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Home » Attualità » Asilo artistico ai tempi della guerra culturale alla Russia. Salakhova: “Gli artisti russi all’opposizione così sono soli”

Asilo artistico ai tempi della guerra culturale alla Russia. Salakhova: “Gli artisti russi all’opposizione così sono soli”

In un clima “da caccia alle streghe" nel panorama culturale dal 23 aprile accanto alla Biennale di Venezia la Repubblica di Startè dà asilo artistico ad Aidan Salakhova, artista (azero-russa)

Sofia Francioni
23 Aprile 2022
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Dopo l’attacco all’Ucraina voluto da Vladimir Putin, il mondo della cultura si è opposto alla guerra sbarrando l’accesso all’arte russa e inevitabilmente ai suoi artisti. “Ma che nazionalità ha l’arte?” domanda Aidan Salakhova, artista azero-russa a cui la mostra Venezia Madre ha dato asilo accanto alla Biennale di Venezia. “Io che nazionalità ho? Sono uzbeka, russa, azera, carrarina…”, ride.

A guardare a quanto fatto sinora da istituti culturali ed esposizioni, l’arte è diventata un’arma come un’altra contro la guerra di Putin. La Royal Opera House di Londra ha annullato l’intera programmazione estiva di spettacoli messi in scena dal teatro russo Bolshoi. L’Ebu, che organizza l’Eurovision song contest a Torino (10-14 maggio), ha chiuso l’accesso al palco ai cantanti russi ritenendo che “l’inclusione avrebbe portato discredito alla competizione”. Stessa considerazione fatta dalla Triennale di Milano, che ha chiuso le porte della sua 23esima esposizione (20 maggio- 20 novembre) all’arte russa, valorizzando quella ucraina. Per il suo direttore Stefano Boeri: “l’esclusione è coerente con la scelta di altre istituzioni italiane e stante la situazione di violenta e ingiustificata guerra”.

Il mondo della cultura discrimina l’arte in base alla nazionalità anche al cinema. Netflix ha sospeso le acquisizioni di film e serie tv in Russia e la produzione di quattro progetti originali, inclusa una nuova serie per la regia di Dasha Zhuk. In Francia, il Festival di Cannes (17 al 28 maggio) li ha lasciati fuori dalla prossima kermesse, mentre l’European Film Academy non ammetterà i film russi e di produzione russa nell’edizione degli European Film Awards.

 

 

Quattro delle cinque opere esposte da Venezia Madre di Beatrice Speranza, Arianna Ellero, Beatrice Taponecco e ultima a destra “Senza Parole” di Aidan Salakhova

Contro la caccia alle streghe, Startè dà asilo all’arte di Salakhova

In questo clima “da caccia alle streghe”, nelle stesse giornate in cui a Venezia si svolge l’Esposizione internazionale d’arte della Biennale, la Repubblica di Startè (degli stati dell’arte libera) nella mostra Venezia Madre dà asilo artistico all’artista azero-russa Aidan Salakhova. “Incredibile, irriverente e indipendente, anche mentre viveva in Azerbaijan. Le abbiamo dato asilo perché boicottare l’arte russa è un atto grave”, spiega il presidente Paolo Asti.  “Non dobbiamo mai confondere le responsabilità di chi governa con quelle degli artisti. Capisco la scelta di non dedicare all’interno di un’esposizione un padiglione alla Russia perché rappresenterebbe un omaggio al Paese, ma il singolo artista appartiene all’umanità”.

L’arte ha o non ha nazionalità? L’intervista all’artista Aidan Salakhova

Aidan Salakhova, artista azero-russa di fama internazionale che esporrà Senza Parole durante la mostra Venezia Madre

Cosa ne pensa dell’auto-esclusione degli artisti russi dalla Biennale di Venezia? Perché lo hanno fatto? 

“Non volevano prendere soldi governativi. E comunque in questo momento è tutto complicato, ci sono ad esempio problemi di assicurazione per trasportare le opere dalla Russia agli altri paesi”.

È giusto che il mondo della cultura finisca per farsi la guerra?

“Sono assolutamente contraria. L’arte contemporanea è un paese senza frontiere, un linguaggio universale e non si divide per nazioni e nazionalità. Tanti artisti russi contemporanei sono già all’opposizione del governo, escludendoli li lasciamo ancora più soli”.

Com’è stato ricevere accoglienza dalla Repubblica di Startè per la mostra Venezia Madre?

“Il direttore Paolo Asti è stato molto gentile ad avermi invitata, ma penso che non dovremmo arrivare all’asilo artistico”.

La sua opera s’intitola Senza parole, è troppo chiederle di spiegarcela meglio?

“Si tratta di una serie: ne ho fatte 35. È un libro in marmo aperto con una scala che scende profondità e da essa risale. Oggi viviamo in un mondo che ci offre troppe informazioni, bugie, verità con la conclusione che difficilmente riusciamo a capire. Le scale che scendono nella profondità significano che quello che dobbiamo sapere va cercato prima di tutto dentro di noi: nel cuore e nella mente”.

Senza Parole è l’opera di un’artista azero-russa o solo un’opera?

“L’opera d’arte non ha nazionalità: l’opera d’arte è l’opera d’arte. E io in fondo che patria ho? Sono sovietica, italiana, carrarina, uzbeka, azera…la mia patria è l’arte”.

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  • Addio alle distinzioni di genere all’Università di Pisa. Arrivano i bagni ‘genderless’, adottati per superare le categorizzazioni uomo-donna, che identificano il genere, e che possono far sentire a disagio o discriminato chi non si riconosce in quello assegnatogli dalla società. 

“È un atto di civiltà per dichiarare in modo fermo il nostro essere un’Università aperta, in cui la differenza è una ricchezza e le discriminazioni non hanno diritto alla cittadinanza", dichiara il rettore Paolo Mancarella.

Sono 86 quelli attivi dal 29 giugno in tutta l’Università di Pisa, la prima in Toscana e tra le prime in Italia ad adottare questa misura. 

"Mi auguro che sia solo l’inizio di una serie di cambiamenti e che possa essere di ispirazione per le altre università e scuole”, ha commentato Geremia, studente diventato in poco tempo il simbolo della battaglia per l’ottenimento della carriera alias. 

Di Gabriele Masiero e Ilaria Vallerini ✍

#lucenews #lucelanazione #universitàdipisa #unipi #bagnigenderless #genderless #geremia #genderrightsandequality
  • La decisione della Corte suprema americana di abolire il diritto all’aborto come principio costituzionale ha scatenato una vera e propria ondata di terrore anche al di fuori dei confini Usa. Una scelta che ha immediatamente sancito una sorta di condanna per milioni di donne in America ma che ha fatto indignare anche cittadini e cittadine di altri Paesi, non ultimi quelli italiani.

La sola legge 194 non basta più.

Anche se il numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia continua a scendere e i tassi di abortività sono tra i più bassi al mondo, a spaventare è l’indagine “Mai Dati!” condotta su oltre 180 strutture dalla professoressa Chiara Lalli e da Sonia Montegiove, informatica e giornalista, pubblicata dall’Associazione Luca Coscioni.

Il quadro che emerge è drammatico: sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie nazionali con il 100% di personale sanitario obiettore, tra ginecologi, anestesisti, infermieri e OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.

A rimetterci, come sempre, sono però le persone, le donne.

L
  • “Quando tutti potranno mostrarsi per quello che sono e che sentono senza subire discriminazioni, allora solo a quel punto potremo dire di aver raggiunto l’uguaglianza“. 

A dichiararlo è Sara Lorusso che in occasione del Pride Month ha tradotto questo pensiero nella sua esposizione fotografica “Our Generation”, curata da Marcella Piccinni, in mostra negli spazi dello Student Hotel di Firenze fino a venerdì 8 luglio. 

“In occasione del Pride Month ho deciso di legare insieme diversi progetti fotografici sull’amore queer e non binary, ma anche sulla libertà di espressione del singolo, che ho realizzato nel corso del tempo. A partire da ‘Love is love’, dove ho immortalato i ritratti di coppie queer. ‘Protect love and lovers’ in cui avevo chiesto a diverse coppie di baciarsi in luoghi pubblici che stessero loro a cuore. E poi ‘Our Generation’ che ritrae persone queer e no-binary libere di esprimersi attraverso l’abbigliamento, gli accessori e il trucco”.

L’intervista completa a cura di Ilaria Vallerini è disponibile sul sito ✨

#lucenews #lucelanazione #saralorusso #ourgeneration #queerlove #pridemonth #proudtobepride #studenthotelfirenze
  • Sono tanti gli esperti e gli attivisti americani che si interrogano se la sentenza della Corte Suprema, che elimina il diritto all’aborto negli Usa, potrà avere impatti anche su altri diritti, compresi quelli alla privacy.

I procuratori possono decidere di indagare su qualsiasi donna che sia stata incinta ma non abbia portato a termine la gravidanza, anche in caso di aborti spontanei.

“La differenza tra ora e l’ultima volta che l’aborto è stato illegale negli Stati Uniti è che viviamo in un’era di sorveglianza digitale senza precedenti”.

A dirlo è la direttrice per la sicurezza informatica della Electronic Frontier Foundation Eva Galperin.

Il caso più eclatante è stato quello di Latice Fisher, la donna del Mississippi che nel 2017 era stata accusata di omicidio di secondo grado dopo aver partorito un bambino nato morto nel terzo trimestre perché, nelle settimane precedenti, aveva cercato online informazioni sulle pillole abortive. Non esisteva nessun’altra prova che Fisher avesse comprato le pillole, ma il caso è comunque durato fino al 2020, quando era stato archiviato.

Le autorità possono decidere di chiedere direttamente alle aziende di fornire i dati in loro possesso relativi a specifici utenti. Non si tratta soltanto di Google, Facebook, Instagram, TikTok o Amazon: a raccogliere dati che possono essere potenzialmente incriminanti sono anche i servizi di telefonia mobile, i provider di servizi Internet e qualsiasi app abbia accesso ai dati sulla posizione. Di solito queste informazioni vengono raccolte a fini pubblicitari, ma possono anche essere acquistate da privati o da forze dell’ordine.

Proprio per questo motivo negli ultimi giorni molte donne americane hanno cancellato le applicazioni per il monitoraggio delle mestruazioni dai loro cellulari, che secondo le stime vengono usate da un terzo delle donne statunitensi, nel timore che i dati raccolti sul proprio ciclo mestruale, o altri dettagli legati alla salute riproduttiva, dalle applicazioni possano essere usati contro di loro in future cause penali negli Stati in cui l’aborto è diventato illegale.

Di Edoardo Martini ✍

#lucenews #lucelanazione #dirittoallaborto #dirittoallaprivacy #usa #roevwade
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L'arte ha o non ha nazionalità? L'intervista all'artista Aidan Salakhova

Aidan Salakhova, artista azero-russa di fama internazionale che esporrà Senza Parole durante la mostra Venezia Madre
Cosa ne pensa dell'auto-esclusione degli artisti russi dalla Biennale di Venezia? Perché lo hanno fatto?  "Non volevano prendere soldi governativi. E comunque in questo momento è tutto complicato, ci sono ad esempio problemi di assicurazione per trasportare le opere dalla Russia agli altri paesi". È giusto che il mondo della cultura finisca per farsi la guerra? "Sono assolutamente contraria. L'arte contemporanea è un paese senza frontiere, un linguaggio universale e non si divide per nazioni e nazionalità. Tanti artisti russi contemporanei sono già all'opposizione del governo, escludendoli li lasciamo ancora più soli". Com'è stato ricevere accoglienza dalla Repubblica di Startè per la mostra Venezia Madre? "Il direttore Paolo Asti è stato molto gentile ad avermi invitata, ma penso che non dovremmo arrivare all'asilo artistico". La sua opera s'intitola Senza parole, è troppo chiederle di spiegarcela meglio? "Si tratta di una serie: ne ho fatte 35. È un libro in marmo aperto con una scala che scende profondità e da essa risale. Oggi viviamo in un mondo che ci offre troppe informazioni, bugie, verità con la conclusione che difficilmente riusciamo a capire. Le scale che scendono nella profondità significano che quello che dobbiamo sapere va cercato prima di tutto dentro di noi: nel cuore e nella mente". Senza Parole è l'opera di un'artista azero-russa o solo un'opera? "L'opera d'arte non ha nazionalità: l'opera d'arte è l'opera d'arte. E io in fondo che patria ho? Sono sovietica, italiana, carrarina, uzbeka, azera...la mia patria è l'arte".
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