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Coming out, dal buio alla luce: voci e storie di persone che scelgono di essere libere di amare

di MARIANNA GRAZI -
8 gennaio 2022
comingout

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L'importante è essere onest* con se stess*. Facile a dirsi, molto più complicato da applicare. Soprattutto quando c'è di mezzo un aspetto fondamentale della propria vita. A volte, infatti, per rimanere sincer* con la propria persona si è costrett* a fingere di essere qualcun* altr* con gli altri. Quando si sceglie di rivelare volontariamente il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere di certo c'è solo una cosa: non esiste un tempo, un momento, un giorno esatto per farlo. Così come non c'è un modo o un luogo giusto, e no, nemmeno una persona giusta. È importante aprirsi con coloro di cui si fida ma spesso le reazioni, anche di chi si ama, o di chi ci vuole bene, possono essere spiacevoli. Non certo per colpa di chi ‘si rivela’, ma può accadere. Perché fare coming out, letteralmente "uscire fuori", venire allo scoperto, è un passo importantissimo, si potrebbe dire decisivo - ancora oggi - nell'esistenza delle persone. Ma soprattutto non obbligatorio, se non se ne sente il bisogno. La cosa fondamentale è pensare alla propria sicurezza, scegliere di farlo per liberarsi, sfogarsi, (ri)trovarsi o per qualsiasi ragione faccia stare bene con se stess*. Comunque vada, sentitevi liber* di fare quello che volete, coming out o non coming out. Negli ultimi periodi abbiamo assistito a molte confessioni di personaggi famosi, sia italiani che internazionali, che hanno scelto di rivelare la loro identità sessuale: da Lady Gaga a Michele Bravi, dall'ex ministro Vincenzo Spadafora a Carl Nassib, primo giocatore di football americano a 'uscire allo scoperto'. E questo solo per citare alcuni tra i casi più noti. Rimanendo però in un ambito più privato, sono migliaia le persone che ogni giorno scelgono di fare questo passo, senza che si sappia, che se ne parli. Un momento privato, giustamente, con conseguenze inattese o preventivate, belle o brutte, di gioia o di sofferenza, di accettazione o di rifiuto. Anche sul nostro canale abbiamo raccontato le storie di tanti e tante che nel corso della loro vita hanno affrontato questo passaggio, dall'ombra alla luce. C'è chi ne ha parlato apertamente, chi citandolo e basta, chi non ha voluto toccare l'argomento, definendosi semplicemente per quell* che è: Francesco Cicconetti, Muriel De Gennaro, Luce Scheggi, le atlete Alice Bellandi, Paola Egonu, Elena Linari e Lucilla Boari. E poi i giovanissimi Malika e Giacomo, cacciati di casa proprio dopo aver rivelato la loro vera identità.

La storia di Bianca: Riconoscermi per farmi riconoscere

Io l’ho detto nel 2018, all’inizio del secondo anno anno di università. Quasi sicuramente ne ero consapevole già da prima però, anche perché non avevo mai frequentato una ragazza, mi sentivo di farlo quando avessi avuto una frequentazione, una relazione”. Bianca ci racconta il suo coming out, che risale ormai a circa 4 anni fa. Fiorentina, si è da poco laureata in Lettere Moderne a Bologna e sogna un futuro nel mondo del giornalismo. Le parole sono parte integrante del suo mondo e sa che a volte pronunciarle può provocare conseguenze. Per questo lo ha fatto solo quando “mi sentivo sicura al 100% di quello che stavo per dire”. “Anche se - ci tiene a spiegare - riflettendoci a me sembra assurdo che si debba fare questa dichiarazione. Si dovrebbe essere semplicemente liberi, ovviamente non in termini assoluti ma rispetto a chi siamo, a chi si vuole frequentare, liberi di farlo senza che ci debbano essere annunci di sorta. Però anche in momento storico, in generale, per l’Italia è bene essere ‘proud’, orgogliosi e quindi affermarlo con forza”. "Io in realtà l’ho detto prima ai miei amici, a quelli più stretti e cari. Poi a mia sorella. E poi quando ho smesso di frequentare la prima ragazza e quindi ero un po’ triste, mi ricordo che mia mamma mi chiamò e appena mi chiese ‘Come stai?’ io subito scoppiai a piangere e risposi ‘Male mamma, mi sono lasciata’. Lei non sapeva nemmeno che stessi con qualcuno e mi chiese chi fosse questa persona. Le risposi ‘Una ragazza’ e a quel punto è calato un silenzio abbastanza pesante. Nonostante avvertissi lo shock causato da questa dichiarazione subito dopo mi chiese se avessi bisogno di qualcosa, se volessi tornare a casa. Io non parlo molto coi miei genitori della mia vita sentimentale, quindi non era facile. A mio babbo glielo disse lei, ma in famiglia dopo aleggiava un clima un po’ strano. Io reputo i miei persone intelligenti, sensibili, non hanno mai avuto atteggiamenti omofobi o cose del genere. Però con mia mamma ho ancora oggi l’impressione che non sia completamente a suo agio con questo aspetto della mia vita". E non è bastata una vacanza insieme, solo loro due, per riuscire a superare quel trauma. "Una sera infatti, e mi rendo conto che fece del suo meglio per farmi sentire accettata, mi disse ‘Non mi interessa con chi stai, chi porti a casa, uomini, donne cane o gatti’. Questo parallelismo col mondo animale fu un po’ infelice, mi faceva percepire comunque il suo disagio. Però mi sento anche di scusarla, mamma e babbo hanno sessant’anni… Anche se anche ai loro tempi esisteva già un 'popolo omosessuale' però era una cosa più nascosta, e quindi il loro penso sia più un disagio generazionale piuttosto che personale". Ma nemmeno con gli anni le cose non si sono completamente aggiustate. "Recentemente ho portato a casa la mia ragazza, babbo mi sembra assolutamente tranquillo mentre da lei sento sempre una leggera ma persistente ostilità verso la cosa. Anche inconscia, ma avverto che c’è una patina di incertezza, forse di negazione, non saprei. Me ne accorgo da piccole cose. Però non mi sento di affrontare la questione, di chiedere ‘mamma hai un problema con questa cosa?’. Forse dovrei, ci sto pensando in questi giorni. Ne ho parlato con mio padre, ma lo farò quando mi sentirò sicura”. E con il resto della famiglia preferisce mantenere le distanze sull'argomento: “Al resto dei familiari onestamente non l’ho detto, tranne a mia zia paterna e a mia cugina, che l’ha saputo prima ancor prima dei miei genitori. Immagino che gli altri lo sappiano, non lo so e non è un argomento che tratto”. Dentro casa la questione rimane sospesa ma al di fuori della cerchia familiare Bianca si è voluta aprire completamente: “Fra i miei amici l’ho detto a tutti, mi sono detta basta, era troppo pesante e volevo essere libera di muovermi e fare quello che mi pareva, quando mi pareva”. Certo non è stato tutto rose e fiori, “Alcuni miei amici mi hanno detto ‘Ah sì, davvero?’ e poi la classica frase che, anche se sono persone che mi vogliono bene, fa capire quanto sia endemica il tipo risposta sociale a questa dichiarazione, ‘Solo perché non sei mai stata al letto con me’”. Però nella sua cerchia di relazioni Bianca non si è mai sentita veramente discriminata. Sa bene, però, che non tutti e tutte coloro che fanno coming out hanno conseguenze ‘positive’ o perlomeno di accettazione della cosa, “il mio caso penso sia tra i più fortunati - dice infatti - perché la stragrande maggioranza delle ragazze che ho frequentato ha avuto invece grossi problemi”. “Visto che a me è andata bene, diciamo, quando poi mi sono avvicinata a questo mondo mi sono resa conto che la situazione è terribile. A livello sociale ci sono diversi problemi, anche nella mia quotidianità: se banalmente esco per strada mi sembra di far parte di un esperimento sociale, mi fissano come se fossi un alieno. A me ad esempio piace tenere la mano di una persona in pubblico, senza per forza sentirmi un’esibizionista. In questa situazione invece ti sembra di esserlo. Di conseguenza piano piano smetti di farlo, cerchi di andare in luoghi meno affollati, ma è un disagio. Sento spesso commenti non gradevoli, persone che ti chiedono ‘Posso unirmi?’ o ‘Vi serve un terzo?’... Sono piccole cose ma sentirsi costantemente ‘speciali’ per il pubblico, perché diventiamo pubblico per le persone che ci vedono, è pesante. A Bologna un po’ meglio, a Firenze è terribile. La sensazione è essere dietro ad una teca di vetro dove la gente viene a battere per guardare queste due scimmiette che si tengono per mano”. È un’analisi amara quella di Bianca, che ogni giorno vive sulla propria pelle queste esperienze. “Dipende anche dalle persone da cui uno si circonda però non dovrebbe. Dovrebbe essere un passaggio per riconoscere se stessi, un riconoscimento che passa anche attraverso gli altri, siamo in una società e il riconoscimento si gioca su un doppio binario. Se l’altro non mi riconosce fatico anche io a farlo”.

La campagna

Quello che ci proponiamo, con il nostro canale, è di promuovere valori che vadano al di là della singola persona, ma facendolo attraverso storie, esempi, esperienze che ne siano portavoci. Per questo vogliamo invitare tutt* i/le nostr* lettor* a scriverci al nostro indirizzo mail [email protected] o attraverso i nostri canali social, a raccontarci il loro coming out, a rendere partecipe tutta la comunità di Luce! di cosa voglia dire urlare al mondo che l'amore è amore, verso chiunque sia rivolto.