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Home » Scienze e culture » “Mamma, non mangio più”. Il Covid e l’adolescenza interrotta

“Mamma, non mangio più”. Il Covid e l’adolescenza interrotta

All'ospedale pediatrico Meyer 21 casi nei primi due mesi del 2021, contro uno solo dell'anno precedente. Una madre: "Mia figlia, dolcissima e intelligentissima, finita nel tunnel". Il primario: "Fondamentale la prevenzione, intervenire al primo segnale". La psichiatra infantile: "Hanno inciso la dad e lo stop alle attività motorie e sportive"

di Emanuele Baldi
13 Aprile 2021
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La goccia scava la pietra, dicevano i latini. Oggi c’è invece un dolore sordo, velenoso e invisibile – figlio di tempi già balordi, resi poi superfragili dalla pandemia – che affonda come una lama calda nell’anima di gomma di migliaia di ragazzini. Di colpo soli, seppur connessi con il mondo. Storditi, ovattati. Il pronto soccorso dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze è il termometro di un dramma sommerso: sono aumentati del 17% nel 2021 gli accessi per disturbi mentali degli adolescenti.  Ad attirare l’attenzione dei professionisti sono i dati del primo bimestre, confrontati con quelli dello stesso periodo di un anno fa, prima che scoppiasse la pandemia: se tra gennaio e febbraio 2020 c’era stato un solo accesso al pronto soccorso per disordini alimentari, nei primi due mesi del 2021 i casi sono saliti a 21; un incremento notevole, determinato per lo più da adolescenti che lottano contro l’anoressia, patologia che richiede ricoveri spesso lunghi, di un’assistenza specifica, molto delicata, personalizzata e un grande impegno da parte dei professionisti. L’incremento dei dati riguarda anche giovani che chiedono aiuto dopo aver avuto pensieri autolesionistici, spesso per quella che i medici chiamano “ideazione suicidaria“: il desiderio di non andare più avanti. Tra gennaio e febbraio 2021 sono stati già 11 i casi presi in carico dal Meyer, rispetto a uno solo di un anno fa. E il trend, temono gli specialisti, è destinato ad aumentare.

 

“Mia figlia pesava trenta chili e rifiutava pure l’acqua”

 

“Mamma, non posso mangiare. Perché ho un nodo qui, alla gola”. La sua bambina, 13 anni e un balcone affacciato sulla vita che un giorno è sparito perché le dita dei suoi piedi si erano fatte di pastafrolla e non spingevano più su, verso la luce e la vita aveva preso a lasciare la forchetta lì dov’era, a mettere in bocca giusto qualche pezzetto di biscotto qua e là, a non aprire più la porta di camera dove se ne stava chiusa in silenzio per giorni.

Aveva chiuso la porta a quella vita, assorbendo come un pezzo di carta su un tavolo bagnato ansie e paure di una pandemia che stava stravolgendo il mondo, che aveva abbassato la saracinesca del negozio del babbo parrucchiere, spento la musica dell’orchestra in cui suonava, trasformato la scuola sua e dei suoi amici in qualcosa di zoppicante e digitale, lontanissimo. Mia figlia, dice questa mamma della provincia toscana, è “dolcissima, la più dolce”, “intelligentissima, più dei ragazzi della sua età, mi creda”. Eppure “era infilata in un tunnel cieco e privo di ragione”, dove combatteva con i suoi trenta chili scarsi e quella fame di vita che non c’era più. “Dirle ‘tesoro mangia’ non serviva a niente, perché l’anoressia non è un capriccio ma una malattia vera che solo gli specialisti possono curare” dice la mamma. Così “quando la mia bambina ha smesso anche di bere l’acqua non c’è stato altro da fare che  ricoverarla all’ospedale della nostra città, perché al Meyer di Firenze non c’era posto per almeno dieci giorni. Dieci giorni di tubicini che le hanno causato anche una una tromboflebite al braccio”.

Poi la salvezza. Si aprono le porte dell’ospedale pediatrico e la piccola inizia piano piano “dalla sua ferita a vedere una feritoia di luce. Pasti assistiti, quelle parole dolci e chirurgiche dei medici, le piccole complicità con gli altri ragazzini ricoverati, “oggi amici di vita”. “Chi soffre di DCA ha bisogno di cure immediate e specifiche, ha bisogno di essere visto e ascoltato, perché questo dolore non si sceglie, capita. E quando succede stravolge tutto, come un uragano in tempesta – racconta la mamma della nostra piccola amica – Nessuno ne è immune, noi siamo una famiglia normalissima come tante altre, eppure ci siamo trovati il 26 maggio dello scorso anno con nostra figlia di 13 anni ricoverata per anoressia  nel reparto di neuropsichiatria infantile del Meyer.

Il percorso è stato devastante all’inizio, vedere una ragazza che è sempre stata felice e contenta della sua vita che piano piano sparisce dietro ai suoi chili è un’esperienza che ti cambia per sempre. Il DCA si scopre poi piano piano che è un sintomo e il cibo il modo scelto per comunicare un malessere profondo, qualcosa che rimane dentro e che non si riesce a far uscire a parole. Nei 5 mesi tra ricovero e day hospital ne ho sentite tante di storie, tutte diverse, ma con una cosa in comune, un grande dolore dentro una grande sensibilità , fatto a volte da episodi di bullismo, di isolamento, di sofferenze familiari, di traumi che hanno preso la forma della paura del cibo. Per questo è così importante la cura immediata”.

 

Il direttore del Meyer: “Fra 12 e 18 anni la fascia a rischio”

 

“Già dal 2014 avevamo registrato un aumento generale di disturbi di natura psichica nel mondo adolescenziale. Quindi oggi, in un trend di generale aumento di casi, abbiamo osservato qui da noi un picco che ci ha molto allarmato”. Non gira intorno al problema il direttore generale del Meyer Alberto Zanobini. C’è un fenomeno di disagio forte tra i giovanissimi che non può essere taciuto. Calano drasticamente gli accessi generali al pronto soccorso ed esplodono invece quelli di natura psichica.”Nello spettro di disturbi vari, dall’ansia fino ai tentativi di suicidio e autolesionismo, abbiamo calcolato un aumento del 17% dei casi. Ci siamo messi così in contatto in Rete con gli altri ospedali italiani e europei e abbiamo registrato lo stesso fenomeno”.

Da qui grido d’allarme, perché “questo fenomeno è un’emergenza nell’emergenza”. “Se non affrontiamo in tempo questi casi – dice Zanobini – rischiamo di trovarci in futuro adulti con disturbi cronici”.

Chi soffre di più in questa fase storica? “Si parla della fascia dai 12 a 18 anni, storicamente età critica perché c’è il passaggio dal pediatra al medico di famiglia”, una zona grigia dove molti ragazzi ancora non sono presi in carico dal sistema sanitario nazionale. Dice Zanobini che “i disturbi del sistema alimentare sono in aumento davvero significativo, insieme ai pensieri suicidari” e questo “porta a un aggravio per gli gli ospedali pediatrici perché sono problemi che comportano ricoveri medio-lunghi”. L’importanza della prevenzione è fondamentale. “Abbiamo lanciato un allarme forte alle istituzioni: bisogna  agire prima. Servono adesso risposte forti, perché quella che arriva al pronto soccorso è solo la punta di un iceberg di problemi molto diffusi che per resistenze culturali, molto spesso culturali, non vengono alla luce prima”.

 

La psichiatra dell’infanzia: “Scuola, la prima sentinella”

 

“Non abbiamo ascoltato i nostri ragazzi. Dovevamo intervenire prima. Ma è mancata la sentinella scuola, i presidi del territorio…”. La responsabile del reparto di psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Meyer Tiziana Pisano inquadra così il problema di questi mesi.

“Perché è successo questo? Le risposte vanno ricercate anche nell’isolamento di quest’anno. Pensiamo alla Dad per la scuola, per esempio… Ma se all’inizio non abbiamo visto grandi cambiamenti poi, a lungo andare, dopo il primo lockdown, venendo meno la condivisione di emozioni con gli amici, lo stop dello sport e delle attività sociali, l’isolamento in un’età già complicata di suo, sono emerse varie problematiche. Spesso i pensieri suicidi e i disturbi dell’umore, magari con sintomi diversi rispetto all’età adulta, rappresentano sintomi di una vera e propria depressione. Servono gli specialisti. Le famiglie non bastano ma hanno comunque un ruolo fondamentale sia prima che dopo la degenza, mantenendo i contatti con noi”.

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  • Passa anche da un semplice tasto la possibilità per una donna, vittima di stalking, di salvarsi da chi vuole farle del male. Il tasto di uno smartwatch che, una volta premuto, lancia un’immediata richiesta di aiuto alle forze di polizia. E grazie a questo orologio, Marta (il nome è di fantasia) potrà ora vedere la sua vita cambiata in meglio. La donna aveva smesso di vivere, a causa della relazione asfissiante e malata con il suo ex marito violento che aveva promesso di sfregiarla con l’acido e poi ucciderla e seppelire il suo corpo in un terreno. Ma venerdì scorso a Marta è stato consegnato il primo di 45 smartwatch che saranno distribuiti ad altrettante vittime. L’orologio è collegato con la centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli: appena arriva l’Sos, la vittima viene geolocalizzata e arrivano i soccorsi.

E così Marta ha ripreso la sua vita interrotta per paura dell’ex e delle sue minacce. «Posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. È vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare.»

Lo scorso 30 novembre i carabinieri del Comando provinciale di Napoli, la sezione fasce deboli della Procura partenopea coordinata dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone, la Fondazione Vodafone Italia e la Soroptimist international club Napoli hanno annunciato l’avvio del progetto pilota "Mobile Angel", che prevede, appunto, la consegna di questo orologio salvavita alle vittime di maltrattamenti. Il progetto è stato esteso anche alle città di Milano e Torino. Lo smartwatch affidato a Marta è il primo nel Sud Italia. Il mobile angel, spiegano i Carabinieri, rientra in un progetto ad ampio respiro che ha come punto focale le vittime di violenza. Un contesto di tutela all’interno del quale è stata istituita anche la "stanza tutta per sé", un ambiente dove chi ha subìto vessazioni può sentirsi a suo agio nel raccontare il proprio vissuto. 

#lucenews #lucelanazione #mobileangel #napoli
  • Se nei giorni scorsi l’assessore al Welfare del Comune di Napoli, papà single di Alba, bambina affetta da Sindrome di Down, aveva ri-scritto pubblicamente alla premier Giorgia Meloni per avere un confronto sull’idea di famiglia e sul tema delle adozioni, stavolta commenta quanto sta accadendo in Italia in relazione ai diritti dei figli delle famiglie arcobaleno. 

Ricordiamo, infatti, che lo scorso 12 marzo il Governo ha ordinato, in merito ad una richiesta pervenuta al Comune di Milano di una coppia dello stesso sesso, lo stop a procedere alla registrazione del loro figlio appena nato e impedendo, di fatto, la creazione di una famiglia omogenitoriale. Il veto della destra compatta boccia il certificato europeo di filiazione che propone agli Stati membri di garantire ai genitori residenti in Unione Europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli nello stesso modo in tutti i Paesi Ue.

“In tutta Europa i figli di coppie gay avranno il riconoscimento degli stessi diritti degli altri bambini. In Italia il Senato, trascinato da Fratelli d’Italia, fortemente contrario, ha appena bocciato la proposta – dice Trapanese in un lungo post sulla sua pagina Instagram -. Quindi, i figli delle coppie omosessuali non sono, per il nostro Paese, figli come gli altri. Questo hanno deciso e detto chiaramente”. Così facendo, “resteranno bambini privi di tutele complete, i cui genitori dovranno affrontare battaglie giudiziarie, sfiniti da tempi lunghissimi, solo perché il loro bimbo venga considerato semplicemente un figlio”. 

Trapanese attacca chiaramente questa decisione: “L’Italia è l’unico paese europeo con un governo che lavora per togliere diritti invece che per aggiungerli. Se la prende con bambini che esistono e vivono la loro quotidianità serenamente in famiglie piene d’amore, desiderati sopra ogni cosa, ma considerati in Italia figli di un dio minore”. Per Trapanese “stiamo continuando a parlare di ciò che dovrebbe essere semplicemente attuato. I diritti non si discutono, si riconoscono e basta. Ma come fate a non rendervene conto?”.

#lucenews #diritti #coppieomogenitoriali
  • Il nuovo progetto presentato dal governatore Viktor Laiskodat a Kupang, in Indonesia, prevede l’entrata degli alunni a scuola alle 5.30 del mattino. Secondo l’alto funzionario il provvedimento servirebbe per rafforzare la disciplina dei bambini.

Solitamente nelle scuole del Paese le lezioni iniziavano tra le 7 e le 8 del mattino: anticipando l’orario d’ingresso i bambini sono apparsi esausti quando tornano a casa. La madre di una 16enne, infatti, è molto preoccupata da questa nuova iniziativa: “È estremamente difficile, ora devono uscire di casa mentre è ancora buio pesto. Non posso accettarlo. La loro sicurezza non è garantita quando è ancora notte. Inoltre mia figlia, ogni volta che arriva a casa, è esausta e si addormenta immediatamente.”

Sulla vicenda è intervenuto anche Marsel Robot, esperto di istruzione dell’Università di Nusa Cendana, che ha spiegato come a lungo termine la privazione del sonno potrebbe mettere in pericolo la salute degli studenti e causare un cambiamento nei loro comportamenti: “Non c’è alcuna correlazione con lo sforzo per migliorare la qualità dell’istruzione. Gli studenti dormiranno solo per poche ore e questo è un grave rischio per la loro salute. Inoltre, questo causerà loro stress e sfogheranno la loro tensione in attività magari incontrollabili”. Anche il Ministero per l’emancipazione delle donne e la Commissione indonesiana per la protezione dei minori hanno espresso richieste di revisione della politica. Il cambiamento delle regole di Kupang è stato anche contestato dai legislatori locali, che hanno chiesto al governo di annullare quella che hanno definito una politica infondata.

Tuttavia il governo centrale ha mantenuto il suo esperimento rincarando la dose ed estendendolo anche all’agenzia di istruzione locale, dove anche i dipendenti pubblici ora inizieranno la loro giornata alle 5.30 del mattino.

#lucenews #lucelanazione #indonesia #scuola
  • Quante ore dormi? È difficile addormentarsi? Ti svegli al minimo rumore o al mattino rimandi tutte le sveglie per dormire un po’ di più? Soffri d’insonnia?

Sono circa 13,4 milioni gli italiani che soffrono di insonnia, secondo le ultime rilevazioni di Aims - l
La goccia scava la pietra, dicevano i latini. Oggi c'è invece un dolore sordo, velenoso e invisibile - figlio di tempi già balordi, resi poi superfragili dalla pandemia - che affonda come una lama calda nell'anima di gomma di migliaia di ragazzini. Di colpo soli, seppur connessi con il mondo. Storditi, ovattati. Il pronto soccorso dell'ospedale pediatrico Meyer di Firenze è il termometro di un dramma sommerso: sono aumentati del 17% nel 2021 gli accessi per disturbi mentali degli adolescenti.  Ad attirare l’attenzione dei professionisti sono i dati del primo bimestre, confrontati con quelli dello stesso periodo di un anno fa, prima che scoppiasse la pandemia: se tra gennaio e febbraio 2020 c’era stato un solo accesso al pronto soccorso per disordini alimentari, nei primi due mesi del 2021 i casi sono saliti a 21; un incremento notevole, determinato per lo più da adolescenti che lottano contro l’anoressia, patologia che richiede ricoveri spesso lunghi, di un’assistenza specifica, molto delicata, personalizzata e un grande impegno da parte dei professionisti. L’incremento dei dati riguarda anche giovani che chiedono aiuto dopo aver avuto pensieri autolesionistici, spesso per quella che i medici chiamano "ideazione suicidaria": il desiderio di non andare più avanti. Tra gennaio e febbraio 2021 sono stati già 11 i casi presi in carico dal Meyer, rispetto a uno solo di un anno fa. E il trend, temono gli specialisti, è destinato ad aumentare.  

"Mia figlia pesava trenta chili e rifiutava pure l'acqua"

 
"Mamma, non posso mangiare. Perché ho un nodo qui, alla gola". La sua bambina, 13 anni e un balcone affacciato sulla vita che un giorno è sparito perché le dita dei suoi piedi si erano fatte di pastafrolla e non spingevano più su, verso la luce e la vita aveva preso a lasciare la forchetta lì dov'era, a mettere in bocca giusto qualche pezzetto di biscotto qua e là, a non aprire più la porta di camera dove se ne stava chiusa in silenzio per giorni. Aveva chiuso la porta a quella vita, assorbendo come un pezzo di carta su un tavolo bagnato ansie e paure di una pandemia che stava stravolgendo il mondo, che aveva abbassato la saracinesca del negozio del babbo parrucchiere, spento la musica dell'orchestra in cui suonava, trasformato la scuola sua e dei suoi amici in qualcosa di zoppicante e digitale, lontanissimo. Mia figlia, dice questa mamma della provincia toscana, è "dolcissima, la più dolce", "intelligentissima, più dei ragazzi della sua età, mi creda". Eppure "era infilata in un tunnel cieco e privo di ragione", dove combatteva con i suoi trenta chili scarsi e quella fame di vita che non c'era più. "Dirle 'tesoro mangia' non serviva a niente, perché l'anoressia non è un capriccio ma una malattia vera che solo gli specialisti possono curare" dice la mamma. Così "quando la mia bambina ha smesso anche di bere l'acqua non c'è stato altro da fare che  ricoverarla all'ospedale della nostra città, perché al Meyer di Firenze non c'era posto per almeno dieci giorni. Dieci giorni di tubicini che le hanno causato anche una una tromboflebite al braccio". Poi la salvezza. Si aprono le porte dell'ospedale pediatrico e la piccola inizia piano piano "dalla sua ferita a vedere una feritoia di luce. Pasti assistiti, quelle parole dolci e chirurgiche dei medici, le piccole complicità con gli altri ragazzini ricoverati, "oggi amici di vita". "Chi soffre di DCA ha bisogno di cure immediate e specifiche, ha bisogno di essere visto e ascoltato, perché questo dolore non si sceglie, capita. E quando succede stravolge tutto, come un uragano in tempesta - racconta la mamma della nostra piccola amica - Nessuno ne è immune, noi siamo una famiglia normalissima come tante altre, eppure ci siamo trovati il 26 maggio dello scorso anno con nostra figlia di 13 anni ricoverata per anoressia  nel reparto di neuropsichiatria infantile del Meyer. Il percorso è stato devastante all'inizio, vedere una ragazza che è sempre stata felice e contenta della sua vita che piano piano sparisce dietro ai suoi chili è un'esperienza che ti cambia per sempre. Il DCA si scopre poi piano piano che è un sintomo e il cibo il modo scelto per comunicare un malessere profondo, qualcosa che rimane dentro e che non si riesce a far uscire a parole. Nei 5 mesi tra ricovero e day hospital ne ho sentite tante di storie, tutte diverse, ma con una cosa in comune, un grande dolore dentro una grande sensibilità , fatto a volte da episodi di bullismo, di isolamento, di sofferenze familiari, di traumi che hanno preso la forma della paura del cibo. Per questo è così importante la cura immediata".  

Il direttore del Meyer: "Fra 12 e 18 anni la fascia a rischio"

  "Già dal 2014 avevamo registrato un aumento generale di disturbi di natura psichica nel mondo adolescenziale. Quindi oggi, in un trend di generale aumento di casi, abbiamo osservato qui da noi un picco che ci ha molto allarmato". Non gira intorno al problema il direttore generale del Meyer Alberto Zanobini. C'è un fenomeno di disagio forte tra i giovanissimi che non può essere taciuto. Calano drasticamente gli accessi generali al pronto soccorso ed esplodono invece quelli di natura psichica."Nello spettro di disturbi vari, dall'ansia fino ai tentativi di suicidio e autolesionismo, abbiamo calcolato un aumento del 17% dei casi. Ci siamo messi così in contatto in Rete con gli altri ospedali italiani e europei e abbiamo registrato lo stesso fenomeno".
Da qui grido d'allarme, perché "questo fenomeno è un'emergenza nell'emergenza". "Se non affrontiamo in tempo questi casi - dice Zanobini - rischiamo di trovarci in futuro adulti con disturbi cronici".
Chi soffre di più in questa fase storica? "Si parla della fascia dai 12 a 18 anni, storicamente età critica perché c'è il passaggio dal pediatra al medico di famiglia", una zona grigia dove molti ragazzi ancora non sono presi in carico dal sistema sanitario nazionale. Dice Zanobini che "i disturbi del sistema alimentare sono in aumento davvero significativo, insieme ai pensieri suicidari" e questo "porta a un aggravio per gli gli ospedali pediatrici perché sono problemi che comportano ricoveri medio-lunghi". L'importanza della prevenzione è fondamentale. "Abbiamo lanciato un allarme forte alle istituzioni: bisogna  agire prima. Servono adesso risposte forti, perché quella che arriva al pronto soccorso è solo la punta di un iceberg di problemi molto diffusi che per resistenze culturali, molto spesso culturali, non vengono alla luce prima".  

La psichiatra dell'infanzia: "Scuola, la prima sentinella"

 
"Non abbiamo ascoltato i nostri ragazzi. Dovevamo intervenire prima. Ma è mancata la sentinella scuola, i presidi del territorio...". La responsabile del reparto di psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza del Meyer Tiziana Pisano inquadra così il problema di questi mesi. "Perché è successo questo? Le risposte vanno ricercate anche nell'isolamento di quest'anno. Pensiamo alla Dad per la scuola, per esempio... Ma se all'inizio non abbiamo visto grandi cambiamenti poi, a lungo andare, dopo il primo lockdown, venendo meno la condivisione di emozioni con gli amici, lo stop dello sport e delle attività sociali, l'isolamento in un'età già complicata di suo, sono emerse varie problematiche. Spesso i pensieri suicidi e i disturbi dell'umore, magari con sintomi diversi rispetto all'età adulta, rappresentano sintomi di una vera e propria depressione. Servono gli specialisti. Le famiglie non bastano ma hanno comunque un ruolo fondamentale sia prima che dopo la degenza, mantenendo i contatti con noi".
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