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Home » HP Blocco Grande » Pupi Avati e le donne, quando l’amore è per sempre: “Io impacciato come Dante. Sono geloso perché ho paura di essere abbandonato”

Pupi Avati e le donne, quando l’amore è per sempre: “Io impacciato come Dante. Sono geloso perché ho paura di essere abbandonato”

Dal culto della madre al tradimento della moglie. Il regista racconta a Luce! la sua vita, fatta di amori e riflessioni: "Quando le cose vanno male, mi rifugio nel ricordo delle 'mie' donne. Fa strano pensare a quando vendevo surgelati. Prima non mi considerava nessuno, quando ho iniziato a lavorare nel cinema all'improvviso sono diventato seducente"

Guido Guidi Guerrera
20 Marzo 2022
Pupi Avati

Pupi Avati

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“Beatrice, l’amata senza speranza da Dante Alighieri, è la figura ideale per disegnare nel mio film l’arazzo perfetto di un’epoca in fatto di relazioni d’amore. Un medioevo  che ha finito per rovinarmi, con tutte quelle sue assurde logiche fatte di attese spesso assolutamente inutili”. Parola di Pupi Avati, un ragazzino ultraottantenne alacre di mente che non smette mai di stupirsi e di stupire. Sarà infatti presto nelle sale cinematografiche il suo attesissimo ‘Dante‘. “Un’opera che ho atteso di fare per ben diciotto anni scontrandomi con muri di indifferenza – spiega il regista -. Posso dire che mi hanno intrigato in modo speciale l’adolescenza, la gioventù di Alighieri e quell’amore mai corrisposto che ho immaginato come esempio perfetto della locuzione ‘per sempre'”. 

Avati è un regista famoso non solo in Italia ma in tutto il mondo per aver commosso, coinvolto e talvolta turbato con i suoi film intere generazioni di cinefili. Ultimamente la pellicola da lui diretta ‘Lei mi parla ancora‘ ha riscosso un successo incondizionato, grazie anche alla intensa interpretazione di un inedito Renato Pozzetto. Il  suo ‘regno’ romano è racchiuso in  una stanza ricavata nel vasto ufficio della ‘DueA’ che condivide con il fratello Antonio. Le pareti sono tappezzate di fotografie dei grandi del cinema di tutti i tempi, immagini che raccontano storie, che parlano da sole della grandezza del regista e fanno immediatamente riaffiorare alla mente titoli di film indimenticabili.

Il regista Pupi Avati, 83 anni, posa per i fotografi durante il photocall per la presentazione del suo film “Il signor diavolo”

Ha il giornale aperto sulla scrivania ingombra di libri, oggetti vari sparsi in allegro disordine, cartelle con book fotografici ed altre che sembrano contenere sceneggiature. Lo sguardo è fisso sul quotidiano che riporta le spaventose notizie di questi giorni. “Avevo solo cinque anni quando io e i miei ci eravamo trasferiti da sfollati nella campagna di San Leo per sfuggire alle bombe. Lì ho cominciato a imparare a vivere su questa terra e da quel posto, protetto dalla mia famiglia mentre stavano bombardando Bologna, mi sembrava di assistere a uno spettacolo meraviglioso di fuochi d’artificio. Paradossalmente lo ricordo come uno dei momenti più belli della mia vita. Perciò il mio cinema può considerarsi  il prodotto di quei profumi, delle prime sensazioni e di quelle luci che hanno contribuito a formare la mia  identità”. 

Con negli occhi i ricordi delle atrocità della guerra magicamente trasfigurate da una precoce e accesa fantasia in cui si indovina  la poesia degli esteti, Pupi Avati rievoca i fantasmi di ieri forse per scongiurare quelli che rendono inquieti i nostri giorni. Lo fa a suo modo, con ironia, garbo e una sana dose di  rassegnata indulgenza verso il mondo che cambia troppo velocemente e nei confronti di se stesso, legato com’è a memorie divenute fatalmente patrimonio troppo intimo per non essere esclusivo. 

Mariangela Melato (1941-2013). Pupi Avati la ricorda così: “Era la personificazione di eleganza, fascino e talento fusi insieme”

“Quando le cose vanno male, quando i fatti del mondo mi fanno paura, mi rifugio nel ricordo delle ‘mie’ donne: quelle che hanno contato di più nella mia vita.  Spazzo via così i cattivi pensieri, le ombre brutte, perché le donne sono creature d’amore nate per farci dimenticare l’odio e la violenza“. Le figure femminili sono state fondamentali nella vita di Pupi Avati, a partire da quella centrale della madre, rimasta vedova dopo un incidente stradale in cui il marito aveva perso la vita.  Era il dieci agosto del 1950 e la curva in direzione Sant’Arcangelo di Romagna, esattamente la stessa in cui quasi un secolo prima il padre di Giovanni Pascoli era stato freddato da due sicari mentre tornava a casa in calesse. Da quell’istante mamma Ines dovrà essere per i suoi figli madre e padre al contempo. Dando prova di straordinaria  tempra caratteriale e tanto coraggio diventerà loro consigliera, educatrice e migliore amica, disposta a difenderli in ogni occasione, appoggiandone le scelte ma anche pronta ad essere severa all’occorrenza. Un faro assoluto nella vita di Pupi e dei suoi fratelli. Un modello femminile di marcata espressività che, declinato nei modi più diversi,  non mancherà di manifestarsi nel  suo cinema sempre costellato da importanti attrici: nomi di grande valore come Francesca Neri, Vanessa Incontrada, Ines Sastre, Violante Placido.  Con Mariangela Melato a svettare su tutte per le eccezionali qualità di metamorfosi, versatile in ogni ruolo e abile come poche nel saper indossare le maschere dei suoi personaggi con disinvoltura e in maniera perfetta .  

“La Melato è stata l’attrice più importante in modo assoluto. Dal primo giorno che abbiamo iniziato a fare cinema insieme ho capito quanto fosse una compagna di lavoro brava ed efficiente. Mariangela non era solo bella: era la personificazione di eleganza, fascino e talento fusi insieme. Continuo a ritenerla la prima attrice ‘pensante‘ del mio cinema: aveva un bagaglio di idee proprie, idee intelligenti e stimolanti  con cui era sempre interessante confrontarsi. Era unica. Poi naturalmente ce ne sono state altre: Laura Morante, ad esempio, con cui è stato bello e piacevole scambiarsi opinioni sul set. Laura è una donna di carattere che non subisce mai passivamente il ruolo del regista, anzi lo aiuta consigliandolo con perspicacia. Devo molto anche a Micaela Ramazzotti con la quale ho girato una serie molto lunga e faticosa dal titolo ‘Un Matrimonio’. Quando Micaela arrivava sapevamo che le nostre batterie si sarebbero ricaricate di energia positiva  grazie alla sua  overdose di  ottimismo e vivacità in grado di fare bene a tutta la troupe”. 

Micaela Ramazzotti, Pupi Avati e Cesare Cremonini al 6th International Rome Film Festival

E nella vita personale di Avati, che ruolo ha avuto la figura femminile?

“La donna che ha inciso di più nella mia esistenza? Sicuramente mia madre che ho considerato ‘summa’ dell’ideale femminile. Un tipo di donna che si è colpevolizzata tutta la vita per quei suoi figli orfani, e per questo si è sacrificata in modo incondizionato. L’effetto è stato quello di obbligarmi a tarare su quell’esempio tutte le donne della mia esistenza. Mia moglie stessa con cui vivo da più di cinquant’anni è riuscita per fortuna a resistere e a difendere con decisione la propria indipendenza da certe bizzarre proiezioni psicologiche. Per il resto, lo confesso: la mia visione dell’universo femminile appartiene a criteri di un mondo vecchio  in cui la bellezza di una donna era esaltata al massimo. Noi ragazzi di quell’epoca davamo esclusiva importanza all’aspetto estetico. Solo più tardi ho compreso, anche grazie ai miei figli, che le donne possono essere addirittura soltanto buone amiche…”.

Di solito i protagonisti delle sue pellicole sono timidi o tremendamente pasticcioni nelle faccende d’amore. Sono in qualche modo l’immagine di se stesso?

“È così: mi somigliano perché interpretano il personaggio che conosco meglio. Ero inadeguato e impacciato e non avevo nessuna fortuna con le donne. Ripensandoci  mi brucia ancora il ricordo di quelle che mi hanno dato buca, mentre ho dimenticato completamente i pochi successi. Il pedinamento sterile di Dante nei confronti di  Beatrice durato nove anni, che racconto nel film in uscita, è una situazione che ho vissuto personalmente. Mi consumavo in corteggiamenti che non portavano a nulla se non a qualche vago cenno di saluto. Ai miei tempi fare la corte a una ragazza era segnato da conquiste impercettibili: si dava peso perfino a un gesto involontario, all’espressione del volto o all’intensità di uno sguardo. Un lungo travaglio che quando non si mostrava del tutto vano portava al fidanzamento ufficiale e al matrimonio. Ogni cosa accadeva a suo tempo, diluito e spalmato in periodi lunghissimi, decisamente assurdi per il mondo accelerato di oggi”. 

Pupi Avati racconta di essere estremamente geloso: “In realtà sono sempre vissuto nel timore dell’abbandono, nel perenne stato d’allarme di chi teme costantemente azioni di tradimento”

Cosa ne pensa del concetto di fedeltà?

“Ne ho una idea quasi dogmatica perché riguarda ogni mio rapporto con gli altri, qualunque esso sia. In realtà non concepisco derive nelle amicizie, nel  lavoro, nei sentimenti: chi è con me non dovrà mai darmi l’impressione di fare il doppio gioco. La mia è una forma di gelosia e possessività che ha procurato sofferenza, di questo sono consapevole, anche se trovo difficile liberarmene. In realtà sono sempre vissuto nel timore dell’abbandono, nel perenne stato d’allarme di chi teme costantemente azioni di tradimento, tutti aspetti forse necessari per un processo di crescita”. 

Ha mai tradito sua moglie?

“È ineluttabile che avvenga non appena cominci a indossare una identità che ti espone a questo tipo di esperienze. Quando da venditore di surgelati sono passato al ruolo di regista cinematografico tutto è cambiato: all’improvviso ero diventato affascinante e seducente. Gli effetti della mia nuova professione erano palesi, anche se la vanità  ti fa immaginare doti inesistenti. Il ruolo è tutto. Una ubriacatura che si è tradotta in un periodo di separazione da mia moglie a causa del quale ho sofferto come mai in vita mia. Ritengo tuttavia salutare questa prova: può servire a capire che stare assieme con chi sa proprio tutto di te è la cosa più giusta da fare, ed è  utile per restituire pieno e rinnovato significato a quella ormai  desueta espressione che è  ‘per sempre'”. 

Tra le attrici più acclamate da Pupi Avati c’è anche Laura Morante: “È stato bello e piacevole scambiarsi opinioni sul set”, dice il regista

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
"Beatrice, l'amata senza speranza da Dante Alighieri, è la figura ideale per disegnare nel mio film l'arazzo perfetto di un'epoca in fatto di relazioni d'amore. Un medioevo  che ha finito per rovinarmi, con tutte quelle sue assurde logiche fatte di attese spesso assolutamente inutili". Parola di Pupi Avati, un ragazzino ultraottantenne alacre di mente che non smette mai di stupirsi e di stupire. Sarà infatti presto nelle sale cinematografiche il suo attesissimo 'Dante'. "Un'opera che ho atteso di fare per ben diciotto anni scontrandomi con muri di indifferenza - spiega il regista -. Posso dire che mi hanno intrigato in modo speciale l'adolescenza, la gioventù di Alighieri e quell'amore mai corrisposto che ho immaginato come esempio perfetto della locuzione 'per sempre'".  Avati è un regista famoso non solo in Italia ma in tutto il mondo per aver commosso, coinvolto e talvolta turbato con i suoi film intere generazioni di cinefili. Ultimamente la pellicola da lui diretta 'Lei mi parla ancora' ha riscosso un successo incondizionato, grazie anche alla intensa interpretazione di un inedito Renato Pozzetto. Il  suo 'regno' romano è racchiuso in  una stanza ricavata nel vasto ufficio della 'DueA' che condivide con il fratello Antonio. Le pareti sono tappezzate di fotografie dei grandi del cinema di tutti i tempi, immagini che raccontano storie, che parlano da sole della grandezza del regista e fanno immediatamente riaffiorare alla mente titoli di film indimenticabili.
Il regista Pupi Avati, 83 anni, posa per i fotografi durante il photocall per la presentazione del suo film "Il signor diavolo"
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Mariangela Melato (1941-2013). Pupi Avati la ricorda così: "Era la personificazione di eleganza, fascino e talento fusi insieme"
"Quando le cose vanno male, quando i fatti del mondo mi fanno paura, mi rifugio nel ricordo delle 'mie' donne: quelle che hanno contato di più nella mia vita.  Spazzo via così i cattivi pensieri, le ombre brutte, perché le donne sono creature d'amore nate per farci dimenticare l'odio e la violenza". Le figure femminili sono state fondamentali nella vita di Pupi Avati, a partire da quella centrale della madre, rimasta vedova dopo un incidente stradale in cui il marito aveva perso la vita.  Era il dieci agosto del 1950 e la curva in direzione Sant'Arcangelo di Romagna, esattamente la stessa in cui quasi un secolo prima il padre di Giovanni Pascoli era stato freddato da due sicari mentre tornava a casa in calesse. Da quell'istante mamma Ines dovrà essere per i suoi figli madre e padre al contempo. Dando prova di straordinaria  tempra caratteriale e tanto coraggio diventerà loro consigliera, educatrice e migliore amica, disposta a difenderli in ogni occasione, appoggiandone le scelte ma anche pronta ad essere severa all'occorrenza. Un faro assoluto nella vita di Pupi e dei suoi fratelli. Un modello femminile di marcata espressività che, declinato nei modi più diversi,  non mancherà di manifestarsi nel  suo cinema sempre costellato da importanti attrici: nomi di grande valore come Francesca Neri, Vanessa Incontrada, Ines Sastre, Violante Placido.  Con Mariangela Melato a svettare su tutte per le eccezionali qualità di metamorfosi, versatile in ogni ruolo e abile come poche nel saper indossare le maschere dei suoi personaggi con disinvoltura e in maniera perfetta .   "La Melato è stata l'attrice più importante in modo assoluto. Dal primo giorno che abbiamo iniziato a fare cinema insieme ho capito quanto fosse una compagna di lavoro brava ed efficiente. Mariangela non era solo bella: era la personificazione di eleganza, fascino e talento fusi insieme. Continuo a ritenerla la prima attrice 'pensante' del mio cinema: aveva un bagaglio di idee proprie, idee intelligenti e stimolanti  con cui era sempre interessante confrontarsi. Era unica. Poi naturalmente ce ne sono state altre: Laura Morante, ad esempio, con cui è stato bello e piacevole scambiarsi opinioni sul set. Laura è una donna di carattere che non subisce mai passivamente il ruolo del regista, anzi lo aiuta consigliandolo con perspicacia. Devo molto anche a Micaela Ramazzotti con la quale ho girato una serie molto lunga e faticosa dal titolo 'Un Matrimonio'. Quando Micaela arrivava sapevamo che le nostre batterie si sarebbero ricaricate di energia positiva  grazie alla sua  overdose di  ottimismo e vivacità in grado di fare bene a tutta la troupe". 
Micaela Ramazzotti, Pupi Avati e Cesare Cremonini al 6th International Rome Film Festival
E nella vita personale di Avati, che ruolo ha avuto la figura femminile? "La donna che ha inciso di più nella mia esistenza? Sicuramente mia madre che ho considerato 'summa' dell'ideale femminile. Un tipo di donna che si è colpevolizzata tutta la vita per quei suoi figli orfani, e per questo si è sacrificata in modo incondizionato. L'effetto è stato quello di obbligarmi a tarare su quell'esempio tutte le donne della mia esistenza. Mia moglie stessa con cui vivo da più di cinquant'anni è riuscita per fortuna a resistere e a difendere con decisione la propria indipendenza da certe bizzarre proiezioni psicologiche. Per il resto, lo confesso: la mia visione dell'universo femminile appartiene a criteri di un mondo vecchio  in cui la bellezza di una donna era esaltata al massimo. Noi ragazzi di quell'epoca davamo esclusiva importanza all'aspetto estetico. Solo più tardi ho compreso, anche grazie ai miei figli, che le donne possono essere addirittura soltanto buone amiche...". Di solito i protagonisti delle sue pellicole sono timidi o tremendamente pasticcioni nelle faccende d'amore. Sono in qualche modo l'immagine di se stesso? "È così: mi somigliano perché interpretano il personaggio che conosco meglio. Ero inadeguato e impacciato e non avevo nessuna fortuna con le donne. Ripensandoci  mi brucia ancora il ricordo di quelle che mi hanno dato buca, mentre ho dimenticato completamente i pochi successi. Il pedinamento sterile di Dante nei confronti di  Beatrice durato nove anni, che racconto nel film in uscita, è una situazione che ho vissuto personalmente. Mi consumavo in corteggiamenti che non portavano a nulla se non a qualche vago cenno di saluto. Ai miei tempi fare la corte a una ragazza era segnato da conquiste impercettibili: si dava peso perfino a un gesto involontario, all'espressione del volto o all'intensità di uno sguardo. Un lungo travaglio che quando non si mostrava del tutto vano portava al fidanzamento ufficiale e al matrimonio. Ogni cosa accadeva a suo tempo, diluito e spalmato in periodi lunghissimi, decisamente assurdi per il mondo accelerato di oggi". 
Pupi Avati racconta di essere estremamente geloso: "In realtà sono sempre vissuto nel timore dell'abbandono, nel perenne stato d'allarme di chi teme costantemente azioni di tradimento"
Cosa ne pensa del concetto di fedeltà? "Ne ho una idea quasi dogmatica perché riguarda ogni mio rapporto con gli altri, qualunque esso sia. In realtà non concepisco derive nelle amicizie, nel  lavoro, nei sentimenti: chi è con me non dovrà mai darmi l'impressione di fare il doppio gioco. La mia è una forma di gelosia e possessività che ha procurato sofferenza, di questo sono consapevole, anche se trovo difficile liberarmene. In realtà sono sempre vissuto nel timore dell'abbandono, nel perenne stato d'allarme di chi teme costantemente azioni di tradimento, tutti aspetti forse necessari per un processo di crescita".  Ha mai tradito sua moglie? "È ineluttabile che avvenga non appena cominci a indossare una identità che ti espone a questo tipo di esperienze. Quando da venditore di surgelati sono passato al ruolo di regista cinematografico tutto è cambiato: all'improvviso ero diventato affascinante e seducente. Gli effetti della mia nuova professione erano palesi, anche se la vanità  ti fa immaginare doti inesistenti. Il ruolo è tutto. Una ubriacatura che si è tradotta in un periodo di separazione da mia moglie a causa del quale ho sofferto come mai in vita mia. Ritengo tuttavia salutare questa prova: può servire a capire che stare assieme con chi sa proprio tutto di te è la cosa più giusta da fare, ed è  utile per restituire pieno e rinnovato significato a quella ormai  desueta espressione che è  'per sempre'". 
Tra le attrici più acclamate da Pupi Avati c'è anche Laura Morante: "È stato bello e piacevole scambiarsi opinioni sul set", dice il regista
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