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Home » HP Trio » Le infermiere ‘su ruote’ che rompono i tabù sul lavoro: “Ospedali diventino più inclusivi”

Le infermiere ‘su ruote’ che rompono i tabù sul lavoro: “Ospedali diventino più inclusivi”

Il personale sanitario disabile, negli Stati Uniti, denuncia da anni le discriminazioni sia durante le selezioni sia, poi ed eventualmente, sul posto di lavoro

Marianna Grazi
18 Maggio 2021
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Dopo che Andrea Dalzell si è laureata alla scuola per infermieri americana, nel 2018, ha fatto colloqui per 76 lavori da infermiera in ospedali e cliniche. E ha ricevuto 76 rifiuti. Inizialmente molti datori di lavoro erano molto interessati a lei, almeno fino al momento in cui è arrivata ai colloqui con la sua sedia a rotelle, e ha rivelato la sua disabilità: mielite trasversa, una malattia neurologica che colpisce il midollo spinale. Da lì la decisione di scartare il suo profilo.

Alla fine, Dalzell è stata costretta a trovare lavoro altrove, come infermiera scolastica. Nonostante fosse grata per le opportunità, si sentiva sconfitta. Il suo obiettivo infatti, era sempre stato lavorare in terapia intensiva. Non si sarebbe però mai aspettata che quell’obiettivo diventasse realtà durante la pandemia da Covid-19. Con gli ospedali di tutto America inondati di pazienti c’è stata una vera e propria caccia agli infermieri. La ragazza, 33 anni e residente a Brooklyn, si è iscritta al corpo sanitario dello Stato e ha fatto domanda per tutte le posizioni possibili. Dopo aver risposto a un annuncio per un ospedale locale, così disperatamente alla ricerca di personale da aver pubblicato il numero di telefono delle risorse umane online, ha lasciato un messaggio. In 15 minuti ha ricevuto una risposta. Positiva.

Alla fine di marzo ha iniziato così a lavorare in ospedale per la prima volta. Finalmente, sembrava che gli estranei non stessero giudicando la sua disabilità: “Entro un’ora dal mio arrivo al piano, uno degli assistenti direttori mi ha chiamato fuori dal reparto e mi ha detto: ‘Hai già lavorato in questo reparto? Come puoi fare l’infermiera qui? Penso che sarai a rischio di infezione”, racconta Andrea. “Ho risposto che avevo già lavorato in quell’unità in precedenza, avevo fatto tutte le mie visite cliniche, e sapevo come usare precauzioni contro le infezioni proprio come fanno tutti gli altri infermieri. Poi gli ho chiesto se avesse fatto le stesse domande alle Risorse Umane?”. Da quel momento l’infermiera ha continuato a svolgere il suo lavoro senza che nessuno abbia più messo in dubbio le sue capacità.

Ryann Kress

Sempre negli Stati Uniti, Ryann Kress si è trovata in una situazione simile. Ha iniziato a lavorare al pronto soccorso nel 2015 come infermiera al piano, quando poteva ancora camminare. Ma nel 2018, un raro disturbo genetico che le era stato precedentemente diagnosticato, la sindrome di Ehlers-Danlos (EDS), ha lasciato le sue gambe deboli e instabili. I medici le avevano detto che sarebbe finita su una sedia a rotelle entro i 20 anni. È arrivata a 26 anni, ma a quel punto, stare in piedi e camminare era diventato impossibile.

“La sedia a rotelle mi ha ridato la vita“, ha detto Kress. Quello che le ha portato via, però, è stato il lavoro. “Dopo due anni di ricerche e colloqui, rifiuto dopo rifiuto, avevo iniziato a credere ai commenti e ai messaggi di odio –ha raccontato sul suo profilo Instagram – Forse non sarei mai più stata in grado di lavorare come infermiera. Stavo per rinunciare quando ho avuto un ultimo colloquio, per una posizione in un reparto maternità presso un centro traumatologico locale. Ho pensato che avrebbero dato un’occhiata al mio corpo disabile e che non mi avrebbero presa”

Invece ecco la sorpresa. Quando Ryann mostra la sua sedia, la risposta non è quella solita, a cui era abituata: “Non vedo perché stare su una sedia a rotelle dovrebbe influire sulla tua capacità di fornire una buona assistenza infermieristica. Inoltre, sei all’altezza perfetta“. L’infermiera, che è anche avvocato, modella, speaker e atleta, è rimasta letteralmente senza parole. “Continuavo a pensare ‘Hanno commesso un errore’ e ‘Forse ho sentito male’. Tanto che non l’ho detto praticamente a nessuno finché non ho avuto il mio programma di lavoro in mano. Ma era reale e non avevo capito male”. Così, questo mese, ha iniziato il suo tirocinio per il nuovo impiego come infermiera del turno di notte in un reparto maternità: “Sarò la prima infermiera su ruote in quel ruolo”.

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È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Dopo che Andrea Dalzell si è laureata alla scuola per infermieri americana, nel 2018, ha fatto colloqui per 76 lavori da infermiera in ospedali e cliniche. E ha ricevuto 76 rifiuti. Inizialmente molti datori di lavoro erano molto interessati a lei, almeno fino al momento in cui è arrivata ai colloqui con la sua sedia a rotelle, e ha rivelato la sua disabilità: mielite trasversa, una malattia neurologica che colpisce il midollo spinale. Da lì la decisione di scartare il suo profilo. Alla fine, Dalzell è stata costretta a trovare lavoro altrove, come infermiera scolastica. Nonostante fosse grata per le opportunità, si sentiva sconfitta. Il suo obiettivo infatti, era sempre stato lavorare in terapia intensiva. Non si sarebbe però mai aspettata che quell'obiettivo diventasse realtà durante la pandemia da Covid-19. Con gli ospedali di tutto America inondati di pazienti c'è stata una vera e propria caccia agli infermieri. La ragazza, 33 anni e residente a Brooklyn, si è iscritta al corpo sanitario dello Stato e ha fatto domanda per tutte le posizioni possibili. Dopo aver risposto a un annuncio per un ospedale locale, così disperatamente alla ricerca di personale da aver pubblicato il numero di telefono delle risorse umane online, ha lasciato un messaggio. In 15 minuti ha ricevuto una risposta. Positiva. Alla fine di marzo ha iniziato così a lavorare in ospedale per la prima volta. Finalmente, sembrava che gli estranei non stessero giudicando la sua disabilità: "Entro un'ora dal mio arrivo al piano, uno degli assistenti direttori mi ha chiamato fuori dal reparto e mi ha detto: 'Hai già lavorato in questo reparto? Come puoi fare l'infermiera qui? Penso che sarai a rischio di infezione", racconta Andrea. "Ho risposto che avevo già lavorato in quell'unità in precedenza, avevo fatto tutte le mie visite cliniche, e sapevo come usare precauzioni contro le infezioni proprio come fanno tutti gli altri infermieri. Poi gli ho chiesto se avesse fatto le stesse domande alle Risorse Umane?". Da quel momento l'infermiera ha continuato a svolgere il suo lavoro senza che nessuno abbia più messo in dubbio le sue capacità.
Ryann Kress
Sempre negli Stati Uniti, Ryann Kress si è trovata in una situazione simile. Ha iniziato a lavorare al pronto soccorso nel 2015 come infermiera al piano, quando poteva ancora camminare. Ma nel 2018, un raro disturbo genetico che le era stato precedentemente diagnosticato, la sindrome di Ehlers-Danlos (EDS), ha lasciato le sue gambe deboli e instabili. I medici le avevano detto che sarebbe finita su una sedia a rotelle entro i 20 anni. È arrivata a 26 anni, ma a quel punto, stare in piedi e camminare era diventato impossibile. "La sedia a rotelle mi ha ridato la vita", ha detto Kress. Quello che le ha portato via, però, è stato il lavoro. "Dopo due anni di ricerche e colloqui, rifiuto dopo rifiuto, avevo iniziato a credere ai commenti e ai messaggi di odio –ha raccontato sul suo profilo Instagram – Forse non sarei mai più stata in grado di lavorare come infermiera. Stavo per rinunciare quando ho avuto un ultimo colloquio, per una posizione in un reparto maternità presso un centro traumatologico locale. Ho pensato che avrebbero dato un'occhiata al mio corpo disabile e che non mi avrebbero presa" Invece ecco la sorpresa. Quando Ryann mostra la sua sedia, la risposta non è quella solita, a cui era abituata: "Non vedo perché stare su una sedia a rotelle dovrebbe influire sulla tua capacità di fornire una buona assistenza infermieristica. Inoltre, sei all'altezza perfetta". L'infermiera, che è anche avvocato, modella, speaker e atleta, è rimasta letteralmente senza parole. "Continuavo a pensare 'Hanno commesso un errore' e 'Forse ho sentito male'. Tanto che non l'ho detto praticamente a nessuno finché non ho avuto il mio programma di lavoro in mano. Ma era reale e non avevo capito male". Così, questo mese, ha iniziato il suo tirocinio per il nuovo impiego come infermiera del turno di notte in un reparto maternità: "Sarò la prima infermiera su ruote in quel ruolo".
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