Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Evento 2022
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Evento 2022
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » HP Trio » Il cognome materno ai figli non è più un tabù. Le lotte per riscrivere regole e carta d’identità

Il cognome materno ai figli non è più un tabù. Le lotte per riscrivere regole e carta d’identità

In Italia manca una legge e il via libera al doppio cognome è arrivato dalla Corte costituzionale. Iole Natoli, che lotta dal 1980 ha un disegno di legge nel cassetto. E due coppie raccontano come dopo iter estenuanti e tira e molla delle autorità sono giunte al traguardo

Claudio Capanni
27 Aprile 2022
iole natoli

iole natoli

Share on FacebookShare on Twitter

Le pratiche ogni anno sono almeno seimila. Arrivano sulle scrivanie delle 106 prefetture italiane. Sono richieste di cittadini per cambiare nome o cognome. Ma uno su quattro domanda un’altra cosa: aggiungere il cognome materno a quello paterno. Genitori che lo chiedono per i figli. E maggiorenni che ripudiano il cognome del padre perché vittime della sua violenza. C’è anche chi vorrebbe, per i figli, solo il cognome materno. Ma la legge non lo permette. Su questo fronte la Corte costituzionale ha partorito una sentenza storica: stop all’automatismo del cognome paterno ai figli. È una decisione storica grazie alla quale sarà possibile rinascere una seconda volta. Stavolta nel nome della madre.

La storia di Iole Natoli, 40 anni di battaglie per una legge mai arrivata

Poche lettere in più sulla carta d’identità, lì, dopo il cognome. Sembra una passeggiata. Ma non lo è. Per Iole Natoli, pittrice, scrittrice e giornalista, nata a Palermo ma trapiantata nel 1990 a Milano, quella passeggiata è iniziata 41 anni fa. E dura ancora oggi. Nel 1980 è stata la prima italiana a battersi in tribunale per far attribuire alle figlie anche il suo cognome. In Italia però una legge non c’è. A maggio 2021, prima della storica decisione della Consulta, diceva: “Il Codice Civile sancisce solo che ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito”. E per attribuirlo c’è solo una prassi: scartare a priori il materno. Ma per lei così non va. “Il cognome patrilineare è il burqa culturale delle donne”. Lo pensava già nel 1980. Quell’anno si mette in testa di dimostrare che quella prassi viola la Costituzione e intenta causa civile al Ministro dell’Interno. Le motivazioni sono nelle carte che vengono depositate 41 anni  fa in aula. Dove è scritto: “L’attribuzione del solo cognome paterno risulta lesiva della dignità sociale della donna e della sua posizione di madre”.

“Chieda la concessione al ministro”

Da studiosa di psicologia e antrolopologia culturale Iole Natoli ha teorizzato che la genesi delle disuguaglianze fra uomo e donna scatta proprio in anagrafe. “Dove si continua a trasmettere alle nuove generazioni un messaggio di prevaricazione maschile legittimata”. Una teoria rivoluzionaria, specie nell’Italia del 1980. Iole Natoli, quell’anno, la espone anche su L’Ora di Palermo. Un illustre giurista come Giovanni Conso, futuro presidente della Corte costituzionale, le dà contro su La Stampa replicando: “La patrilinearità è insostituibile misura a tutela dell’unità familiare”. Lei tira dritto. È convinta d’una cosa: “Che nessuno mi doveva ‘concedere’ nulla”. La scintilla della battaglia che sbarcherà in tribunale è in quel verbo. “Me lo sentii dire nel 1966, quando nacque la mia prima figlia. Andai all’anagrafe per chiedere le fosse aggiunto il mio cognome”. L’impiegato la gelò: “Può solo chiederlo per concessione al ministro di Grazia e Giustizia”. Lei s’indignò. “Avevo partorito mia figlia e ora un’autorità avrebbe dovuto concedermi qualcosa?”.

Iole Natoli, pioniera delle battaglie per il cognome della madre

“La prossimità neonatale”

Passano 14 anni e conosce un avvocato. Con lui discute le sue idee sul ruolo del cognome, maritale e dei figli, che ha già esposto in un saggio con alcuni possibili articoli di legge. Parlano anche della sua lontana richiesta all’anagrafe. “Mi disse che sarebbe ancora stato possibile adire il tribunale per far valere i miei diritti di donna. Pensai: se fossi arrivata alla Corte costituzionale, il Parlamento avrebbe dovuto legiferare”. La battaglia legale inizia. Ma nel 1982 il tribunale civile di Palermo rigetta l’eccezione di costituzionalità, smontando la sua teoria. “La motivazione? Il cognome viene acquisito dai figli e non trasmesso dal padre. Come il padre non aveva diritto di trasmissione non potevo averlo nench’io da madre”. Per quelle lettere dopo il cognome lì, sulla carta d’identità non c’è spazio. Iole Natoli perde, ma non si arrende. Scrive articoli, saggi e bussa in Parlamento presentando petizioni. Formula la teoria della “prossimità neonatale” . Cioè? “Accettare la priorità del cognome materno non è un di più che si concede alla donna. E’ un riconoscere quel di più che lei fa con 9 mesi di gravidanza e un parto ed è anche un rispettare il figlio, che alla nascita si rapporta alla madre e non al padre”.

Iole Natoli di fronte al tribunale di Palermo nel 1982, quando fu discussa la causa civile da lei intentata contro il governo per il diritto al doppio cognome

La Consulta: sì al doppio cognome se c’è accordo fra i genitori

Quell’idea prende corpo alla Camera nella XVII legislatura con le deputate Marisa Nicchi di Sel e Marilena Fabbri del Pd. Tanto che Fabbri nella sua proposta di legge, cita alla lettera la “prossimità neonatale” di Iole Natoli. Dal suo primo saggio sul doppio cognome del 1979, di disegni di legge parlamentari ne sono stati presentati molti. Tutti senza approdo finale. La sentenza della Corte costituzionale su cui 41 anni fa Iole contava, arriva invece, seppur in forma parziale l’8 novembre del 2016. La Consulta preso atto della condanna inflitta all’Italia nel 2014 dalla  Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, apre uno spiraglio alle donne: due genitori, se concordi, hanno il diritto di dare al figlio il doppio cognome.

Per Iole Natoli però non basta: “In caso di discordia tra genitori nulla cambia. Peraltro, l’interpretazione restrittiva di una circolare dell’Interno stabilisce che, nei cognomi attribuiti alla nascita, quello della madre non può precedere quello del padre”. E per i nati prima del 2016, per l’aggiunta del materno, resta solo la via della Prefettura. Ma la richiesta delle madri viene respinta se non c’è il consenso del padre non decaduto dalla potestà genitoriale. Per chi è già maggiorenne, invece, non la sostituzione del paterno col materno non è facile: se non ci sono motivazioni forti si rischia la bocciatura. “Per questo serve una legge”.

“Prima la madre”: la rivoluzione resta nel cassetto

Per quella legge che non c’è, Iole Natoli lotta su Facebook dove ha fondato un gruppo che aggrega più di 1500 utenti. Si chiama: “Il Cognome Materno in Italia – Procedure prefettizie e anagrafiche”. Molti prima di bussare in Prefettura, passano da qui per capire il da farsi. Nel 2018 ha lanciato una petizione. Contiene 12 articoli per una proposta di legge. “E’ stata annunciata in Parlamento in questa legislatura”.

Al contrario delle sette proposte di legge di senatrici e deputate, il suo progetto prevede la priorità del cognome materno per “prossimità neonatale”. “Come il doppio cognome serve a svegliare le coscienze, soprattutto degli uomini, così la priorità del materno, che non esclude però l’inversione dei cognomi, serve a far metabolizzare alla popolazione maschile la realtà della natura. A fare accettare che fare figli non è solo questione di geni parimenti trasmessi dai genitori. Senza una gravidanza e un parto, la maternità e la paternità non esisterebbero nemmeno. Perché il rimosso non produca danni è necessario portarlo allo scoperto”. Quel rimosso sono poche lettere che aspettano d’esser scritte su milioni di carte d’identità. “È questo che, da quel lontano giorno degli inizi, io mi sono ripromessa di fare”.

Sandra e Andrea: “Educhiamo nostra figlia alla parità fra genitori”

Andrea e Sandra, di Pescara

I più innocenti sono i bimbi. Gli fanno spesso quella domanda: “E perché ne hai due?”. I più sfacciati sono gli adulti. Anche loro fanno spesso quella domanda. Ma ai suoi genitori. “Ne ha due? E perché?”. Questione di invertire toni e parole. E le due domande cambiano. Curiosità, la prima. Diffidenza, la seconda. Ma Sandra, 45 anni, di Pescara, ci ha fatto l’abitudine. “E non tornerei indietro. Anche se qualcuno ci prende per snob”. Sua figlia, dal 2016, porta due cognomi: prima il suo, poi quello del marito Andrea. La decisione l’ha presa con lui. “Le domande delle persone le avevamo messe in conto”. Quello che non aveva calcolato però era che la burocrazia non stesse al passo con la loro scelta. La figlia, nata nel 2014, all’anagrafe era registrata solo col cognome paterno. “La richiesta per l’aggiunta del mio è stata fatta due anni dopo, nel 2016”.

Quindi tutto da cambiare: dallo Stato Civile al codice fiscale. “Anche la sua registrazione dal pediatra”. Sandra si arma di pazienza: va di ufficio in ufficio col decreto del Prefetto che attesta il cambio di cognome della piccola. “In realtà tutte le modifiche negli uffici dovrebbero avvenire in automatico. Ma non è sempre così. Il mio consiglio a chi vuol fare questo passo: insistete subito con tutti gli enti e pretendete l’aggiornamento. Altrimenti potrebbero crearsi problemi”. Come quando portò la piccola a vaccinarsi. E l’Asl non riusciva a trovare la sua posizione tra le schede vaccinali.

“Do continuità al casato di  mio padre” 

Ma perché aggiungere il cognome materno? “L’idea è nata da me, le motivazioni sono due. La prima è educativa: un figlio che cresce sapendo di avere due cognomi, ha più possibilità di dare lo stesso valore all’eredità affettiva e familiare del padre e della madre”. Per farlo serve il consenso di entrambi i genitori. “Ne parlai con mio marito Andrea e lui era d’accordo. L’altro motivo
può sembrare invece contraddittorio, ma non lo è: nella famiglia di mio padre non erano nati figli maschi”. Il cognome materno cioè rischiava di estinguersi. “E non era giusto. Si devono conservare anche le radici materne”.   Poi è venuto il dubbio più grande: quale cognome mettere prima? La scelta di Sandra e Andrea è stata anteporre il materno. “L’abbiamo deciso insieme. Aveva semplicemente un suono migliore, era più facile pronunciarlo”.

L’iter burocratico e le motivazioni 

Per avviare l’iter la coppia ha bussato in prefettura. E’ da qui che deve passare chiunque, se non registrato già all’anagrafe con doppio cognome al momento della nascita, vuole fare qualsiasi modifica. L’iter è stato snellito nel 2012. In tre mesi, di solito, le pratiche vengono evase. Ma l’istruttoria rischia sempre d’esser bocciata se ha motivazioni deboli. “Vanno spiegate attentamente. Il nostro punto cardine era l’interesse educativo della minore. Abbiamo spiegato che grazie al doppio cognome avrebbe avuto conoscenza fin da piccola della parità tra i genitori. Una certezza che l’avrebbe agevolata nella sua formazione”. L’istanza viene accolta dal prefetto e arriva il via libera. Dopo è la volta dell’affissione del decreto per trenta giorni sull’albo pretorio del Comune. “In quel mese, chi ha interessi legittimi può opporsi. Nel nostro caso non l’ha fatto nessuno”.

“Sembra un capriccio, ma non lo è”

Ma Sandra e Andrea, sotto sotto, si sentono ancora pionieri. Lo leggono negli sguardi delle persone. “Questa scelta spesso non viene vista come un fatto naturale. C’è ancora molta diffidenza e ci prendono come un caso a se stante”. Un capriccio. “Ma non lo è. Dietro c’è una riflessione sulla parità dei generi”. E, forse, chi continua a chiedere: “Perché ne hai due?” quella riflessione ancora non l’ha fatta.

Giacomo ed Elisabetta: “Il prefetto disse no, poi si è ricreduto”

Elisabetta e Giacomo, la coppia di Udine che ha imposto il doppio cognome al figlio, nato nel 2012

“Questo ufficio ritiene che la domanda non possa essere accolta in quanto non risulta essere adeguatamente motivata”. Era agosto 2013. E la prefettura di Udine rispose così. L’istruttoria che Elisabetta e Giacomo, 38 e 39 anni, entrambi del Friuli-Venezia Giulia, avevano avviato un anno prima fu bocciata. La loro richiesta: aggiugere il cognome materno al quello paterno di loro figlio, nato nel 2012. A Elisabetta l’idea viene in gravidanza. “Mi sono detta: dopo tutta questa fatica è anche giusto che al piccolo vada il mio cognome, non solo quello del papà”. Il compagno è d’accordo.

La sentenza della Consulta che consentirà di effettuare la richiesta di doppio cognome già alla registrazione in anagrafe, arriverà solo 4 anni dopo. Elisabetta e Giacomo sono nelle mani del prefetto a cui il governo dal 2012, in assenza di una legge in materia, ha devoluto l’iter. Incluso il diritto di vita o di morte sulle richieste d’aggiunta del doppio cognome. “A pochi mesi dalla nascita di nostro figlio abbiamo compilato i moduli necessari. Fra cui quello per fornire le adeguate motivazioni della scelta”. Eliesabetta punta sulle ragioni educative: trasmettere al figlio il concetto che entrambi i genitori hanno pari dignità. “Volevamo ottenere una migliore integrazione familiare e sociale: la presenza del cognome materno avrebbe contribuito a una formazione più completa di nostro figlio. Volevamo che si sentisse parte integrante anche della famiglia d’origine della madre”. In poche parole: far capire, da subito che mamma e papà, donna e uomo, hanno la stessa importanza.

Cosa ne pensano gli altri ‘proprietari’ del cognome?

Ma alla Prefettura non basta. “Dopo l’avvio dell’istruttoria – raccointa Elisabetta – ci viene richiesto il parere da parte di mio padre e mio zio”. Gli uffici vogliono sapere se gli altri “proprietari” del cognome sono d’accordo. “Entrambi dettero parere favorevole alla prefettura”. Elisabetta e il compagno restano in attesa. Poi la doccia fredda. “Un anno dopo la richiesta, arriva per raccomandata la risposta. Il parere è negativo: le motivazioni vengono giudicate insufficienti”. La coppia però non demorde. “Ci siamo detti: perché un prefetto deve opporsi alla volontà di due genitori? Non stavamo facendo nulla di contrario all’interesse del minore. Così ci siamo rivolti a un avvocato”. Il carteggio con la prefettura va avanti. Elisabetta e il compagno spediscono agli uffici una memoria per integrare le loro motivazioni. Ma non basta. L’ultima chance sono le vie legali. “Abbiamo fatto ricorso al Tar e impugnato il decreto della Prefettura per eccesso di potere”.

“Come mai i miei amici ne hanno uno solo?”

Oggi l’odissea burocratica della coppia non si ripeterebbe. I giudici della Consulta infatti, l’8 novembre 2016, hanno scritto una sentenza rivoluzionaria in questo ambito: la 286, pubblicata poi in Gazzetta il 21 dicembre 2016. La Corte Costituzonale ha sancito cioè che la preclusione all’aggiunta del cognome materno, pregiudica il diritto all’identità personale del minore. Ma non solo. Costituisce anche “un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare”. Ma a quel traguardo, per Elisabetta e il compagno, mancano ancora 4 anni. Per loro la sorpresa arriva comunque. “Poco prima dell’udienza, la prefettura fa sapere di aver rinunciato a resistere e concede il cambio di cognome”. Il Tar, su quel caso, non si pronuncerà mai. “Siamo riusciti a ottenere una vittoria quando non ci speravamo più”. Era il 2015. Dalla prima richiesta erano passati tre anni. Oggi il piccolo a quei due cognomi ci ha fatto l’abitudine. “Per lui è un fatto del tutto naturale. Anzi, a volte ci chiede: come mai i miei amici ne hanno uno solo?”.

Potrebbe interessarti anche

Lazio, da febbraio pillola anticoncezionale gratis nei consultori
Attualità

Pillola anticoncezionale gratuita nei consultori del Lazio. La ginecologa: “Passo verso le donne”

24 Gennaio 2023
Maggie Maurer, il suo nome completo è Margaret Joy ed è nata nel 1990 nello stato di New York
Lifestyle

Maggie Maurer e il post mentre allatta la figlia nel backstage dello show couture di Schiaparelli

27 Gennaio 2023
Fernanda Maciel è nata a Bela Horizonte nel 1980 (Instagram)
Sport

Chi è Fernanda Maciel, la donna che ha scalato di corsa il Monte Vinson

21 Gennaio 2023

Instagram

  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Le pratiche ogni anno sono almeno seimila. Arrivano sulle scrivanie delle 106 prefetture italiane. Sono richieste di cittadini per cambiare nome o cognome. Ma uno su quattro domanda un’altra cosa: aggiungere il cognome materno a quello paterno. Genitori che lo chiedono per i figli. E maggiorenni che ripudiano il cognome del padre perché vittime della sua violenza. C’è anche chi vorrebbe, per i figli, solo il cognome materno. Ma la legge non lo permette. Su questo fronte la Corte costituzionale ha partorito una sentenza storica: stop all'automatismo del cognome paterno ai figli. È una decisione storica grazie alla quale sarà possibile rinascere una seconda volta. Stavolta nel nome della madre.

La storia di Iole Natoli, 40 anni di battaglie per una legge mai arrivata

Poche lettere in più sulla carta d’identità, lì, dopo il cognome. Sembra una passeggiata. Ma non lo è. Per Iole Natoli, pittrice, scrittrice e giornalista, nata a Palermo ma trapiantata nel 1990 a Milano, quella passeggiata è iniziata 41 anni fa. E dura ancora oggi. Nel 1980 è stata la prima italiana a battersi in tribunale per far attribuire alle figlie anche il suo cognome. In Italia però una legge non c’è. A maggio 2021, prima della storica decisione della Consulta, diceva: “Il Codice Civile sancisce solo che ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito”. E per attribuirlo c’è solo una prassi: scartare a priori il materno. Ma per lei così non va. “Il cognome patrilineare è il burqa culturale delle donne”. Lo pensava già nel 1980. Quell’anno si mette in testa di dimostrare che quella prassi viola la Costituzione e intenta causa civile al Ministro dell’Interno. Le motivazioni sono nelle carte che vengono depositate 41 anni  fa in aula. Dove è scritto: "L’attribuzione del solo cognome paterno risulta lesiva della dignità sociale della donna e della sua posizione di madre”.

"Chieda la concessione al ministro"

Da studiosa di psicologia e antrolopologia culturale Iole Natoli ha teorizzato che la genesi delle disuguaglianze fra uomo e donna scatta proprio in anagrafe. “Dove si continua a trasmettere alle nuove generazioni un messaggio di prevaricazione maschile legittimata”. Una teoria rivoluzionaria, specie nell’Italia del 1980. Iole Natoli, quell’anno, la espone anche su L’Ora di Palermo. Un illustre giurista come Giovanni Conso, futuro presidente della Corte costituzionale, le dà contro su La Stampa replicando: “La patrilinearità è insostituibile misura a tutela dell’unità familiare”. Lei tira dritto. È convinta d’una cosa: “Che nessuno mi doveva ‘concedere’ nulla”. La scintilla della battaglia che sbarcherà in tribunale è in quel verbo. “Me lo sentii dire nel 1966, quando nacque la mia prima figlia. Andai all’anagrafe per chiedere le fosse aggiunto il mio cognome”. L’impiegato la gelò: “Può solo chiederlo per concessione al ministro di Grazia e Giustizia”. Lei s’indignò. “Avevo partorito mia figlia e ora un’autorità avrebbe dovuto concedermi qualcosa?”.
Iole Natoli, pioniera delle battaglie per il cognome della madre

"La prossimità neonatale"

Passano 14 anni e conosce un avvocato. Con lui discute le sue idee sul ruolo del cognome, maritale e dei figli, che ha già esposto in un saggio con alcuni possibili articoli di legge. Parlano anche della sua lontana richiesta all’anagrafe. “Mi disse che sarebbe ancora stato possibile adire il tribunale per far valere i miei diritti di donna. Pensai: se fossi arrivata alla Corte costituzionale, il Parlamento avrebbe dovuto legiferare". La battaglia legale inizia. Ma nel 1982 il tribunale civile di Palermo rigetta l’eccezione di costituzionalità, smontando la sua teoria. “La motivazione? Il cognome viene acquisito dai figli e non trasmesso dal padre. Come il padre non aveva diritto di trasmissione non potevo averlo nench’io da madre”. Per quelle lettere dopo il cognome lì, sulla carta d’identità non c’è spazio. Iole Natoli perde, ma non si arrende. Scrive articoli, saggi e bussa in Parlamento presentando petizioni. Formula la teoria della “prossimità neonatale” . Cioè? “Accettare la priorità del cognome materno non è un di più che si concede alla donna. E’ un riconoscere quel di più che lei fa con 9 mesi di gravidanza e un parto ed è anche un rispettare il figlio, che alla nascita si rapporta alla madre e non al padre”.
Iole Natoli di fronte al tribunale di Palermo nel 1982, quando fu discussa la causa civile da lei intentata contro il governo per il diritto al doppio cognome

La Consulta: sì al doppio cognome se c'è accordo fra i genitori

Quell’idea prende corpo alla Camera nella XVII legislatura con le deputate Marisa Nicchi di Sel e Marilena Fabbri del Pd. Tanto che Fabbri nella sua proposta di legge, cita alla lettera la “prossimità neonatale” di Iole Natoli. Dal suo primo saggio sul doppio cognome del 1979, di disegni di legge parlamentari ne sono stati presentati molti. Tutti senza approdo finale. La sentenza della Corte costituzionale su cui 41 anni fa Iole contava, arriva invece, seppur in forma parziale l’8 novembre del 2016. La Consulta preso atto della condanna inflitta all’Italia nel 2014 dalla  Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, apre uno spiraglio alle donne: due genitori, se concordi, hanno il diritto di dare al figlio il doppio cognome. Per Iole Natoli però non basta: “In caso di discordia tra genitori nulla cambia. Peraltro, l’interpretazione restrittiva di una circolare dell’Interno stabilisce che, nei cognomi attribuiti alla nascita, quello della madre non può precedere quello del padre”. E per i nati prima del 2016, per l’aggiunta del materno, resta solo la via della Prefettura. Ma la richiesta delle madri viene respinta se non c’è il consenso del padre non decaduto dalla potestà genitoriale. Per chi è già maggiorenne, invece, non la sostituzione del paterno col materno non è facile: se non ci sono motivazioni forti si rischia la bocciatura. “Per questo serve una legge”.

"Prima la madre": la rivoluzione resta nel cassetto

Per quella legge che non c’è, Iole Natoli lotta su Facebook dove ha fondato un gruppo che aggrega più di 1500 utenti. Si chiama: “Il Cognome Materno in Italia - Procedure prefettizie e anagrafiche”. Molti prima di bussare in Prefettura, passano da qui per capire il da farsi. Nel 2018 ha lanciato una petizione. Contiene 12 articoli per una proposta di legge. “E’ stata annunciata in Parlamento in questa legislatura”. Al contrario delle sette proposte di legge di senatrici e deputate, il suo progetto prevede la priorità del cognome materno per “prossimità neonatale”. “Come il doppio cognome serve a svegliare le coscienze, soprattutto degli uomini, così la priorità del materno, che non esclude però l’inversione dei cognomi, serve a far metabolizzare alla popolazione maschile la realtà della natura. A fare accettare che fare figli non è solo questione di geni parimenti trasmessi dai genitori. Senza una gravidanza e un parto, la maternità e la paternità non esisterebbero nemmeno. Perché il rimosso non produca danni è necessario portarlo allo scoperto”. Quel rimosso sono poche lettere che aspettano d’esser scritte su milioni di carte d’identità. “È questo che, da quel lontano giorno degli inizi, io mi sono ripromessa di fare”.

Sandra e Andrea: "Educhiamo nostra figlia alla parità fra genitori"

Andrea e Sandra, di Pescara
I più innocenti sono i bimbi. Gli fanno spesso quella domanda: “E perché ne hai due?”. I più sfacciati sono gli adulti. Anche loro fanno spesso quella domanda. Ma ai suoi genitori. “Ne ha due? E perché?”. Questione di invertire toni e parole. E le due domande cambiano. Curiosità, la prima. Diffidenza, la seconda. Ma Sandra, 45 anni, di Pescara, ci ha fatto l’abitudine. “E non tornerei indietro. Anche se qualcuno ci prende per snob”. Sua figlia, dal 2016, porta due cognomi: prima il suo, poi quello del marito Andrea. La decisione l’ha presa con lui. “Le domande delle persone le avevamo messe in conto”. Quello che non aveva calcolato però era che la burocrazia non stesse al passo con la loro scelta. La figlia, nata nel 2014, all’anagrafe era registrata solo col cognome paterno. “La richiesta per l’aggiunta del mio è stata fatta due anni dopo, nel 2016”. Quindi tutto da cambiare: dallo Stato Civile al codice fiscale. “Anche la sua registrazione dal pediatra”. Sandra si arma di pazienza: va di ufficio in ufficio col decreto del Prefetto che attesta il cambio di cognome della piccola. “In realtà tutte le modifiche negli uffici dovrebbero avvenire in automatico. Ma non è sempre così. Il mio consiglio a chi vuol fare questo passo: insistete subito con tutti gli enti e pretendete l’aggiornamento. Altrimenti potrebbero crearsi problemi”. Come quando portò la piccola a vaccinarsi. E l’Asl non riusciva a trovare la sua posizione tra le schede vaccinali.

"Do continuità al casato di  mio padre" 

Ma perché aggiungere il cognome materno? “L’idea è nata da me, le motivazioni sono due. La prima è educativa: un figlio che cresce sapendo di avere due cognomi, ha più possibilità di dare lo stesso valore all’eredità affettiva e familiare del padre e della madre”. Per farlo serve il consenso di entrambi i genitori. “Ne parlai con mio marito Andrea e lui era d’accordo. L’altro motivo può sembrare invece contraddittorio, ma non lo è: nella famiglia di mio padre non erano nati figli maschi”. Il cognome materno cioè rischiava di estinguersi. “E non era giusto. Si devono conservare anche le radici materne”.   Poi è venuto il dubbio più grande: quale cognome mettere prima? La scelta di Sandra e Andrea è stata anteporre il materno. “L’abbiamo deciso insieme. Aveva semplicemente un suono migliore, era più facile pronunciarlo”.

L'iter burocratico e le motivazioni 

Per avviare l’iter la coppia ha bussato in prefettura. E’ da qui che deve passare chiunque, se non registrato già all’anagrafe con doppio cognome al momento della nascita, vuole fare qualsiasi modifica. L’iter è stato snellito nel 2012. In tre mesi, di solito, le pratiche vengono evase. Ma l’istruttoria rischia sempre d’esser bocciata se ha motivazioni deboli. “Vanno spiegate attentamente. Il nostro punto cardine era l’interesse educativo della minore. Abbiamo spiegato che grazie al doppio cognome avrebbe avuto conoscenza fin da piccola della parità tra i genitori. Una certezza che l’avrebbe agevolata nella sua formazione”. L’istanza viene accolta dal prefetto e arriva il via libera. Dopo è la volta dell’affissione del decreto per trenta giorni sull’albo pretorio del Comune. “In quel mese, chi ha interessi legittimi può opporsi. Nel nostro caso non l’ha fatto nessuno”.

"Sembra un capriccio, ma non lo è"

Ma Sandra e Andrea, sotto sotto, si sentono ancora pionieri. Lo leggono negli sguardi delle persone. “Questa scelta spesso non viene vista come un fatto naturale. C’è ancora molta diffidenza e ci prendono come un caso a se stante”. Un capriccio. “Ma non lo è. Dietro c’è una riflessione sulla parità dei generi”. E, forse, chi continua a chiedere: “Perché ne hai due?” quella riflessione ancora non l’ha fatta.

Giacomo ed Elisabetta: "Il prefetto disse no, poi si è ricreduto"

Elisabetta e Giacomo, la coppia di Udine che ha imposto il doppio cognome al figlio, nato nel 2012

“Questo ufficio ritiene che la domanda non possa essere accolta in quanto non risulta essere adeguatamente motivata”. Era agosto 2013. E la prefettura di Udine rispose così. L’istruttoria che Elisabetta e Giacomo, 38 e 39 anni, entrambi del Friuli-Venezia Giulia, avevano avviato un anno prima fu bocciata. La loro richiesta: aggiugere il cognome materno al quello paterno di loro figlio, nato nel 2012. A Elisabetta l’idea viene in gravidanza. “Mi sono detta: dopo tutta questa fatica è anche giusto che al piccolo vada il mio cognome, non solo quello del papà”. Il compagno è d’accordo.

La sentenza della Consulta che consentirà di effettuare la richiesta di doppio cognome già alla registrazione in anagrafe, arriverà solo 4 anni dopo. Elisabetta e Giacomo sono nelle mani del prefetto a cui il governo dal 2012, in assenza di una legge in materia, ha devoluto l’iter. Incluso il diritto di vita o di morte sulle richieste d’aggiunta del doppio cognome. “A pochi mesi dalla nascita di nostro figlio abbiamo compilato i moduli necessari. Fra cui quello per fornire le adeguate motivazioni della scelta”. Eliesabetta punta sulle ragioni educative: trasmettere al figlio il concetto che entrambi i genitori hanno pari dignità. “Volevamo ottenere una migliore integrazione familiare e sociale: la presenza del cognome materno avrebbe contribuito a una formazione più completa di nostro figlio. Volevamo che si sentisse parte integrante anche della famiglia d’origine della madre”. In poche parole: far capire, da subito che mamma e papà, donna e uomo, hanno la stessa importanza.

Cosa ne pensano gli altri 'proprietari' del cognome?

Ma alla Prefettura non basta. “Dopo l’avvio dell’istruttoria - raccointa Elisabetta - ci viene richiesto il parere da parte di mio padre e mio zio”. Gli uffici vogliono sapere se gli altri “proprietari” del cognome sono d’accordo. “Entrambi dettero parere favorevole alla prefettura”. Elisabetta e il compagno restano in attesa. Poi la doccia fredda. “Un anno dopo la richiesta, arriva per raccomandata la risposta. Il parere è negativo: le motivazioni vengono giudicate insufficienti”. La coppia però non demorde. “Ci siamo detti: perché un prefetto deve opporsi alla volontà di due genitori? Non stavamo facendo nulla di contrario all’interesse del minore. Così ci siamo rivolti a un avvocato”. Il carteggio con la prefettura va avanti. Elisabetta e il compagno spediscono agli uffici una memoria per integrare le loro motivazioni. Ma non basta. L’ultima chance sono le vie legali. “Abbiamo fatto ricorso al Tar e impugnato il decreto della Prefettura per eccesso di potere”.

"Come mai i miei amici ne hanno uno solo?"

Oggi l’odissea burocratica della coppia non si ripeterebbe. I giudici della Consulta infatti, l’8 novembre 2016, hanno scritto una sentenza rivoluzionaria in questo ambito: la 286, pubblicata poi in Gazzetta il 21 dicembre 2016. La Corte Costituzonale ha sancito cioè che la preclusione all’aggiunta del cognome materno, pregiudica il diritto all’identità personale del minore. Ma non solo. Costituisce anche “un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare”. Ma a quel traguardo, per Elisabetta e il compagno, mancano ancora 4 anni. Per loro la sorpresa arriva comunque. “Poco prima dell’udienza, la prefettura fa sapere di aver rinunciato a resistere e concede il cambio di cognome”. Il Tar, su quel caso, non si pronuncerà mai. “Siamo riusciti a ottenere una vittoria quando non ci speravamo più”. Era il 2015. Dalla prima richiesta erano passati tre anni. Oggi il piccolo a quei due cognomi ci ha fatto l’abitudine. “Per lui è un fatto del tutto naturale. Anzi, a volte ci chiede: come mai i miei amici ne hanno uno solo?”.
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • Evento 2022

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2021 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto