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"Germogli" di integrazione: i giardini storici diventano terreno fertile per creare legami tra giovani

di DOMENICO GUARINO -
31 maggio 2021
Germogli

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Mettete insieme un luogo straordinariamente bello (ma anche straordinariamente delicato), un mestiere antico che richiede dedizione e fatica, come il giardinaggio, un gruppo composto da ragazzi italiani Neet (Neither in Employment nor in Education or Training, ovvero che non studiano né lavorano) e giovani richiedenti asilo provenienti dal circuito Sprar. Falli interagire per sette settimane dalla mattina alla sera. Aggiungi quel pizzico di follia necessaria a pensare e realizzare una cosa del genere. Ed ecco a voi il progetto "Germogli", un corso di formazione per addetti alla manutenzione dei giardini storici. "Il progetto nasce per rispondere alla crescente necessità di personale specializzato nella cura dello straordinario patrimonio paesaggistico e botanico rappresentato dai giardini e dai parchi storici della nostra regione – spiegano gli organizzatori – Una figura professionale capace di lavorare in un contesto che prevede, al contempo, conoscenze agronomiche ma anche competenze sulle modalità di conservazione, rinnovamento, restauro di elementi, unità spaziali e architetture vegetali, in sintonia con la specificità artistica e culturale che questi luoghi rappresentano".

Ideato dalla direzione regionale Musei della Toscana - Villa medicea La Petraia e dalla cooperativa Stazione Utopia, in collaborazione con il corso di laurea in Architettura del Paesaggio dell'università degli studi di Firenze, è stato realizzato grazie al finanziamento della Fondazione CR Firenze. All'appello hanno risposto 14 ragazzi tra i 18 e i 29 anni, che tra qualche giorno, esattamente il 4 di giugno chiuderanno la loro esperienza.

Felicità

Tra di loro c'è Tommaso Paolini, che  ha 27 anni, vive nel capoluogo toscano e dopo aver studiato scienze agrarie, negli anni scorsi, ha provato a mettere a frutto il suo percorso scolastico senza però avere fortuna. "Lavori in nero, un po' di contratti a termine; poi, non vedendo uno sbocco, ho dovuto cambiare settore, ripiegando su altre cose" ci racconta. Solo che è arrivata la pandemia e anche quella strada si è chiusa. Così, prosegue Tommaso "verso settembre scorso ho visto questo corso e ho pensato che fosse un'ottima opportunità per tornare a fare quello per cui avevo studiato e che mi piaceva".

E come giudica quest'esperienza? "In maniera più che positiva. Sono molto contento di aver partecipato. Questo corso mi ha fatto crescere sia sotto il profilo tecnico-professionale sia dal lato umano, nel rapporto con ragazzi provenienti da altre culture. E poi le Ville storiche medicee sono una cosa fenomenale: arte, cultura e giardino insieme rappresentano per me la combinazione vincente".

Con i ragazzi dello Sprar, poi, "mi sono trovato molto bene. Certo, come in tutti i gruppi, all’inizio c'è un po' di timidezza, di diffidenza. Poi però, già dopo una settimana eravamo un gruppo compatto. C'è da dire che loro hanno un'energia pazzesca, non si fermano mai. Al punto che noi italiani ci sentivamo in colpa perché ogni tanto facevamo una pausa, mentre loro, anche durante il Ramadan, continuavano a lavorare per ore e ore sotto il sole, senza fermarsi mai, senza né bere né mangiare. Alla fine ci siamo confrontati ed abbiamo trovato un metodo comune: qualche pausa in più da parte loro e un po' più di impegno da parte nostra".

Quindi, se gli chiediamo con quale parola descriverebbe il percorso fatto, risponde senza esitazione "Felicità. Sono contento di essere qui, di venire a lavorare con gli altri. E poi, se tutto va bene, vorrei restare alla Petraia. Altrimenti, comunque vada, mi arrangerò, come ho sempre fatto".

Speranza

Felicità è anche la parola che usa Ousmane  Sow, che viene dalla Guinea, dove aiutava il padre fornaio. Sow è in Italia da 4 anni, di cui gli ultimi due a Firenze. "Sono arrivato con il barcone –racconta– perché in Guinea ci sono molti problemi legati agli scontri etnico-politici. Sono arrivato in Sicilia, poi mi hanno trasferito a Prato e infine a Firenze".

"Il viaggio è stato duro perché gli arabi picchiano le persone per avere soldi. Io, ad esempio, ho trascorso due settimane in prigione in Libia fin quando mio fratello, che vive in Angola, non mi ha aiutato con del denaro. A quel punto mi hanno fatto partire". Il calvario di Ousmane non finisce tuttavia con l'arrivo in Italia. Ancora oggi deve fare i conti con i postumi della TBC e con gli incubi notturni che lo costringono a prendere tranquillanti per dormire. "Altrimenti faccio brutti sogni" ci dice.

"Mi piace molto questo corso – sottolinea il ragazzo– stare con gli altri, imparare nuove cose. Io voglio migliorare le mie condizioni di vita, magari rimanendo nel settore del giardinaggio che mi piace molto”.

E tornare in Guinea? "Al momento non ci penso, troppo pericoloso oggi per me. Mi è stato riconosciuto l'asilo politico e dunque spero che prima o poi la mia famiglia possa raggiungermi in Italia".

Amicizia

Per Fiamma Zoli, neo laureata in Agraria, tutor del corso dopo un tirocinio curriculare proprio alla Petraia, la parola chiave è invece 'amicizia'.

"Questa esperienza mi ha molto arricchito e mi ha fatto entrare in contatto con persone meravigliose, che magari non avrei mai conosciuto così da vicino. Si è creato un gruppo fantastico, molto affiatato, e non era scontato –racconta Fiamma– Segno che la conoscenza, la condivisione delle stesse esperienze, il lavoro alla pari, determina le condizioni giuste per una reale integrazione tra persone diverse. Qui si creata davvero una specie di comunità: ci supportiamo l’un l’altro, ci confrontiamo anche su temi che non riguardano specificamente il giardinaggio. E questo nonostante le differenze tra i soggetti coinvolti, a partire dal diverso approccio con il lavoro".

"Pensa –aggiunge– che per i ragazzi provenienti dagli Sprar fare giardinaggio per scopi puramente estetici è qualcosa che non rientrava nella loro mentalità, che all'inizio ha generato addirittura un certo stupore. L'hanno acquisita pian piano, anche grazie al contesto straordinariamente bello che hanno sentito subito come qualcosa da tutelare e  da proteggere". Da loro, invece, sente di aver imparato "il valore dell’impegno innanzitutto. Perché  questi ragazzi si impegnano tantissimo, hanno tanta motivazione, non si fermano un attimo. Poi anche la pazienza, l'umiltà. E la condivisione: sono molto contenta di aver visto come  i ragazzi italiani hanno reagito al contatto con i migranti, prestando loro aiuto sia dal punto di vista della lingua che sul piano pratico del lavoro".

Serenità

"La mia parola chiave? Sicuramente serenità" ci dice Andrea Bellandi, funzionario tecnico della direzione regionale dei musei della Toscana, che cura 'il verde' nelle Ville medicee della Petraia, di  Cerreto Giudi e Poggio a Caiano. "Io mi occupo da molti anni dei tirocini curriculari –racconta– ma questo progetto ha un valore aggiunto, per via dell'utenza ed anche per l'impostazione del corso così come mi era stato presentato".

"Quello che mi ha colpito è stato il fatto che ho visto tutti quanti lavorare con passione, anche chi aveva più difficoltà di apprendimento o di movimento, in un ambiente comunque delicato e da preservare. Tutto veniva fatto con tranquillità. Non c'è stato nessun diverbio, nessun contrasto, anzi tutti si sono aiutati costantemente l'uno con l'altro, condividendo fatiche e conoscenze".

"Ho visto in questi ragazzi la voglia di dimostrare le loro capacità e la volontà di riuscire –conclude Bellandi– Ho visto crescere sin da subito la capacità di interazione tra di loro. Trovarsi nella medesima situazione, a dover affrontare gli stessi problemi, condividendo gli stessi strumenti, ma anche la stessa fatica: così nasce l’integrazione, se vogliamo usare questa parola”.

Integrazione

"Quello che, di fatto, è un Museo è diventato il terreno di coltura per far incontrare e conoscere persone provenienti da esperienze e Paesi diversi, lavorando fianco a fianco nell'ambito di un progetto specifico. Un fatto di straordinaria importanza" afferma Marco Mozzo, direttore della Villa Medicea della Petraia, sede del corso. "Dal nostro punto di vista –prosegue– è stata un'esperienza molto positiva nella misura in cui i ragazzi e le persone che hanno aderito al corso si sono inseriti in un contesto che non conoscevano, e questo è un fatto da rimarcare per un museo che si propone di rivolgersi al territorio. Tutto ciò che si dimostra inclusivo e partecipativo per noi è sicuramente un'esperienza importante. Qui, poi, siamo di fronte ad un progetto pilota a livello nazionale. Che è anche un modo per andare ad intercettare persone che non hanno conoscenza di questi luoghi, che non frequentano e non conoscono lo straordinario patrimonio museale e naturale  italiano".