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Home » HP Trio » Quando l’istruzione può attendere: in Uganda riaprono le scuole dopo due anni

Quando l’istruzione può attendere: in Uganda riaprono le scuole dopo due anni

Per la pandemia da Covid-19 gli istituti sono rimasti fermi per 581 giorni. Save the Children lancia l'allarme: l'educazione nel mondo è in grave crisi

Domenico Guarino
22 Gennaio 2022
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Ottantatre settimane di chiusura, 581 giorni, circa due anni: in Uganda nel marzo 2020 tutte le scuole hanno chiuso a causa della pandemia da Covid-19. Da allora, il Paese ha tenuto le scuole completamente o parzialmente chiuse, sospendendo l’istruzione per alcuni bambini anche per 83 settimane. Un anno e mezzo, in pratica, senza la possibilità di accedere ad un diritto primario, come è quello all’istruzione. Anche perché nonostante  gli sforzi per fornire la didattica a distanza, molti bambini non hanno potuto accedere alle lezioni online perché non disponevano degli strumenti necessari come il computer o una connessione Internet adeguata.

Finalmente la scorsa settimana  i bambini sono tornati in classe dopo la chiusura scolastica più lunga di sempre. Tutto bene? Nemmeno per sogno: “l’apprendimento perso fino ad ora potrebbe portare, già nelle prossime settimane, a tassi di abbandono scolastico elevati”, avverte  Save the Children. Secondo i calcoli dell’Organizzazione “fino a un bambino su cinque nei paesi fragili, compreso l’Uganda, aveva abbandonato la scuola a causa della crescente povertà, dei matrimoni precoci e del lavoro minorile, aggravati ancor di più dalla pandemia e ora Save the Children avverte del pericolo di una “seconda ondata” di abbandono scolastico proprio per quegli studenti rimasti indietro nell’apprendimento, che dovrebbero rientrare oggi, ma temono di non avere più la possibilità di recuperare”.

Dall’Uganda al Bangladesh, la crisi dell’educazione nel mondo

Proprio per affrontare la profonda crisi dell’educazione in Uganda, Save the Children ha lanciato i “Catch-up Clubs” (Club di recupero), che valutano i bambini in base al livello di istruzione richiesto e li aiutano nell’alfabetizzazione e in altre competenze, fornendo anche un’assistenza in denaro alle famiglie che hanno difficoltà a mandare i propri figli a scuola. Oltre che in Uganda, il modello sarà adottato anche in Myanmar, Malawi, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo e Nigeria, ai quali seguiranno altri Paesi, nel tentativo di raggiungere oltre un milione di bambini fine 2022. I Club di recupero sono specificamente rivolti ai bambini che rimangono indietro nelle classi 3-5, il periodo scolastico migliore per accelerare in modo relativamente semplice il loro apprendimento. Dopo circa 12 settimane, almeno l’80% dei partecipanti è in grado di leggere e scrivere secondo uno standard che consente loro di imparare in modo indipendente.

“Mentre le scuole iniziano a riaprire in tutto il Paese, è fondamentale che tutte le ragazze e i ragazzi abbiano accesso al supporto di cui hanno bisogno per tornare con successo in classe. Molti bambini, infatti, sono rimasti indietro a scuola a causa della pandemia di Covid-19 e sono proprio questi bambini ad avere meno probabilità di sbloccare il loro potenziale da adulti. Eppure, quando i bambini ricevono il sostegno all’apprendimento di cui hanno bisogno e hanno accesso a un’istruzione di qualità, possono raggiungere il loro pieno potenziale”, ha dichiarato Edison Nsubuga, Capo del Programma di Educazione di Save the Children in Uganda.

Mentre le scuole iniziano a riaprire in Uganda come in altre parti del mondo, Save the Children chiede ai governi e ai donatori di sostenere il ritorno in classe di ogni bambino, garantire che le famiglie e gli insegnanti siano supportati per recuperare l’apprendimento perso e ricostruire in modo migliore e più resiliente possibile i sistemi educativi. L’organizzazione chiede anche ai governi di mantenere vivo l’apprendimento attraverso una didattica a distanza inclusiva se le scuole saranno costrette a chiudere nuovamente.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Ottantatre settimane di chiusura, 581 giorni, circa due anni: in Uganda nel marzo 2020 tutte le scuole hanno chiuso a causa della pandemia da Covid-19. Da allora, il Paese ha tenuto le scuole completamente o parzialmente chiuse, sospendendo l'istruzione per alcuni bambini anche per 83 settimane. Un anno e mezzo, in pratica, senza la possibilità di accedere ad un diritto primario, come è quello all’istruzione. Anche perché nonostante  gli sforzi per fornire la didattica a distanza, molti bambini non hanno potuto accedere alle lezioni online perché non disponevano degli strumenti necessari come il computer o una connessione Internet adeguata. Finalmente la scorsa settimana  i bambini sono tornati in classe dopo la chiusura scolastica più lunga di sempre. Tutto bene? Nemmeno per sogno: “l'apprendimento perso fino ad ora potrebbe portare, già nelle prossime settimane, a tassi di abbandono scolastico elevati”, avverte  Save the Children. Secondo i calcoli dell’Organizzazione “fino a un bambino su cinque nei paesi fragili, compreso l'Uganda, aveva abbandonato la scuola a causa della crescente povertà, dei matrimoni precoci e del lavoro minorile, aggravati ancor di più dalla pandemia e ora Save the Children avverte del pericolo di una "seconda ondata" di abbandono scolastico proprio per quegli studenti rimasti indietro nell’apprendimento, che dovrebbero rientrare oggi, ma temono di non avere più la possibilità di recuperare”.

Dall'Uganda al Bangladesh, la crisi dell'educazione nel mondo

Proprio per affrontare la profonda crisi dell’educazione in Uganda, Save the Children ha lanciato i "Catch-up Clubs" (Club di recupero), che valutano i bambini in base al livello di istruzione richiesto e li aiutano nell'alfabetizzazione e in altre competenze, fornendo anche un’assistenza in denaro alle famiglie che hanno difficoltà a mandare i propri figli a scuola. Oltre che in Uganda, il modello sarà adottato anche in Myanmar, Malawi, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo e Nigeria, ai quali seguiranno altri Paesi, nel tentativo di raggiungere oltre un milione di bambini fine 2022. I Club di recupero sono specificamente rivolti ai bambini che rimangono indietro nelle classi 3-5, il periodo scolastico migliore per accelerare in modo relativamente semplice il loro apprendimento. Dopo circa 12 settimane, almeno l'80% dei partecipanti è in grado di leggere e scrivere secondo uno standard che consente loro di imparare in modo indipendente. “Mentre le scuole iniziano a riaprire in tutto il Paese, è fondamentale che tutte le ragazze e i ragazzi abbiano accesso al supporto di cui hanno bisogno per tornare con successo in classe. Molti bambini, infatti, sono rimasti indietro a scuola a causa della pandemia di Covid-19 e sono proprio questi bambini ad avere meno probabilità di sbloccare il loro potenziale da adulti. Eppure, quando i bambini ricevono il sostegno all'apprendimento di cui hanno bisogno e hanno accesso a un'istruzione di qualità, possono raggiungere il loro pieno potenziale”, ha dichiarato Edison Nsubuga, Capo del Programma di Educazione di Save the Children in Uganda. Mentre le scuole iniziano a riaprire in Uganda come in altre parti del mondo, Save the Children chiede ai governi e ai donatori di sostenere il ritorno in classe di ogni bambino, garantire che le famiglie e gli insegnanti siano supportati per recuperare l'apprendimento perso e ricostruire in modo migliore e più resiliente possibile i sistemi educativi. L'organizzazione chiede anche ai governi di mantenere vivo l'apprendimento attraverso una didattica a distanza inclusiva se le scuole saranno costrette a chiudere nuovamente.
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