e la dottoressa Alessandra Fisher – prevede percorsi esclusivamente di tipo psicologico che sono volti al chiarire il significato dei comportamenti e vissuti transgender che un bambino o una bambina possono manifestare anche precocemente. Non mancano consulenze specialistiche rivolte alle difficoltà in cui possono trovarsi genitori e familiari.

 

Mai allineare al sesso biologico

Fondamentale – proseguono i medici – è evitare qualsiasi intervento volto alla modifica dell’identità di genere di un bambino con l’obiettivo di allinearlo al sesso biologico. Bambini che presentano uno sviluppo di identità di genere atipico devono essere accompagnati e supportati nel loro percorso evolutivo lasciando aperti tutti i possibili esiti di sviluppo senza indirizzarli in alcuna direzione. Compito dell’esperto è accompagnare i genitori in questo percorso, aiutandoli anche a tollerare l’incertezza degli esiti”.

 

Tiziano, nato in un corpo di donna

Ci sono anche storie che raccontano di un malessere profondo mai ascoltato, né accolto dalla famiglia. Lo sa bene Tiziano, nato 46 anni fa in un corpo femminile. Per Tiziano quelle forme erano una gabbia che giorno dopo giorno si faceva sempre più stretta. Tiziano da bambino impara a recitare inconsapevolmente un copione. “Dovevo accontentare mamma e babbo”. “Da piccola, ogni notte mi addormentavo con la speranza di svegliarmi con un pisellino”.

L’inferno vero e proprio arriva con l’adolescenza, quando il suo corpo prende sempre più sembianze femminili. “Guardarmi allo specchio mi apriva ferite enormi. Quanto stavo male a vedere il seno”. Tiziano conosce l’orrore dell’anoressia che “diventa l’unico modo per bloccare lo sviluppo di quelle forme tanto odiate”. Poi il coraggio di intraprendere un percorso che lo porterà alla libertà e al ritrovamento del suo vero io. Un percorso fatto di psicologi, endocrinologi che daranno il via all’utilizzo di ormoni fino ad arrivare alla chirurgia per la riassegnazione di genere. E all’autorizzazione del tribunale che modifica la sua carta di identità. Tiziano ora vive lontano dalla famiglia e da sei anni è Tiziano anche sui documenti, e ora può dire: “Finalmente esisto”. Come Greta: “Non chiamatemi in un altro modo. Io sono Greta. Non è un’idea, è un modo d’essere. Punto”.

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  • "È passato un mese dall’incidente, e ogni giorno, penso costantemente a come le cose possano cambiare rapidamente e drasticamente, in un batter d’occhio, e in modi che non avrei mai potuto immaginare.”

Il protagonista di questa vicenda è Leonardo Lotto, studente aostano, che la mattina del 23 febbraio è rimasto vittima di un incidente in mare. Il ragazzo era a Melbourne con un gruppo di amici quando dopo un tuffo tra le onde sul bagnasciuga ha picchiato violentemente la testa contro il fondale di sabbia. In quel momento è iniziato l’incubo: prima gli amici lo hanno aiutato a uscire dall’acqua, poi la corsa disperata in ospedale. Dopo l’intervento d’urgenza, è arrivato il duro responso: “Frattura delle vertebre C3 e C5, spina dorsale danneggiata". Leonardo Lotto è paralizzato dalla testa in giù e non potrà più camminare.

"Continuerò a lottare e farò tutto il necessario. A volte cadrò, ma alla fine mi rialzerò, vivendo sempre giorno per giorno, superando i momenti più bui”.

Dopo il ricovero all’Alfred Hospital di Melbourne, in Australia, “le sue condizioni sono stabili, e ora è pronto per iniziare il suo lungo percorso riabilitativo a Milano con tutte le energie e la positività che hanno sempre caratterizzato la sua personalità”. E gli amici, proprio per sostenere le cure, hanno organizzato una raccolta fondi online.

✍ Barbara Berti 

#lucenews #lucelanazione #australia #leonardolotto
  • È quanto emerge da uno studio su 1.700 ragazzi toscani realizzato dal Meyer center for health and happiness, di cui è responsabile Manila Bonciani, insieme all’Università di Firenze, e presentato in occasione della Giornata internazionale della felicità nel corso di un evento organizzato al Meyer health campus di Firenze.

Cosa gli adolescenti pensano della felicità? Come la definiscono? Cosa li rende felici? Queste alcune domande dello studio. Dai risultati emerge che i ragazzi spesso non riescono a dare neanche una definizione della felicità. Tuttavia ne sottolineano la rilevanza e la transitorietà. 

Dalla ricerca emerge così che la manifestazione della felicità si declina in sei dimensioni:
➡ La più rilevante che emerge è quella dell’interesse sociale, data dall’importanza che viene attribuita dai ragazzi alle relazioni interpersonali.
➡ La seconda è l’espressione della soddisfazione verso la propria vita, del fare le cose che piacciono loro.
➡ La terza è vivere emozioni positive, rilevanza che si riscontra anche nelle parole dei ragazzi che esprimono in maniera importante l’idea di essere felici quando sono senza preoccupazioni o pressioni che avvertono frequentemente, come anche quella scolastica.
➡ La quarta è il senso di autorealizzazione insieme a quello di padronanza delle varie situazioni che si trovano ad affrontare.
➡ Infine in misura minore la loro felicità è legata all’ottimismo, cui gli stessi adolescenti non attribuiscono grande rilevanza, sebbene rappresenti la sesta dimensione della felicità identificata.

Gli adolescenti che risultano più felici si caratterizzano per essere più empatici, esprimere un atteggiamento cooperativo, avere maggiore autoconsapevolezza, saper gestire meglio le emozioni e risolvere le situazioni problematiche, avere una buona immagine di sé. 

Ancora i maschi risultano essere più felici delle femmine a eccezione della dimensione relazionale e sociale della felicità che non si differenzia in maniera significativa tra i due gruppi, e le fasce di età più piccole, fino ai 15 anni, esprimono maggiormente di essere felici rispetto ai ragazzi di 16-17 o maggiorenni.

#felicità #ospedalemeyer #adolescenza
“Io sono io”. Greta non ha dubbi, non li ha mai avuti. Oggi ha 15 anni ma si è sempre sentita, ed è sempre stata, solo e soltanto Greta. Quindici anni fa questa ragazzina transgender dagli occhi profondi incorniciati da capelli biondissimi, nasce in un corpo maschile ma sin dalla primissima infanzia sente che quei vestitini blu che la società vorrebbe imporle non la rappresentano, non accarezzano le corde della sua anima. “Io sono una femmina”, ripete già dall’infanzia, e fino allo sfinimento, a mamma Cinzia e all’adorata nonna che però non la prendono sul serio. “Tutto e tutti mi impedivano di essere me stessa”, racconta Greta nel coraggioso libro scritto da mamma Cinzia, “Io sono io”. Alle scuole elementari la sofferenza di Greta esplode: “Mi sono resa conto che c’era qualcosa che mi faceva soffrire. Pensavo che tutti fossero cattivi con me, soprattutto la mamma che mi comprava abiti da maschio facendomi sentire a disagio”. Un malessere tanto profondo che goccia dopo goccia scava una voragine nell’anima delicata della piccola Greta. “I miei primi ricordi legati alla varianza di genere – ricorda - risalgono a quando io e mio fratello (gemello, ndr) andavamo a comprare i vestiti. Ne vedevo di meravigliosi, naturalmente da femmina. E dato che a mio fratello compravano ciò che a lui piaceva e a me no, pensavo che i miei genitori avessero delle preferenze. Una bella occasione come lo shopping per me diventava una sofferenza: desideravo abiti rosa e luccicanti e invece mi toccavano felpe, camicie e pantaloni maschili. Provavo a fingere felicità, ma inevitabilmente dentro di me ero molto triste. Lo so, avrei dovuto dirlo ai miei genitori che quelli non erano i miei gusti…ma avrebbero capito?”.  

La doccia al buio per non vedersi

Cinzia e Luigi, i genitori di Greta, non solo lo hanno capito ma hanno accolto Greta lasciando andar via quel bambino che detestava il grembiulino blu e che nell’età dello sviluppo odiava così tanto il suo corpo da fare la doccia al buio per non vederlo. Il coming out di Greta in famiglia avviene quando alla vista del fratello nudo sbotta: “Basta, mi dà fastidio vedere il mio nudo, figurati il tuo”. Il papà ora ha chiaro ciò che dentro di sé ha sempre saputo. “Senza esitazione – racconta Luigi - mi ha detto che si era sempre sentita una femmina e che non ce la faceva più a fingere di essere un maschio”. Per Cinzia, Luigi, Greta e Paolo (il fratello gemello, ndr) inizia un viaggio verso l’amore che accoglie e che tutto vuole comprendere.  

A scuola è invisibile

“Grazie a mia figlia ho intrapreso un cammino meraviglioso – spiega Cinzia – che mi ha arricchito e mi ha reso una persona migliore. Ho buttato giù tutti quei limiti che soffocano quella libertà interiore che tutti noi abbiamo ma che spesso reprimiamo per soggiacere a quelle sovrastrutture che la società impone”. Ma se le mura di casa sono un porto sicuro, quelle della scuola, dello sport, e più in generale della società, lo sono sempre meno. Alle scuole medie Greta è invisibile. Isolata dai compagni e schernita. “Il momento della ricreazione per lei era il più difficile - racconta Cinzia - Si chiudeva in bagno per evitare gli studenti”.  

La mamma guerriera

Cinzia è una mamma guerriera e non si arrende. Durante gli anni delle medie tenta di far conoscere alla scuola la dimensione di Greta, il suo sentire. Ma non trova alcun tipo di interesse. “Io al loro posto avrei quantomeno cercato di informarmi – spiega Cinzia - ma mi sono imbattuta solo contro un muro di indifferenza. Credo sia stata un’occasione di arricchimento persa. Adesso mia figlia frequenta il liceo artistico e le cose vanno un po’ meglio. L’ambiente, rispetto a quello delle medie, è migliore, sicuramente più aperto. Quel che è certo è che una mamma da sola non può cambiare la scuola italiana”.  In Spagna, e in altri Paesi, queste realtà vengano affrontate diversamente sul piano legislativo. Nel Paese iberico i bambini e gli adolescenti trans sono incoraggiati anche dalla legge a seguire anche a scuola il genere a cui sentono di appartenere. In Italia invece la ‘transizione sociale’ è un percorso ancora molto travagliato. Le difficoltà che Greta ha vissuto e deve affrontare quotidianamente per essere se stessa hanno reso Cinzia una combattente. “Lotto con forza per un domani migliore. Non solo per Greta ma anche per tutte le piccole e i piccoli Greta che hanno intrapreso un lungo viaggio, tra pregiudizi e molto spesso mancanza di diritti, per cercare la verità di sé”.  

Il centro per l'identità di genere

Di infanzia transgender in Italia si parla ancora poco. I casi registrati in ambienti clinici sono sottostimati. Restano invisibili le esperienze di quelle famiglie che non cercano aiuto per la vergogna e il timore del giudizio degli altri. L’ospedale di Careggi a Firenze è stato il primo in Italia a istituire un Centro di coordinamento regionale che si occupa di identità di genere (Crig). Dal 2013 ha preso in carico circo 80 minori e attualmente 25 adolescenti sono in valutazione per accedere al trattamento con i bloccanti. Ma quando è il caso di rivolgersi a un centro specialistico? “La presa in carico della varianza di genere in infanzia a Careggi – spiegano la psicoterapeuta del Crig Jiska Ristori e la dottoressa Alessandra Fisher - prevede percorsi esclusivamente di tipo psicologico che sono volti al chiarire il significato dei comportamenti e vissuti transgender che un bambino o una bambina possono manifestare anche precocemente. Non mancano consulenze specialistiche rivolte alle difficoltà in cui possono trovarsi genitori e familiari.  

Mai allineare al sesso biologico

Fondamentale - proseguono i medici - è evitare qualsiasi intervento volto alla modifica dell’identità di genere di un bambino con l’obiettivo di allinearlo al sesso biologico. Bambini che presentano uno sviluppo di identità di genere atipico devono essere accompagnati e supportati nel loro percorso evolutivo lasciando aperti tutti i possibili esiti di sviluppo senza indirizzarli in alcuna direzione. Compito dell’esperto è accompagnare i genitori in questo percorso, aiutandoli anche a tollerare l’incertezza degli esiti”.  

Tiziano, nato in un corpo di donna

Ci sono anche storie che raccontano di un malessere profondo mai ascoltato, né accolto dalla famiglia. Lo sa bene Tiziano, nato 46 anni fa in un corpo femminile. Per Tiziano quelle forme erano una gabbia che giorno dopo giorno si faceva sempre più stretta. Tiziano da bambino impara a recitare inconsapevolmente un copione. “Dovevo accontentare mamma e babbo”. “Da piccola, ogni notte mi addormentavo con la speranza di svegliarmi con un pisellino”. L’inferno vero e proprio arriva con l’adolescenza, quando il suo corpo prende sempre più sembianze femminili. “Guardarmi allo specchio mi apriva ferite enormi. Quanto stavo male a vedere il seno”. Tiziano conosce l’orrore dell’anoressia che “diventa l’unico modo per bloccare lo sviluppo di quelle forme tanto odiate”. Poi il coraggio di intraprendere un percorso che lo porterà alla libertà e al ritrovamento del suo vero io. Un percorso fatto di psicologi, endocrinologi che daranno il via all’utilizzo di ormoni fino ad arrivare alla chirurgia per la riassegnazione di genere. E all’autorizzazione del tribunale che modifica la sua carta di identità. Tiziano ora vive lontano dalla famiglia e da sei anni è Tiziano anche sui documenti, e ora può dire: “Finalmente esisto”. Come Greta: “Non chiamatemi in un altro modo. Io sono Greta. Non è un’idea, è un modo d’essere. Punto”.
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