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Il cognome materno ai figli non è più un tabù. Le lotte per riscrivere regole e carta d’identità

di CLAUDIO CAPANNI -
27 aprile 2022
iole natoli

iole natoli

Le pratiche ogni anno sono almeno seimila. Arrivano sulle scrivanie delle 106 prefetture italiane. Sono richieste di cittadini per cambiare nome o cognome. Ma uno su quattro domanda un’altra cosa: aggiungere il cognome materno a quello paterno. Genitori che lo chiedono per i figli. E maggiorenni che ripudiano il cognome del padre perché vittime della sua violenza. C’è anche chi vorrebbe, per i figli, solo il cognome materno. Ma la legge non lo permette. Su questo fronte la Corte costituzionale ha partorito una sentenza storica: stop all'automatismo del cognome paterno ai figli. È una decisione storica grazie alla quale sarà possibile rinascere una seconda volta. Stavolta nel nome della madre.

La storia di Iole Natoli, 40 anni di battaglie per una legge mai arrivata

Poche lettere in più sulla carta d’identità, lì, dopo il cognome. Sembra una passeggiata. Ma non lo è. Per Iole Natoli, pittrice, scrittrice e giornalista, nata a Palermo ma trapiantata nel 1990 a Milano, quella passeggiata è iniziata 41 anni fa. E dura ancora oggi. Nel 1980 è stata la prima italiana a battersi in tribunale per far attribuire alle figlie anche il suo cognome. In Italia però una legge non c’è. A maggio 2021, prima della storica decisione della Consulta, diceva: “Il Codice Civile sancisce solo che ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito”. E per attribuirlo c’è solo una prassi: scartare a priori il materno. Ma per lei così non va. “Il cognome patrilineare è il burqa culturale delle donne”. Lo pensava già nel 1980. Quell’anno si mette in testa di dimostrare che quella prassi viola la Costituzione e intenta causa civile al Ministro dell’Interno. Le motivazioni sono nelle carte che vengono depositate 41 anni  fa in aula. Dove è scritto: "L’attribuzione del solo cognome paterno risulta lesiva della dignità sociale della donna e della sua posizione di madre”.

"Chieda la concessione al ministro"

Da studiosa di psicologia e antrolopologia culturale Iole Natoli ha teorizzato che la genesi delle disuguaglianze fra uomo e donna scatta proprio in anagrafe. “Dove si continua a trasmettere alle nuove generazioni un messaggio di prevaricazione maschile legittimata”. Una teoria rivoluzionaria, specie nell’Italia del 1980. Iole Natoli, quell’anno, la espone anche su L’Ora di Palermo. Un illustre giurista come Giovanni Conso, futuro presidente della Corte costituzionale, le dà contro su La Stampa replicando: “La patrilinearità è insostituibile misura a tutela dell’unità familiare”. Lei tira dritto. È convinta d’una cosa: “Che nessuno mi doveva ‘concedere’ nulla”. La scintilla della battaglia che sbarcherà in tribunale è in quel verbo. “Me lo sentii dire nel 1966, quando nacque la mia prima figlia. Andai all’anagrafe per chiedere le fosse aggiunto il mio cognome”. L’impiegato la gelò: “Può solo chiederlo per concessione al ministro di Grazia e Giustizia”. Lei s’indignò. “Avevo partorito mia figlia e ora un’autorità avrebbe dovuto concedermi qualcosa?”.

Iole Natoli, pioniera delle battaglie per il cognome della madre

"La prossimità neonatale"

Passano 14 anni e conosce un avvocato. Con lui discute le sue idee sul ruolo del cognome, maritale e dei figli, che ha già esposto in un saggio con alcuni possibili articoli di legge. Parlano anche della sua lontana richiesta all’anagrafe. “Mi disse che sarebbe ancora stato possibile adire il tribunale per far valere i miei diritti di donna. Pensai: se fossi arrivata alla Corte costituzionale, il Parlamento avrebbe dovuto legiferare". La battaglia legale inizia. Ma nel 1982 il tribunale civile di Palermo rigetta l’eccezione di costituzionalità, smontando la sua teoria. “La motivazione? Il cognome viene acquisito dai figli e non trasmesso dal padre. Come il padre non aveva diritto di trasmissione non potevo averlo nench’io da madre”. Per quelle lettere dopo il cognome lì, sulla carta d’identità non c’è spazio. Iole Natoli perde, ma non si arrende. Scrive articoli, saggi e bussa in Parlamento presentando petizioni. Formula la teoria della “prossimità neonatale” . Cioè? “Accettare la priorità del cognome materno non è un di più che si concede alla donna. E’ un riconoscere quel di più che lei fa con 9 mesi di gravidanza e un parto ed è anche un rispettare il figlio, che alla nascita si rapporta alla madre e non al padre”.

Iole Natoli di fronte al tribunale di Palermo nel 1982, quando fu discussa la causa civile da lei intentata contro il governo per il diritto al doppio cognome

La Consulta: sì al doppio cognome se c'è accordo fra i genitori

Quell’idea prende corpo alla Camera nella XVII legislatura con le deputate Marisa Nicchi di Sel e Marilena Fabbri del Pd. Tanto che Fabbri nella sua proposta di legge, cita alla lettera la “prossimità neonatale” di Iole Natoli. Dal suo primo saggio sul doppio cognome del 1979, di disegni di legge parlamentari ne sono stati presentati molti. Tutti senza approdo finale. La sentenza della Corte costituzionale su cui 41 anni fa Iole contava, arriva invece, seppur in forma parziale l’8 novembre del 2016. La Consulta preso atto della condanna inflitta all’Italia nel 2014 dalla  Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, apre uno spiraglio alle donne: due genitori, se concordi, hanno il diritto di dare al figlio il doppio cognome. Per Iole Natoli però non basta: “In caso di discordia tra genitori nulla cambia. Peraltro, l’interpretazione restrittiva di una circolare dell’Interno stabilisce che, nei cognomi attribuiti alla nascita, quello della madre non può precedere quello del padre”. E per i nati prima del 2016, per l’aggiunta del materno, resta solo la via della Prefettura. Ma la richiesta delle madri viene respinta se non c’è il consenso del padre non decaduto dalla potestà genitoriale. Per chi è già maggiorenne, invece, non la sostituzione del paterno col materno non è facile: se non ci sono motivazioni forti si rischia la bocciatura. “Per questo serve una legge”.

"Prima la madre": la rivoluzione resta nel cassetto

Per quella legge che non c’è, Iole Natoli lotta su Facebook dove ha fondato un gruppo che aggrega più di 1500 utenti. Si chiama: “Il Cognome Materno in Italia - Procedure prefettizie e anagrafiche”. Molti prima di bussare in Prefettura, passano da qui per capire il da farsi. Nel 2018 ha lanciato una petizione. Contiene 12 articoli per una proposta di legge. “E’ stata annunciata in Parlamento in questa legislatura”. Al contrario delle sette proposte di legge di senatrici e deputate, il suo progetto prevede la priorità del cognome materno per “prossimità neonatale”. “Come il doppio cognome serve a svegliare le coscienze, soprattutto degli uomini, così la priorità del materno, che non esclude però l’inversione dei cognomi, serve a far metabolizzare alla popolazione maschile la realtà della natura. A fare accettare che fare figli non è solo questione di geni parimenti trasmessi dai genitori. Senza una gravidanza e un parto, la maternità e la paternità non esisterebbero nemmeno. Perché il rimosso non produca danni è necessario portarlo allo scoperto”. Quel rimosso sono poche lettere che aspettano d’esser scritte su milioni di carte d’identità. “È questo che, da quel lontano giorno degli inizi, io mi sono ripromessa di fare”.

Sandra e Andrea: "Educhiamo nostra figlia alla parità fra genitori"

Andrea e Sandra, di Pescara

I più innocenti sono i bimbi. Gli fanno spesso quella domanda: “E perché ne hai due?”. I più sfacciati sono gli adulti. Anche loro fanno spesso quella domanda. Ma ai suoi genitori. “Ne ha due? E perché?”. Questione di invertire toni e parole. E le due domande cambiano. Curiosità, la prima. Diffidenza, la seconda. Ma Sandra, 45 anni, di Pescara, ci ha fatto l’abitudine. “E non tornerei indietro. Anche se qualcuno ci prende per snob”. Sua figlia, dal 2016, porta due cognomi: prima il suo, poi quello del marito Andrea. La decisione l’ha presa con lui. “Le domande delle persone le avevamo messe in conto”. Quello che non aveva calcolato però era che la burocrazia non stesse al passo con la loro scelta. La figlia, nata nel 2014, all’anagrafe era registrata solo col cognome paterno. “La richiesta per l’aggiunta del mio è stata fatta due anni dopo, nel 2016”. Quindi tutto da cambiare: dallo Stato Civile al codice fiscale. “Anche la sua registrazione dal pediatra”. Sandra si arma di pazienza: va di ufficio in ufficio col decreto del Prefetto che attesta il cambio di cognome della piccola. “In realtà tutte le modifiche negli uffici dovrebbero avvenire in automatico. Ma non è sempre così. Il mio consiglio a chi vuol fare questo passo: insistete subito con tutti gli enti e pretendete l’aggiornamento. Altrimenti potrebbero crearsi problemi”. Come quando portò la piccola a vaccinarsi. E l’Asl non riusciva a trovare la sua posizione tra le schede vaccinali.

"Do continuità al casato di  mio padre" 

Ma perché aggiungere il cognome materno? “L’idea è nata da me, le motivazioni sono due. La prima è educativa: un figlio che cresce sapendo di avere due cognomi, ha più possibilità di dare lo stesso valore all’eredità affettiva e familiare del padre e della madre”. Per farlo serve il consenso di entrambi i genitori. “Ne parlai con mio marito Andrea e lui era d’accordo. L’altro motivo può sembrare invece contraddittorio, ma non lo è: nella famiglia di mio padre non erano nati figli maschi”. Il cognome materno cioè rischiava di estinguersi. “E non era giusto. Si devono conservare anche le radici materne”.   Poi è venuto il dubbio più grande: quale cognome mettere prima? La scelta di Sandra e Andrea è stata anteporre il materno. “L’abbiamo deciso insieme. Aveva semplicemente un suono migliore, era più facile pronunciarlo”.

L'iter burocratico e le motivazioni 

Per avviare l’iter la coppia ha bussato in prefettura. E’ da qui che deve passare chiunque, se non registrato già all’anagrafe con doppio cognome al momento della nascita, vuole fare qualsiasi modifica. L’iter è stato snellito nel 2012. In tre mesi, di solito, le pratiche vengono evase. Ma l’istruttoria rischia sempre d’esser bocciata se ha motivazioni deboli. “Vanno spiegate attentamente. Il nostro punto cardine era l’interesse educativo della minore. Abbiamo spiegato che grazie al doppio cognome avrebbe avuto conoscenza fin da piccola della parità tra i genitori. Una certezza che l’avrebbe agevolata nella sua formazione”. L’istanza viene accolta dal prefetto e arriva il via libera. Dopo è la volta dell’affissione del decreto per trenta giorni sull’albo pretorio del Comune. “In quel mese, chi ha interessi legittimi può opporsi. Nel nostro caso non l’ha fatto nessuno”.

"Sembra un capriccio, ma non lo è"

Ma Sandra e Andrea, sotto sotto, si sentono ancora pionieri. Lo leggono negli sguardi delle persone. “Questa scelta spesso non viene vista come un fatto naturale. C’è ancora molta diffidenza e ci prendono come un caso a se stante”. Un capriccio. “Ma non lo è. Dietro c’è una riflessione sulla parità dei generi”. E, forse, chi continua a chiedere: “Perché ne hai due?” quella riflessione ancora non l’ha fatta.

Giacomo ed Elisabetta: "Il prefetto disse no, poi si è ricreduto"

Elisabetta e Giacomo, la coppia di Udine che ha imposto il doppio cognome al figlio, nato nel 2012

“Questo ufficio ritiene che la domanda non possa essere accolta in quanto non risulta essere adeguatamente motivata”. Era agosto 2013. E la prefettura di Udine rispose così. L’istruttoria che Elisabetta e Giacomo, 38 e 39 anni, entrambi del Friuli-Venezia Giulia, avevano avviato un anno prima fu bocciata. La loro richiesta: aggiugere il cognome materno al quello paterno di loro figlio, nato nel 2012. A Elisabetta l’idea viene in gravidanza. “Mi sono detta: dopo tutta questa fatica è anche giusto che al piccolo vada il mio cognome, non solo quello del papà”. Il compagno è d’accordo.

La sentenza della Consulta che consentirà di effettuare la richiesta di doppio cognome già alla registrazione in anagrafe, arriverà solo 4 anni dopo. Elisabetta e Giacomo sono nelle mani del prefetto a cui il governo dal 2012, in assenza di una legge in materia, ha devoluto l’iter. Incluso il diritto di vita o di morte sulle richieste d’aggiunta del doppio cognome. “A pochi mesi dalla nascita di nostro figlio abbiamo compilato i moduli necessari. Fra cui quello per fornire le adeguate motivazioni della scelta”. Eliesabetta punta sulle ragioni educative: trasmettere al figlio il concetto che entrambi i genitori hanno pari dignità. “Volevamo ottenere una migliore integrazione familiare e sociale: la presenza del cognome materno avrebbe contribuito a una formazione più completa di nostro figlio. Volevamo che si sentisse parte integrante anche della famiglia d’origine della madre”. In poche parole: far capire, da subito che mamma e papà, donna e uomo, hanno la stessa importanza.

Cosa ne pensano gli altri 'proprietari' del cognome?

Ma alla Prefettura non basta. “Dopo l’avvio dell’istruttoria - raccointa Elisabetta - ci viene richiesto il parere da parte di mio padre e mio zio”. Gli uffici vogliono sapere se gli altri “proprietari” del cognome sono d’accordo. “Entrambi dettero parere favorevole alla prefettura”. Elisabetta e il compagno restano in attesa. Poi la doccia fredda. “Un anno dopo la richiesta, arriva per raccomandata la risposta. Il parere è negativo: le motivazioni vengono giudicate insufficienti”. La coppia però non demorde. “Ci siamo detti: perché un prefetto deve opporsi alla volontà di due genitori? Non stavamo facendo nulla di contrario all’interesse del minore. Così ci siamo rivolti a un avvocato”. Il carteggio con la prefettura va avanti. Elisabetta e il compagno spediscono agli uffici una memoria per integrare le loro motivazioni. Ma non basta. L’ultima chance sono le vie legali. “Abbiamo fatto ricorso al Tar e impugnato il decreto della Prefettura per eccesso di potere”.

"Come mai i miei amici ne hanno uno solo?"

Oggi l’odissea burocratica della coppia non si ripeterebbe. I giudici della Consulta infatti, l’8 novembre 2016, hanno scritto una sentenza rivoluzionaria in questo ambito: la 286, pubblicata poi in Gazzetta il 21 dicembre 2016. La Corte Costituzonale ha sancito cioè che la preclusione all’aggiunta del cognome materno, pregiudica il diritto all’identità personale del minore. Ma non solo. Costituisce anche “un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare”. Ma a quel traguardo, per Elisabetta e il compagno, mancano ancora 4 anni. Per loro la sorpresa arriva comunque. “Poco prima dell’udienza, la prefettura fa sapere di aver rinunciato a resistere e concede il cambio di cognome”. Il Tar, su quel caso, non si pronuncerà mai. “Siamo riusciti a ottenere una vittoria quando non ci speravamo più”. Era il 2015. Dalla prima richiesta erano passati tre anni. Oggi il piccolo a quei due cognomi ci ha fatto l’abitudine. “Per lui è un fatto del tutto naturale. Anzi, a volte ci chiede: come mai i miei amici ne hanno uno solo?”.