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Home » Scienze e culture » Microplastiche nel sangue, quali sono i rischi per l’uomo e le conseguenze per la salute

Microplastiche nel sangue, quali sono i rischi per l’uomo e le conseguenze per la salute

Una ricerca dell'Università di Amsterdam ha confermato che minuscoli frammenti di plastica possono finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano. Dai danni all'apparato respiratorio ai problemi per la sfera riproduttiva, ecco cosa sono in grado di causare le micro e le nanoplastiche

Domenico Guarino
27 Marzo 2022
Una ricerca dell'Università di Amsterdam ha confermato che minuscoli frammenti di plastica possono finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano

Una ricerca dell'Università di Amsterdam ha confermato che minuscoli frammenti di plastica possono finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano

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Ora abbiamo la conferma: i minuscoli frammenti di plastica dispersi nell’ambiente, comunemente denominati ‘microplastiche’, possono finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano. A dimostrarlo una ricerca condotta dal gruppo di lavoro guidato alla ecotossicologa Heather Leslie e dalla chimica Marja Lamoree, nell’ambito del progetto Immunoplast, della Università Vrije di Amsterdam. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Environment International.

Una ricerca dell’Università di Amsterdam ha confermato che minuscoli frammenti di plastica possono finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano

L’indagine si è basata sull’analisi del sangue donato da 22 persone anonime, nel quale sono state cercate le tracce di cinque polimeri (i componenti elementari delle plastiche) e per ciascuno di essi sono stati misurati i livelli presenti nel sangue. Il risultato non lascia spazio ai dubbi: in tre quarti dei campioni esaminati erano presenti tracce di plastiche, soprattutto polietilene tereftalato (il Pet, utilizzato comunemente per le bottiglie in plastica e nell’abbigliamento) e dolimeri di stirene, spesso usati in parti di veicoli, tappeti e contenitori per alimenti. In media, sono stati misurati 1,6 microgrammi di plastica per ogni millilitro di sangue, con la concentrazione più alta di poco superiore a 7 microgrammi.

Adesso, osservano le ricercatrici della Vrije Universiteit, resta da capire se e con quale facilità le particelle di plastica possono passare dal flusso sanguigno agli organi. “Si tratta dei primi dati di questo tipo e ora – ha detto la chimica Lamoree – se ne dovranno raccogliere altri per capire quanto le microplastiche siano presenti nel corpo umano e quanto possano essere pericolose. Grazie ai nuovi dati sarà possibile stabilire se l’esposizione alle microplastiche costituisca una minaccia per la salute pubblica”.

Microplastiche nel sangue, quali sono le conseguenze per la salute

Esistono ancora poche informazioni riguardo l’impatto delle microplastiche sulla salute degli animali e dell’uomo. I polimeri, in generale, sono chimicamente inerti e, dunque, considerati non tossici. Tuttavia, le ridotte dimensioni e l’elevata superficie conferiscono alle microplastiche, e ancora di più alle nanoplastiche, maggiore reattività rispetto ai composti da cui originano, rendendole potenzialmente dannose per gli organismi a seconda del tipo di esposizione e della suscettibilità.
Secondo l’Istituto superiore di Sanità (ISS) i rischi per l’uomo derivanti dalle microplastiche possono essere di natura fisica, chimica o microbiologica.

Le microplastiche che entrano in circolazione nel nostro metabolismo possono causare danni ai nostri apparati

I rischi fisici sono dovuti alle ridotte dimensioni delle microplastiche (e anche delle nanoplastiche) che “possono attraversare le barriere biologiche – come la barriera intestinale, ematoencefalica, testicolare e persino la placenta – e causare danni diretti, in particolare all’apparato respiratorio e all’apparato digerente, quali primi apparati con cui le microplastiche entrano in contatto”.

I rischi chimici invece “derivano dalla presenza di contaminanti, come i plasticizzanti (ftalati, bisfenolo A) o i contaminanti persistenti (ritardanti di fiamma bromurati, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili) presenti nelle microplastiche”. Molti di essi, essendo interferenti endocrini, “possono provocare danni a carico del sistema endocrino, causare problemi alla sfera riproduttiva e al metabolismo sia nei figli di genitori che sono stati esposti alle microplastiche durante la gravidanza, sia in età adulta a seguito di esposizione nelle prime fasi di vita (neonatale, infanzia, pubertà)”.

Inoltre le microplastche possono trasportare, attaccati alla loro superficie, microrganismi in grado di causare malattie: batteri come Escherichia coli, Bacillus cereus e Stenotrophomonas maltophilia sono stati rilevati in microplastiche raccolte al largo delle coste del Belgio.

Secondo l’Ocse per invertire la tendenza dell’inquinamento ambientale è necessario tra l’altro creare un mercato separato e ben funzionante per la plastica riciclata

Che fine fanno le microplastiche nell’organismo?

Al momento attuale esistono pochi dati sul destino delle microplastiche nel tratto gastrointestinale. I dati disponibili riguardano esclusivamente assorbimento e distribuzione ma non sono ancora noti processi di trasformazione (metabolici) e di eliminazione. Secondo quanto afferma ancora ISS, solo microplastiche più piccole, di dimensione inferiore a 150 micrometri sembra possano attraversare la barriera intestinale, sebbene l’assorbimento sia comunque considerato molto basso (inferiore o uguale allo 0,3%). “Il passaggio ad altri organi sembra possa avvenire sono per una frazione limitata, di dimensioni inferiori a 1,5 micrometri. Tuttavia, studi sperimentali hanno dimostrato che, una volta assorbite, le microplastiche si accumulano in fegato, reni e intestino con la capacità di provocare stress ossidativo, problemi metabolici, processi infiammatori, nonché danni ai sistemi immunitario e neurologico” dice l’istituto superiore di Sanità.

Infine, nella valutazione degli effetti negativi delle microplastiche occorre tener conto della presenza delle sostanze chimiche in esse presenti o attaccate alla loro superficie, il cui rilascio nell’organismo rappresenta un potenziale rischio per la salute, e di eventuali organismi patogeni. Un bel problema visto che la plastica è un materiale usato in ogni settore produttivo e attività umana (automobili, agricoltura, salute, edilizia/costruzioni, packaging, tessuti, giocattoli, ecc.) ed è prodotta in differenti dimensioni a seconda dell’utilizzo finale. Senza contare che, secondo le stime più accreditate, è previsto che i rifiuti in plastica presenti negli oceani raddoppieranno di quantità entro il 2040.

Non a caso, un altro recente studio a firma, tra gli altri, del ricercatore A.Dick Vethaak, che voleva indagare il rapporto tra l’esposizione alle microplastiche e il rischio di insorgenza di cancro, ha sottolineato l’urgenza di proseguire queste ricerche. “È certamente ragionevole essere preoccupati – ha dichiarato Vethaak -. Le particelle sono lì nel sangue e vengono trasportate in tutto il corpo. Sappiamo anche che in generale che neonati e bambini piccoli sono più vulnerabili all’esposizione a sostanze chimiche e particelle. Questo mi preoccupa molto”.

La proposta della Commissione europea per limitare l’utilizzo di microplastiche

La Commissione Europea ha richiesto all’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) di valutare i dati disponibili, allo scopo di presentare una proposta per limitare l’utilizzo delle microplastiche primarie in prodotti di consumo quali cosmetici, detergenti e fertilizzanti. Quando sarà approvata, la restrizione avrà come effetto quello di ridurre le emissioni di microplastiche di circa 400.000 tonnellate nell’arco dei successivi 20 anni. Considerando questo obiettivo, in Italia dal primo gennaio 2020 è stata vietata la vendita e la commercializzazione di cosmetici da risciacquo, come saponi, creme, gel esfolianti e dentifrici, contenenti microplastiche.

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 Intervista a cura di Andrea Spinelli ✍

#lucenews #qn #ariete #sanremo2023
  • Più luce, meno stelle. Un paradosso, se ci pensate. Più illuminiamo le nostre città, più lampioni, fari, led, laser puntiamo sulla terra, meno stelle e porzioni di cielo vediamo. 

Accade perché, quasi senza accorgercene, di anno in anno, cancelliamo dalla nostra vista qualche decina di quei 4.500 puntini luminosi che in condizioni ottimali dovremmo riuscire a vedere la notte, considerato che il cielo risulta popolato da circa 9.000 stelle, di cui ciascuno di noi può osservare solo la metà per volta, ovvero quelle del proprio emisfero. 

In realtà, già oggi, proprio per colpa dell’inquinamento luminoso, ne vediamo solo poche centinaia. E tutto lascia pensare che questa cifra si ridurrà ulteriormente, con un ritmo molto rapido. Al punto tale che, in pochi anni, la costellazione di Orione, potrebbe perdere la sua caratteristica ‘cintura’.

Secondo quanto risulta da uno studio pubblicato su “Science”, basato sulle osservazioni di oltre 50mila citizen scientist, solo tra il 2011 e il 2022, ogni anno il cielo in tutto il Pianeta è diventato in media il 9,6% più luminoso, con una forchetta di valori che non supera il 10% ma non scende mai sotto il 7%. Più di quanto percepito finora dai satelliti preposti a monitorare la quantità di luce nel cielo notturno. Secondo le misurazioni effettuate da questi ultimi infatti, tra 1992 e 2017 il cielo notturno è diventato più luminoso di meno dell’1,6% annuo.

“In un periodo di 18 anni, questo tasso di cambiamento aumenterebbe la luminosità del cielo di oltre un fattore 4”, scrivono i ricercatori del Deutsches GeoForschungs Zentrum di Potsdam, in Germania, e del National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory di Tucson, negli Stati Uniti. Una località con 250 stelle visibili, quindi, vedrebbe ridursi il numero a 100 stelle visibili. 

Il pericolo più che fondato, a questo punto, è che di questo passo inizieranno a scomparire dalla nostra vista anche le costellazioni più luminose, comprese quelle che tuti sono in grado di individuare con estrema facilità.

L
  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
Ora abbiamo la conferma: i minuscoli frammenti di plastica dispersi nell'ambiente, comunemente denominati ‘microplastiche’, possono finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano. A dimostrarlo una ricerca condotta dal gruppo di lavoro guidato alla ecotossicologa Heather Leslie e dalla chimica Marja Lamoree, nell'ambito del progetto Immunoplast, della Università Vrije di Amsterdam. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Environment International.
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Microplastiche nel sangue, quali sono le conseguenze per la salute

Esistono ancora poche informazioni riguardo l’impatto delle microplastiche sulla salute degli animali e dell’uomo. I polimeri, in generale, sono chimicamente inerti e, dunque, considerati non tossici. Tuttavia, le ridotte dimensioni e l’elevata superficie conferiscono alle microplastiche, e ancora di più alle nanoplastiche, maggiore reattività rispetto ai composti da cui originano, rendendole potenzialmente dannose per gli organismi a seconda del tipo di esposizione e della suscettibilità. Secondo l’Istituto superiore di Sanità (ISS) i rischi per l’uomo derivanti dalle microplastiche possono essere di natura fisica, chimica o microbiologica.
Le microplastiche che entrano in circolazione nel nostro metabolismo possono causare danni ai nostri apparati
I rischi fisici sono dovuti alle ridotte dimensioni delle microplastiche (e anche delle nanoplastiche) che “possono attraversare le barriere biologiche - come la barriera intestinale, ematoencefalica, testicolare e persino la placenta - e causare danni diretti, in particolare all’apparato respiratorio e all’apparato digerente, quali primi apparati con cui le microplastiche entrano in contatto”. I rischi chimici invece “derivano dalla presenza di contaminanti, come i plasticizzanti (ftalati, bisfenolo A) o i contaminanti persistenti (ritardanti di fiamma bromurati, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili) presenti nelle microplastiche”. Molti di essi, essendo interferenti endocrini, “possono provocare danni a carico del sistema endocrino, causare problemi alla sfera riproduttiva e al metabolismo sia nei figli di genitori che sono stati esposti alle microplastiche durante la gravidanza, sia in età adulta a seguito di esposizione nelle prime fasi di vita (neonatale, infanzia, pubertà)”. Inoltre le microplastche possono trasportare, attaccati alla loro superficie, microrganismi in grado di causare malattie: batteri come Escherichia coli, Bacillus cereus e Stenotrophomonas maltophilia sono stati rilevati in microplastiche raccolte al largo delle coste del Belgio.
Secondo l'Ocse per invertire la tendenza dell'inquinamento ambientale è necessario tra l'altro creare un mercato separato e ben funzionante per la plastica riciclata

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Al momento attuale esistono pochi dati sul destino delle microplastiche nel tratto gastrointestinale. I dati disponibili riguardano esclusivamente assorbimento e distribuzione ma non sono ancora noti processi di trasformazione (metabolici) e di eliminazione. Secondo quanto afferma ancora ISS, solo microplastiche più piccole, di dimensione inferiore a 150 micrometri sembra possano attraversare la barriera intestinale, sebbene l’assorbimento sia comunque considerato molto basso (inferiore o uguale allo 0,3%). “Il passaggio ad altri organi sembra possa avvenire sono per una frazione limitata, di dimensioni inferiori a 1,5 micrometri. Tuttavia, studi sperimentali hanno dimostrato che, una volta assorbite, le microplastiche si accumulano in fegato, reni e intestino con la capacità di provocare stress ossidativo, problemi metabolici, processi infiammatori, nonché danni ai sistemi immunitario e neurologico” dice l’istituto superiore di Sanità. Infine, nella valutazione degli effetti negativi delle microplastiche occorre tener conto della presenza delle sostanze chimiche in esse presenti o attaccate alla loro superficie, il cui rilascio nell’organismo rappresenta un potenziale rischio per la salute, e di eventuali organismi patogeni. Un bel problema visto che la plastica è un materiale usato in ogni settore produttivo e attività umana (automobili, agricoltura, salute, edilizia/costruzioni, packaging, tessuti, giocattoli, ecc.) ed è prodotta in differenti dimensioni a seconda dell’utilizzo finale. Senza contare che, secondo le stime più accreditate, è previsto che i rifiuti in plastica presenti negli oceani raddoppieranno di quantità entro il 2040. Non a caso, un altro recente studio a firma, tra gli altri, del ricercatore A.Dick Vethaak, che voleva indagare il rapporto tra l'esposizione alle microplastiche e il rischio di insorgenza di cancro, ha sottolineato l'urgenza di proseguire queste ricerche. "È certamente ragionevole essere preoccupati – ha dichiarato Vethaak -. Le particelle sono lì nel sangue e vengono trasportate in tutto il corpo. Sappiamo anche che in generale che neonati e bambini piccoli sono più vulnerabili all'esposizione a sostanze chimiche e particelle. Questo mi preoccupa molto".

La proposta della Commissione europea per limitare l'utilizzo di microplastiche

La Commissione Europea ha richiesto all’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) di valutare i dati disponibili, allo scopo di presentare una proposta per limitare l’utilizzo delle microplastiche primarie in prodotti di consumo quali cosmetici, detergenti e fertilizzanti. Quando sarà approvata, la restrizione avrà come effetto quello di ridurre le emissioni di microplastiche di circa 400.000 tonnellate nell'arco dei successivi 20 anni. Considerando questo obiettivo, in Italia dal primo gennaio 2020 è stata vietata la vendita e la commercializzazione di cosmetici da risciacquo, come saponi, creme, gel esfolianti e dentifrici, contenenti microplastiche.
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