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Home » HP Blocco Grande » Pamela Villoresi: “Molestie in palcoscenico, un problema culturale da correggere”

Pamela Villoresi: “Molestie in palcoscenico, un problema culturale da correggere”

"Le ho subite prima a Prato poi Barletta. Da ragazzina qualche regista ci ha provato, ma l’ho subito minacciato di chiamare la polizia"

Guido Guidi Guerrera
3 Gennaio 2022
Share on FacebookShare on Twitter

Di una bellezza affatto banale, dotata del fascino seduttivo di una voce dalla timbrica suadente e calda ma anche tintinnante e birichina. Pamela Villoresi, attrice di grande spicco nel panorama artistico italiano, è famosa per ruoli spesso impegnati in perfetta sintonia con le sue scelte di vita da donna libera, sensibilissima alle tante tematiche irrisolte dell’universo femminile e per questo sempre pronta a dare battaglia. Pratese di nascita, ha esordito a soli tredici anni, facendosi conoscere dal grande pubblico con il ‘Marco Visconti’ per poi approdare al ‘Piccolo Teatro’ del grande regista Giorgio Strehler .

Pamela Villoresi è nata a Prato il 1° gennaio 1957
Pamela Villoresi è nata a Prato il 1° gennaio 1957

La sua carriera è quella stellare delle dive di cinema e teatro, costellata da numerosi riconoscimenti e culminata a partire dal 2018 con la nomina alla direzione del prestigioso ‘Teatro Biondo’ di Palermo. La immaginiamo avvolta in un cappotto color pastello, ampio e dai bottoni grandi, un po’ anni 70 e capace di evocare certe atmosfere del film dell’epoca ‘Dedicato a Una Stella’ . Passeggiare con lei è lieve e al contempo stimolante perché il passo elastico dell’atleta per hobby segue lo stesso ritmo delle parole scandite con precisione e fluidità gradevole. È bello stimolarla con domande, perché è bello sentirla parlare, perché affascina.

Pamela, la sua carriera appare quasi costantemente contraddistinta da ruoli impegnativi . Dipende da una sua scelta precisa oppure è stato il caso a decidere per lei?
“Mi devo ritenere fortunata perché mi hanno offerto cose interessanti, ma per quanto fossi agli inizi ero propensa a fare cose di qualità. Se dovevo scegliere tra certi film facili che mi avrebbero regalato soldi assieme alla popolarità e l’opportunità di recitare per Strehler o al Teatro d’Europa non ho mai avuto esitazioni “.

L’attrice è vedova del direttore della fotografia Cristiano Pogany da cui ha avuto 3 figli: Eva, Tommaso e Isabel
L’attrice è vedova del direttore della fotografia Cristiano Pogany da cui ha avuto 3 figli: Eva, Tommaso e Isabel

Quale di queste esperienze sono riuscite maggiormente a segnarla sul piano emotivo e umano?
“Che dire? Strehler è stato in assoluto il mio padre teatrale ma ritengo altrettanto fondamentale aver lavorato con l’immenso Nino Manfredi. Indimenticabile e formativo aver indossato i panni di Didone, e per di più nel contesto scenografico magnificato dalle sculture portentose di Pomodoro: un enorme motivo di crescita. Ho adorato Didone, emblema della donna apparentemente sicura di sé, della donna che oggi definiremmo in carriera, eppure destinata a cadere come una pera cotta al cospetto di quel deficiente di Enea. E’ un personaggio in cui per certi versi mi identifico e che mi diverte molto. Ma poi girando per teatri antichi sono stata anche Antigone, Clitennestra e Medea che per sei anni di repliche mi ha fatto soffrire intimamente sfinendomi a causa di una immersione totale in quella figura”.

Le è capitato di rinunciare o rifiutare per ragioni etiche a vestire panni in cui non si riconosceva?
“Naturalmente. Ho respinto diverse volte copioni che proprio non mi convincevano per la vuotezza del loro messaggio. Poi ricordo che una volta mi capitò di declinare l’offerta arrivata da un grande regista per un ruolo esplicitamente erotico. E la cosa mi dispiacque molto perché il mio rifiuto non dipendeva da ragioni di ‘pruderie’ ma da una valutazione che metteva in gioco il rapporto con i miei figli, una questione di rispetto reciproco”.

Una splendida donna che emana carisma e determinazione, nonostante la dolcezza del suo sguardo. In che modo si è dovuta armare nel mondo dello spettacolo?
“Se una donna vuole riuscire in generale a fare carriera, a prescindere dalla professione deve armarsi di tanta pazienza e autocontrollo. Io spesso passavo dalla parte del torto perché reagivo. Oggi resto ferma e mi impongo di contare fino a cinquecento prima di rispondere a una provocazione, poi magari non dormo la notte. Posso assicurare che anche adesso in qualità di direttrice di teatro non mi vengono risparmiate critiche e contestazioni specialmente quando è necessario prendere decisioni impopolari. Allora devi essere forte perché spesso ti sparano alle spalle e allora è indispensabile deviare i colpi e apprendere la forza fluida dell’acqua”.

Pamela Villoresi in 'Eva contro Eva', diretta da Maurizio Panici, con Romina Mondello
Pamela Villoresi in ‘Eva contro Eva’ con Romina Mondello

La violenza contro le donne declinata in tutte le sue accezioni è uno dei temi che le stanno più a cuore. Ne è stata mai vittima?

“Una vera e propria molestia, quando ero giovane, l’ho subita prima a Prato poi Barletta. Da ragazzina qualche regista ci ha provato, ma l’ho subito minacciato di chiamare la polizia. E’ un problema culturale da correggere. Grazie alla mia professione ho cercato di contribuire con i miei spettacoli, mentre come donna mi sono impegnata a buttare giù qualche ascensore che insisteva a schiacciare la figura professionale delle donne. Ad esempio al ‘Biondo’ ho fatto salire la percentuale delle registe in modo deciso”.

La sua sensibilità nell’affrontare le tematiche del sociale è famosa, cosa ritiene che manchi alla nostra cultura in termini di civiltà e di rispetto?
“Manca il saper “fare rete”, manca il senso di squadra. Questo difetto tremendo è stato pagato a caro prezzo dalle industrie pratesi, per fare un esempio. Incapace di concepire una filiera collettiva utile a competere con le industrie del mondo, Prato si è rovinata forse irrimediabilmente. Il complesso ‘fallocentrico’ del ‘Marchese del Grillo’ è fatto per distruggere grandi possibilità, mentre con la pretesa di essere ‘teste di punta’ a ogni costo si sprecano solo preziose energie. In Sicilia in pochi mesi sono riuscita a fare rete con l’università e altri teatri arrivando a istituire il primo corso di laurea italiano in recitazione. Insomma fare squadra è una regola preziosa appresa facendo canottaggio, grazie alla quale, di recente, assieme alle mie compagne ho vinto l’oro sui cinquecento sprint: non eravamo né le più giovani né le più forti, ma eravamo un unico respiro in quattro”.

Cosa si sente di raccomandare alle donne in generale e in particolare a quelle che vorrebbero entrare nel mondo dello spettacolo?
“Essere sempre autosufficienti, essere autonome e mettere al primo posto il proprio lavoro. Saper dire ‘me ne vado’ senza sottostare a nessun tipo di ricatto, pronte a rivendicare la propria libertà. In amore ho applicato sempre questa norma, tanto le persone non cambiano: allora è stato molto più semplice cambiare fidanzato!”.

Pamela Villoresi ha girato otto sceneggiati televisivi per la Rai, diretta da Anton Giulio Majano, Mario Ferrero e Salvatore Nocita
Pamela Villoresi ha girato otto sceneggiati televisivi per la Rai, diretta da Anton Giulio Majano, Mario Ferrero e Salvatore Nocita

Uno dei termini più in auge in questo periodo è ‘ resilienza’. Qual è il suo consiglio per non arrendersi mai e proseguire nonostante ostacoli e avversità?
“L’ultimo mio spettacolo è stato su Frida Kahlo, che di resilienza se ne intendeva molto dopo quel suo disastroso incidente. La parola chiave è allora trasformare ogni intoppo, ogni sfida per quanto terribile della vita in nuova opportunità”.

I suoi principi etici sono ispirati da una forma di fede spirituale oltre che da una impostazione di vita per così dire ‘laica’?
“La mia fede è molto a ventaglio sulle religioni del mondo e non mi sono legata a nessun tipo di credo in modo particolare. Ma qualunque percorso spirituale è importante ed esige di essere nutrito. Questo ha contribuito a migliorarmi perché quello che più desidero è lasciare una persistente scia del mio profumo: ‘lassari u ciauru’ un detto meraviglioso siciliano che adoro”.

Lei ha tre figli. Come madre ha cercato precocemente di insegnare loro quei valori in cui crede?
“Voglio raccontare questo episodio recente. Classica riunione di famiglia durante le festività natalizie durante la quale abbiamo discusso anche la vendita di un immobile, con divisione del ricavato che li riguardava tutti. Ebbene, si sono preoccupati in modo così generoso e attento l’uno dell’altro pur rappresentando le rispettive esigenze da rendermi fiera. E allora proprio in quell’istante sono stata sicura che io e loro padre avevamo fatto qualcosa di veramente buona per questi ragazzi”.

Pamela Villoresi è nata a Prato da padre toscano e madre tedesca
Pamela Villoresi è nata a Prato da padre toscano e madre tedesca

Isabel è la figlia adottiva che collabora attivamente con la “Casa della Carità” di Milano. È la migliore risposta al tipo di esempio che ha rappresentato per lei?
“Lei ha fatto di una identità personale un mestiere, ed è molto brava. Il mio esempio consiste nel fatto che nonostante gli inevitabili errori ho cercato di fare del mio meglio, consapevole di avere raggiunto qualche buon traguardo”.

Cosa resta ancora da fare?
“Perfezionare quel che sto facendo a Palermo e finalmente passare il testimone dando adeguate opportunità ai giovani attori e alle giovani registe. Farlo davvero, evitando di usare la parola ‘giovani’ in modo inconcludente e vano, solo per moda o peggio per ragioni propagandistiche. Noi qui dal teatro Biondo di Palermo nonostante il momento critico lo stiamo mettendo in atto per davvero, ogni giorno. Riuscire in questo in modo perfetto sarà il premio per eccellenza alla vigilia dei miei primi cinquant’anni di carriera”.

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  • Maura Nardi, 41 anni a novembre, ed Emanuele Loati, 25, oltre ad essere innamorati, sono due giovani transgender che, dopo una vera e propria odissea, hanno completato insieme la transizione per il cambio di sesso. E ora, nuovi documenti alla mano, coroneranno finalmente il loro sogno d’amore con le nozze.

“Con l’identità di genere non si può scendere a patti: puoi lottarci per un po’, ma alla fine devi accettare quello che sei perché in ballo c’è la tua vita”.

Emanuele e Maura si sono conosciuti 3 anni fa, proprio durante il difficile e lungo percorso che li avrebbe portati alla loro nuova identità. Da quel primo incontro, proprio come in una favola con la freccia di Cupido scoccata che non lascia scampo, i due non si sono più lasciati.

Uniti, supportandosi a vicenda senza mai smettere di amarsi, hanno affrontato tutte le difficoltà che si sono presentate e non sono state poche: prima la sofferenza emotiva (ma anche fisica) per la transizione, aggravata poi dalla burocrazia dello Stato. E dopo tante peripezie la luce è apparsa in fondo al tunnel: l’ufficio anagrafe del comune di Recanati, in provincia di Macerata, ha provveduto a rettificare i loro documenti di identità. Era l’ultimo step da superare prima del via libera al matrimonio. Ora non resta che organizzare.

Se quella di Nardi e Loati è una vicenda già particolarmente travagliata, anche se a lieto fine, per Maura le cose sono state, se possibile, ancora più difficili. Ha iniziato la transizione nel 2016 e quando ha completato il percorso, è stata la prima persona non vedente italiana a riuscirci. Da quando ha 19 anni soffre di una forma di cecità a causa dello sviluppo di una rara malattia alla retina, nel suo caso “è stato più semplice convivere con la cecità che con l’incongruenza di genere”.

E aggiunge: “Nonostante il supporto non è stata una passeggiata: ho avuto diversi momenti di sconforto e paura, altri in cui mi sono sentita in colpa per aver trascinato la mia famiglia in questo cammino così complesso. Oggi so che rifarei tutto. La ciliegina sulla torta è stata l’arrivo del mio compagno. Ora finalmente siamo pronti a sposarci e possiamo pensare a una cosa bella”.

#lucenews #recanati #nozze
  • Quello che molti temevano è purtroppo accaduto: per scoprire le interruzioni di gravidanza negli Usa le autorità stanno facendo ricorso anche ai dati personali contenuti nelle app di messaggistica e sui social. 

A destare scalpore è un caso in Nebraska, dove Celeste Burgess, 18 anni, e sua madre Jessica, 41, sono finite in tribunale per un presunto aborto illegale, con molteplici capi d’imputazione. La polizia ha presentato come prove i messaggi su Facebook che le due donne si sarebbero scambiate e a cui, con l’autorizzazione dei gestori della piattaforma – in questo caso Meta –, ha avuto accesso. Le chat private, secondo le autorità, mostrano le prove di un aborto farmacologico illegale, autogestito alla 28esima settimana di gestazione (settimo mese), e di un piano per nascondere "i resti”.

Dopo che la polizia ha ottenuto il materiale dai due mandati di perquisizione, Jessica è stata accusata di altri due reati, induzione all’aborto illegale e pratica dell’aborto come persona diversa da un medico autorizzato, per i quali si è nuovamente dichiarata non colpevole. Attualmente il Nebraska proibisce gli aborti dopo le 20 settimane, una legge in vigore da prima dell’annullamento della sentenza Roe v. Wade.

Il problema di fondo che emerge da questa e da tante altre vicende in materia di diritti ha un duplice aspetto: da una parte c’è l’obbligo di una società di fornire i dati alle forze dell’ordine che ne fanno richiesta per le indagini e dall’altra la possibilità di disporre di questi dati. 

Mai come oggi grandi aziende private possono disporre di informazioni personali relative ai propri utenti, e se queste sono utili per fermare chi commette crimini è un conto, ma se le leggi vengono modificate ciò che può essere giudicato come crimine cambia. Il caso di Celeste Burgess è solo un esempio, ma conferma anche che negare il diritto all’aborto non eradica il fenomeno, ma lo trasporta in una dimensione di illegalità e pericolo per la salute della donna.

#lucenews #lucelanazione #aborto #nebraska #abortion #usa
  • La scelta coraggiosa del calciatore croato Robert Peric-Komsic non poteva non fare il giro del mondo in un baleno. Nel fiore dell’età, e con tutta la vita davanti, a soli 23 anni ha deciso di lasciare il mondo del pallone. La sua non è stata una scelta forzata, è stata intimamente voluta, e se ha detto addio alla sua carriera è stato solo per una scelta d’amore. Dimostrando che la vita della propria madre viene prima di qualunque cosa. Prima della passione per il pallone, prima del successo, prima di ogni carriera.

“Non c’erano altre opzioni, io era l’unica possibilità, l’ultima. Ho avuto ben chiara qual era la mia missione: salvarla.”

L’attaccante del Cibalia Vinkovci non ci ha pensato due volte quando si è trattato di scegliere tra il suo futuro nel mondo calcistico e la salute della sua mamma malata. Per tanto, troppo tempo l’aveva vista lottare contro una malattia al fegato. Ora non c’era più tempo da perdere: si trattava di trovare un donatore compatibile, e al più presto. Lo stomaco della donna si stava oramai riempiendo di acqua, e questo voleva dire che le rimaneva poco tempo, secondo i medici che l’avevano in cura. Questione di qualche giorno appena. Il calciatore della seconda divisione croata era l’unico compatibile. A quel punto Peric-Komsic si è tolto la tuta, ha riposto maglietta e calzoncini da calciatore nella sua valigia e ha preso l’aereo, salendo sul primo volo con destinazione Istanbul. Lì ha trovato sua mamma Ljiljiana che l’aspettava per abbracciarlo, in fin di vita.

“Dopo aver lottato duramente per 13 anni, il vero eroe è lei. Io ho solo fatto quello che chiunque al posto mio avrebbe fatto."

Sono passati quattro mesi e più dall’intervento. Il trapianto è andato benee la signora Ljiljiana è migliorata molto da allora. Giorno dopo giorno ce l’ha messa tutta, e con una straordinaria forza di volontà, animata dall’amore di suo figlio, si sta piano piano riprendendo. E a chi si complimenta per aver fatto qualcosa di straordinario, con l’umiltà dei grandi risponde: “È stata mia madre a darmi la vita. Io l’ho solo estesa a lei”.

#lucenews #lucelanazione #donazionefegato #RobertPericKomsic #donarelavitaperamore
Di una bellezza affatto banale, dotata del fascino seduttivo di una voce dalla timbrica suadente e calda ma anche tintinnante e birichina. Pamela Villoresi, attrice di grande spicco nel panorama artistico italiano, è famosa per ruoli spesso impegnati in perfetta sintonia con le sue scelte di vita da donna libera, sensibilissima alle tante tematiche irrisolte dell’universo femminile e per questo sempre pronta a dare battaglia. Pratese di nascita, ha esordito a soli tredici anni, facendosi conoscere dal grande pubblico con il ‘Marco Visconti’ per poi approdare al ‘Piccolo Teatro’ del grande regista Giorgio Strehler .
Pamela Villoresi è nata a Prato il 1° gennaio 1957
Pamela Villoresi è nata a Prato il 1° gennaio 1957
La sua carriera è quella stellare delle dive di cinema e teatro, costellata da numerosi riconoscimenti e culminata a partire dal 2018 con la nomina alla direzione del prestigioso ‘Teatro Biondo’ di Palermo. La immaginiamo avvolta in un cappotto color pastello, ampio e dai bottoni grandi, un po’ anni 70 e capace di evocare certe atmosfere del film dell’epoca ‘Dedicato a Una Stella’ . Passeggiare con lei è lieve e al contempo stimolante perché il passo elastico dell’atleta per hobby segue lo stesso ritmo delle parole scandite con precisione e fluidità gradevole. È bello stimolarla con domande, perché è bello sentirla parlare, perché affascina. Pamela, la sua carriera appare quasi costantemente contraddistinta da ruoli impegnativi . Dipende da una sua scelta precisa oppure è stato il caso a decidere per lei? "Mi devo ritenere fortunata perché mi hanno offerto cose interessanti, ma per quanto fossi agli inizi ero propensa a fare cose di qualità. Se dovevo scegliere tra certi film facili che mi avrebbero regalato soldi assieme alla popolarità e l’opportunità di recitare per Strehler o al Teatro d’Europa non ho mai avuto esitazioni ".
L’attrice è vedova del direttore della fotografia Cristiano Pogany da cui ha avuto 3 figli: Eva, Tommaso e Isabel
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Quale di queste esperienze sono riuscite maggiormente a segnarla sul piano emotivo e umano? "Che dire? Strehler è stato in assoluto il mio padre teatrale ma ritengo altrettanto fondamentale aver lavorato con l’immenso Nino Manfredi. Indimenticabile e formativo aver indossato i panni di Didone, e per di più nel contesto scenografico magnificato dalle sculture portentose di Pomodoro: un enorme motivo di crescita. Ho adorato Didone, emblema della donna apparentemente sicura di sé, della donna che oggi definiremmo in carriera, eppure destinata a cadere come una pera cotta al cospetto di quel deficiente di Enea. E’ un personaggio in cui per certi versi mi identifico e che mi diverte molto. Ma poi girando per teatri antichi sono stata anche Antigone, Clitennestra e Medea che per sei anni di repliche mi ha fatto soffrire intimamente sfinendomi a causa di una immersione totale in quella figura". Le è capitato di rinunciare o rifiutare per ragioni etiche a vestire panni in cui non si riconosceva? "Naturalmente. Ho respinto diverse volte copioni che proprio non mi convincevano per la vuotezza del loro messaggio. Poi ricordo che una volta mi capitò di declinare l’offerta arrivata da un grande regista per un ruolo esplicitamente erotico. E la cosa mi dispiacque molto perché il mio rifiuto non dipendeva da ragioni di ‘pruderie’ ma da una valutazione che metteva in gioco il rapporto con i miei figli, una questione di rispetto reciproco". Una splendida donna che emana carisma e determinazione, nonostante la dolcezza del suo sguardo. In che modo si è dovuta armare nel mondo dello spettacolo? "Se una donna vuole riuscire in generale a fare carriera, a prescindere dalla professione deve armarsi di tanta pazienza e autocontrollo. Io spesso passavo dalla parte del torto perché reagivo. Oggi resto ferma e mi impongo di contare fino a cinquecento prima di rispondere a una provocazione, poi magari non dormo la notte. Posso assicurare che anche adesso in qualità di direttrice di teatro non mi vengono risparmiate critiche e contestazioni specialmente quando è necessario prendere decisioni impopolari. Allora devi essere forte perché spesso ti sparano alle spalle e allora è indispensabile deviare i colpi e apprendere la forza fluida dell’acqua".
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Pamela Villoresi è nata a Prato da padre toscano e madre tedesca
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