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Home » Politica » “Una donna al Quirinale” ma chi sono le candidate? I nomi per rompere un tetto di cristallo ancora intatto

“Una donna al Quirinale” ma chi sono le candidate? I nomi per rompere un tetto di cristallo ancora intatto

Tra la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Letizia Moratti che farebbero felici i partiti di centrodestra, al centro-sinistra che potrebbe puntare sulle candidate Rosy Bindi, Anna Finocchiaro e Roberta Pinotti, spunta anche il nome di qualche "tecnica" per la prima ascesa al Colle di una donna nella storia d'Italia

Ettore Maria Colombo
24 Gennaio 2022
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“In un paese normale sarebbe una cosa civile”

Certo, sarebbe bello. Certo, sarebbe giusto. Certo, sarebbe un segnale da Paese civile a un Paese ‘incivile’ che le donne le uccide, violenta, perseguita, stalkerizza, o –assai più banalmente –non le valorizza, le paga meno degli uomini, le discrimina, le tiene in un cantuccio, a ‘badare’ alla famiglia, presunti ‘angeli del focolare’ (sic). Peccato che non succederà neppure questa volta. A volere, e chiedere, di eleggere una donna al Quirinale – mai c’è stato un Capo dello Stato donna, ma, se è per questo, mai una donna è diventata neppure presidente del Consiglio, nella storia dell’Italia repubblicana, figurarsi prima – ci sono anche i ragazzi del sito www.gay.it che ci dicono e scrivono che “una donna Presidente” sarebbe “una cosa giusta” perché, appunto, “in un Paese normale non dovrebbero esserci distinzioni di genere ma l’Italia è tutt’altro che normale”.

Dodici presidenti della Repubblica, tutti uomini. Una lunga storia di presidenziali al maschile…Già. Purtroppo, parlano i numeri, la fredda statistica. Dal I gennaio del 1948 ad oggi l’Italia repubblicana ha avuto ben dodici presidenti della Repubblica. Da Enrico De Nicola, prima Capo provvisorio dello Stato, poi presidente effettivo per 5 mesi appena, a Sergio Mattarella, il cui incarico si completerà il 3 febbraio 2022. Dodici presidenti della Repubblica, e tutti uomini. A dirla tutta, lungo l’intera Prima Repubblica, non si parlò mai, sotto l’elezione del Presidente, della possibilità che una donna potesse ambirvi. Insomma, si può dire che se mai è esistita una ‘Repubblica’ sessista e anti-femminista è stata di certo la Prima, quella che ha caratterizzato la storia del nostro Paese dal 1948 fino al 1992. E così, la questione delle donne al Colle, non si pose più per diversi decenni nonostante la stagione del femminismo che, insieme a quella della contestazione, fece irruzione nell’Italia degli anni Settanta, avesse di molto cambiato, in meglio, i costumi sociali (e politici) del Paese. Certo, la prima presidente della Camera donna, oltreché comunista, Nilde Jotti, fece epoca, quando venne eletta sullo scranno più alto di Montecitorio, nel 1983, riconfermata nel 1987, oltre che quando il presidente della Repubblica di allora, Francesco Cossiga, affidò proprio a lei, nella crisi politica del 1984, il primo incarico, seppur ‘esplorativo’, mai affidato a una donna. Ma la parentesi Jotti sembrava si fosse richiusa subito dopo la fine della sua esperienza. Ecco, c’era ancora Cossiga, allora. Poi arrivarono Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. È cambiato il mondo e siamo ancora agli auspici. Eppure, ogni sette anni, e anche in queste ultime settimane, il toto-nomi ha coinvolto donne aspiranti presidenti, rilanciando la questione del genere come scelta di campo, in ambito politico. Ma neppure stavolta una donna salirà al Colle. Così, almeno, dicono tutti i retroscenisti di Palazzo, quelli che la sanno lunga, e i bookmaker.

Mai come quest’anno, dunque, l’ipotesi “donna al Quirinale” stava, lentamente, prendendo forza. Se non fosse che non c’è alcuna donna, oggi, in grado di coagulare i consensi di gruppi e partiti che –di centrodestra o di centrosinistra –voglion fare la ‘parte del leone’, nella gara per il Colle. Ma vediamo quali sono le candidate di cui pure si parla e che hanno delle chanche per riuscirvi.

La Bonino è quella che ci è andata più vicino

Il palmarès della donna più ‘quirinabile’ spetta, da almeno 20 anni, alla prima donna data come ‘papabile’ per il Colle, la radicale Emma Bonino. Il curriculum non le manca: classe 1948, deputata alla Camera e al Parlamento europeo, nel 2006 ministra del Commercio internazionale e delle politiche europee nel governo Prodi II, ex commissaria Ue, poi vicepresidente del Senato della Repubblica dal 2008 al 2013, e ancora ministra degli Affari esteri nel governo Letta per un anno, dal 2013 al 2014, oggi è senatrice. Ma la sola volta che la fondatrice di +Europa ci andò vicino corrisponde anche al numero di voti mai raggiunti prima, da una donna, durante una elezione quirinalizia. Correva l’anno 1999 quando partì, nel Paese, la campagna di opinione “Emma for president”, ma senza successo, mentre persino un sondaggio della SWG rivelava che il 33% degli italiani voleva lei a Capo dello Stato. Prese 15 voti, alle votazioni nel 1999 e 13 a quelle del 2013, quando il Psi la candidò in modo formale (Bonino militava nella Rosa nel Pugno) e il M5s la inserì nelle proprie ‘quirinarie’, ma poi il Parlamento ‘ri-scelse’ Giorgio Napolitano. Per lei, il Quirinale sembra davvero un capitolo chiuso, come ha detto a Repubblica il 31 maggio,anche se si dice sempre e comunque a favore di “una donna competente autorevole per il Colle, ma non penso a me, io ero pronta 30 anni fa”.

La candidatura, già abortita, di Liliana Segre

Senatrice a vita e oggi 91enne, Liliana Segre, scampata all’inferno dei lager nazisti da bambina, ha già declinato l’invito per il Quirinale, per quanto, sondaggi alla mano, sarebbe tra i nomi più apprezzati dagli italiani. Il Fatto quotidiano aveva lanciato una petizione on-line per sostenere il suo nome, ma lei ha, gentilmente, declinato, dicendo, giustamente, di non avere l’età giusta e che il compito sarebbe per lei troppo gravoso.

La Casellati ci spera, ma non ha forti chanche

Prima donna di sempre ad essere eletta presidente del Senato, la 75enne Maria Elisabetta Alberti Casellati farebbe felice i partiti di centrodestra, liberando lo scranno della seconda più alta carica dello Stato (il presidente del Senato è il Capo di Stato supplente, se questi è impedito), ma non gode di simpatie dentro gli ex giallorossi. Giurista, avvocato, doppia laurea, vari incarichi nel Csm, pochi mesi dopo essere diventata presidente del Senato, nel 2018 riceve, dal capo dello Stato Mattarella, un incarico esplorativo, ed è la seconda volta, a una donna, dopo la Jotti, ma non gode di buona stampa e neppure di grandi simpatie: non certo a sinistra, e neppure a destra.

La carta Moratti? Può giocarla il centrodestra

La vera carta ‘coperta’ – ove la candidatura di Silvio Berlusconi, che ci tiene molto, fallisse – del centrodestra, in realtà, è proprio una… donna. Si tratta della ex sindaca di Milano, Letizia Moratti. Tornata alla politica attiva a inizio 2021, quando è stata nominata vicepresidente nonché assessora al Welfare della Regione Lombardia. Moratti, 72 anni, 20 anni fa ministra dell’Istruzione, dell’università e della ricerca con Silvio Berlusconi nel suo II governo, oggi potrebbe, paradossalmente, avere più chanche di farcela della stessa Casellati, se il centrodestra riuscisse a imporre un proprio nome agli altri.

Le ‘candidate’ del centrosinistra? Troppe…

Invece, nel campo del centrosinistra, sono almeno tre le possibili candidate, ma tutte deboli. Oggi 70enne, ha le sue chance Rosy Bindi, ex DC, poi Partito popolare italiano, poi Pd, nel 2006 eletta ministra per le politiche per la famiglia nel governo Prodi. Il M5s guarda alla candidatura della Bindi di buon grado, ma tutt’al più come candidato ‘di bandiera’ dei giallorossi nei primi tre scrutini. Insomma, il suo è solo un nome ‘sacrificabile’. Ci sarebbe spazio, in teoria, anche per Anna Finocchiaro, 66enne ministra per le Pari opportunità nel primo governo Prodi. Anche lei come Bindi ha salutato il Parlamento nel 2018, dopo 31 anni ininterrotti di permanenza. Una lunga militanza nel Pci prima, nel Pds-Ds poi, oggi è vicina più a LeU che al Pd e mantiene con l’ex premier Massimo D’Alema rapporti saldi. Il terzo nome che pure è circolato, per il Colle, sempre in ambito del centrosinistra, è quello di Roberta Pinotti: rientra tra le papabili presidenti, dopo aver guidato il ministero della Difesa dal 2014 al 2018, come Mattarella nel 1999-2001, ha solo 60 anni ed è vicina, politicamente, al ministro e capofila di Area dem, corrente del Pd, Dario Franceschini, ma non è gradita ai 5Stelle.

I nomi di possibili presidentesse ‘tecniche’

Ma girano, come si sa, anche i nomi di ‘tecnici’, mai stati parlamentari, ma comunque in corsa. E, tra i nomi ‘tecnici’, c’è una donna che, da anni, è candidata ‘a tutto’, palazzo Chigi compreso, quello di Elisabetta Belloni. Ex direttrice generale della Farnesina, 63enne, messa a capo dei servizi segreti dal governo Draghi e prima donna a un tale, delicato incarico, la Belloni, però, non è mai deputata e/o senatrice: è stata segretario generale del Ministero degli affari esteri dal 2016 al 2021. In teoria, potrebbe strappare voti da tutti i partiti attualmente in Parlamento, in pratica da nessuno.Tra gli altri nomi di donne ‘tecniche’ ci sono la giurista Lorenza Carlassare, che piace molto ai 5S, quello di Anna Maria Tarantola, ex presidente Rai, ex dirigente della Banca d’Italia, perfetta candidata draghiana, e Elena Paciotti, la prima donna che è stata presidente dell’Anm. Ma, francamente, nessuno di loro ha vere chanches.

Il nome veramente in corsa è la Cartabia…

L’unico, vero, nome ‘papabile’, tra gli attuali rappresentanti di governo, restauno solo: quello di Marta Cartabia ex presidente della Corte Costituzionale nonché ministra della Giustizia, voluta in quel ruolo espressamente proprio dall’attuale capo dello Stato, Mattarella. La Cartabia, il cui nome era stato fatto anche in qualità di premier, a fine del 2020, è diventata ministra della Giustizia nel governo Draghi. Classe 1963, sposata e madre di tre figli, laureata con lode in legge a Milano, giurista e prima presidente donna della Corte costituzionale (dal dicembre 2019 a settembre 2020), dopo ben 45 presidenti tutti al maschile, la Cartabia alla Consulta ha trascorso 9 anni, inizialmente come giudice nominata da Giorgio Napolitano nel 2011, a soli 48 anni, e poi da presidente, quando si presentò dicendo: “Si è rotto un vetro di cristallo. Ho l’onore di essere qui come apripista”. Culturalmente vicina a Comunione e Liberazione, Cartabia si è sempre tirata fuori da qualsivoglia baruffa politica, anche di tipo mediatico, ed è riconosciuta, da più parti, come super partes.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo

"In un paese normale sarebbe una cosa civile"

Certo, sarebbe bello. Certo, sarebbe giusto. Certo, sarebbe un segnale da Paese civile a un Paese ‘incivile’ che le donne le uccide, violenta, perseguita, stalkerizza, o –assai più banalmente –non le valorizza, le paga meno degli uomini, le discrimina, le tiene in un cantuccio, a ‘badare’ alla famiglia, presunti ‘angeli del focolare’ (sic). Peccato che non succederà neppure questa volta. A volere, e chiedere, di eleggere una donna al Quirinale – mai c’è stato un Capo dello Stato donna, ma, se è per questo, mai una donna è diventata neppure presidente del Consiglio, nella storia dell’Italia repubblicana, figurarsi prima – ci sono anche i ragazzi del sito www.gay.it che ci dicono e scrivono che "una donna Presidente" sarebbe "una cosa giusta" perché, appunto, “in un Paese normale non dovrebbero esserci distinzioni di genere ma l’Italia è tutt’altro che normale". Dodici presidenti della Repubblica, tutti uomini. Una lunga storia di presidenziali al maschile...Già. Purtroppo, parlano i numeri, la fredda statistica. Dal I gennaio del 1948 ad oggi l’Italia repubblicana ha avuto ben dodici presidenti della Repubblica. Da Enrico De Nicola, prima Capo provvisorio dello Stato, poi presidente effettivo per 5 mesi appena, a Sergio Mattarella, il cui incarico si completerà il 3 febbraio 2022. Dodici presidenti della Repubblica, e tutti uomini. A dirla tutta, lungo l’intera Prima Repubblica, non si parlò mai, sotto l’elezione del Presidente, della possibilità che una donna potesse ambirvi. Insomma, si può dire che se mai è esistita una ‘Repubblica’ sessista e anti-femminista è stata di certo la Prima, quella che ha caratterizzato la storia del nostro Paese dal 1948 fino al 1992. E così, la questione delle donne al Colle, non si pose più per diversi decenni nonostante la stagione del femminismo che, insieme a quella della contestazione, fece irruzione nell’Italia degli anni Settanta, avesse di molto cambiato, in meglio, i costumi sociali (e politici) del Paese. Certo, la prima presidente della Camera donna, oltreché comunista, Nilde Jotti, fece epoca, quando venne eletta sullo scranno più alto di Montecitorio, nel 1983, riconfermata nel 1987, oltre che quando il presidente della Repubblica di allora, Francesco Cossiga, affidò proprio a lei, nella crisi politica del 1984, il primo incarico, seppur ‘esplorativo’, mai affidato a una donna. Ma la parentesi Jotti sembrava si fosse richiusa subito dopo la fine della sua esperienza. Ecco, c’era ancora Cossiga, allora. Poi arrivarono Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. È cambiato il mondo e siamo ancora agli auspici. Eppure, ogni sette anni, e anche in queste ultime settimane, il toto-nomi ha coinvolto donne aspiranti presidenti, rilanciando la questione del genere come scelta di campo, in ambito politico. Ma neppure stavolta una donna salirà al Colle. Così, almeno, dicono tutti i retroscenisti di Palazzo, quelli che la sanno lunga, e i bookmaker. Mai come quest’anno, dunque, l’ipotesi "donna al Quirinale" stava, lentamente, prendendo forza. Se non fosse che non c’è alcuna donna, oggi, in grado di coagulare i consensi di gruppi e partiti che –di centrodestra o di centrosinistra –voglion fare la ‘parte del leone’, nella gara per il Colle. Ma vediamo quali sono le candidate di cui pure si parla e che hanno delle chanche per riuscirvi.

La Bonino è quella che ci è andata più vicino

Il palmarès della donna più ‘quirinabile’ spetta, da almeno 20 anni, alla prima donna data come ‘papabile’ per il Colle, la radicale Emma Bonino. Il curriculum non le manca: classe 1948, deputata alla Camera e al Parlamento europeo, nel 2006 ministra del Commercio internazionale e delle politiche europee nel governo Prodi II, ex commissaria Ue, poi vicepresidente del Senato della Repubblica dal 2008 al 2013, e ancora ministra degli Affari esteri nel governo Letta per un anno, dal 2013 al 2014, oggi è senatrice. Ma la sola volta che la fondatrice di +Europa ci andò vicino corrisponde anche al numero di voti mai raggiunti prima, da una donna, durante una elezione quirinalizia. Correva l’anno 1999 quando partì, nel Paese, la campagna di opinione “Emma for president”, ma senza successo, mentre persino un sondaggio della SWG rivelava che il 33% degli italiani voleva lei a Capo dello Stato. Prese 15 voti, alle votazioni nel 1999 e 13 a quelle del 2013, quando il Psi la candidò in modo formale (Bonino militava nella Rosa nel Pugno) e il M5s la inserì nelle proprie ‘quirinarie’, ma poi il Parlamento ‘ri-scelse’ Giorgio Napolitano. Per lei, il Quirinale sembra davvero un capitolo chiuso, come ha detto a Repubblica il 31 maggio,anche se si dice sempre e comunque a favore di “una donna competente autorevole per il Colle, ma non penso a me, io ero pronta 30 anni fa”.

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Senatrice a vita e oggi 91enne, Liliana Segre, scampata all’inferno dei lager nazisti da bambina, ha già declinato l’invito per il Quirinale, per quanto, sondaggi alla mano, sarebbe tra i nomi più apprezzati dagli italiani. Il Fatto quotidiano aveva lanciato una petizione on-line per sostenere il suo nome, ma lei ha, gentilmente, declinato, dicendo, giustamente, di non avere l’età giusta e che il compito sarebbe per lei troppo gravoso.

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